LANGHE NEBBIOLO AUTIN D’MADAMA
SIMONE SCALETTA

C’è un tenace luogo comune che investe quasi tutti i grandi territori del vino mondiale. Ogni tanto qualcuno salta su a dire: «in Champagne (o Borgogna, Langhe, Toscana centrale, Mosella...) non c’è più niente da scoprire»; «chi doveva emergere, è già emerso»; e via andare. Ad esempio, uno come Simone Scaletta, che pure ha cinque ettari di vigneto in una delle più belle zone della Langa del Barolo, ha ancora qualche gradino da salire.

A noi i suoi vini hanno convinto, il suo approccio ci è piaciuto, la sua storia incuriosito. Già, perché Simone è un autentico outsider: non è langhetto, ma torinese; non è alla quarantesima generazione consecutiva di viticoltori con foto in cantina dell’antenato che iniziò l’intrapresa senza avere ancora il pollice opponibile. È un giovane uomo, semplice e molto timido, laureato in Scienze Politiche, che una quindicina di anni fa ha trovato il coraggio di assecondare la sua sconfinata passione per la vigna e per il vino.

E così, nell’attesa di costruirsi una cantina, nei periodi di lavoro vendemmiale Simone dormiva accanto alle vigne, in camper, lì attorno al Bricco San Pietro di Monforte d’Alba, dove si stendono le sue quattro vigne: Viglioni, Sarsera, Chirlèt e Autin d’Madama, da cui rispettivamente si ricavano un Dolcetto, una Barbera, un Barolo e uno dei più buoni Langhe Nebbiolo che ci siano capitati di recente nel bicchiere. Il vigneto (da pronunciare “Utìn”) è un ettaro di media collina esposto a pieno sud: il curioso nome identificava, nell’antico dialetto locale, una piccola vigna che avesse accanto un orto; evidentemente appartenente a una “Madama”, cioè un’esponente dell’aristocrazia terriera. E la Madama appare, nella bellissima etichetta, bardata da un ombrellino parasole e da un ventaglio chiuso, acconciata e vestita à l’ancienne (parrucca e neo posticcio compresi), mentre si pavoneggia davanti a un gallo visibilmente esterrefatto. Nell’Autin del 2014, la proverbiale nota mentolata delle belle vigne di Monforte d’Alba fa da sfondo a un bouquet di viole appassite, ciliegia e liquirizia, forse ruggine; e il gusto è fresco, sobrio nella stretta del tannino, con una scintilla di sapidità che scocca in fondo e illumina tutto.


Il curioso nome identificava, nell’antico dialetto locale, una piccola vigna che avesse accanto un orto; evidentemente appartenente a una ‘Madama’