BARBERA D’ASTI
DA SUL

LAIOLO REGININ

Occorre immaginare, sulle colline subito fuori Vinchio, in direzione di Nizza Monferrato, un erto costone di marne bianche come il gesso, coltivato a vigna, esposto al pieno sud. Queste piante di barbera furono messe lì all’inizio del Novecento da un contadino di nome Giovanni Laiolo, detto “Reginin”, per avere avuto la sua famiglia nell’Ottocento l’onore di costituire il corpo di guardia privato del castello di Vinchio, per i Marchesi Scarampi. Dopo l’avvento del figlio, Guido Laiolo, e ai giorni nostri del nipote, Paolo, classe 1975, eccoci ad assaggiare il vino di una vigna fatta di piante di quasi cento anni, tutte ancora lì dove le aveva messe il vecchio “Reginin”. Ed è un vino-cartolina: a dirla tutta, nella sua tessitura nervosa, sembra quasi di poter cogliere il carattere irregolare e segmentato del territorio di Vinchio, così differente dalle altre zone d’eccellenza della barbera d’Asti, più calde nel clima, più dolci nei profili, più generose nei vini. “Da Sul”, oltretutto, significa “da solo”. È “da solo” il vigneto, certo, il cui frutto è infatti da anni vinificato a parte. È “da sola” la barbera come varietà, da sempre in purezza sul costone dei Reginin. Ma anche Paolo, in un certo senso, è “da sul”, avendo scelto di non avvalersi di enologi o consulenti da quando, nel 1999, decise di imbottigliare a parte le uve del vigneto del nonno. La sua idea, piuttosto, è quella di cercare in prima persona, ogni anno, una specie di “risonanza” diretta con i suoi vini, compreso quello dalla vigna più vecchia, che ci ha davvero colpiti; l’adozione di protocolli naturali per la conduzione dei vigneti non è che una coerente conseguenza di questo approccio.

Dall’annata 2014, qui recensita, la Barbera d’Asti Da Sul matura in solo acciaio; la sua modulazione fruttata e le sue filigrane minerali filtrano così nel bicchiere senza infusioni speziate o altri possibili aspetti legati ai legni. Il vino, a nostro avviso, ci ha guadagnato in maniera eclatante in termini di limpidezza e spontaneità: il profumo è ampio, ma non così spudorato, ricco di accenti fruttati che non abbiamo mai sentito troppo maturi nonostante l’esposizione calda e la veneranda età del vigneto. Al contrario, all’assaggio dilaga la freschezza, enfatizzata dal millesimo poco luminoso. Un vino che porta in tavola classe, trasparenza e storia, una virtuosa tensione verso la salubrità, e nessuna smania di voler apparire diversi da come si è, da come si è sempre stati. Doti rare e bellissime. Qui tutte insieme, appassionatamente.


Classe, trasparenza e storia, una virtuosa tensione verso la salubrità, e nessuna smania di voler apparire diversi da come si è, da come si è sempre stati