Ingaggiando una lotta ideale con i sardi, i siciliani e con talune popolazioni delle più impervie montagne alpine, certi liguri sono riservati fino all’inafferrabilità da “primula rossa”. Dopo un inseguimento durato alcune settimane, ci arrendiamo: alla fine non avremo incontrato i produttori e parlato con loro, ma per fortuna il loro Ormeasco ha parlato, e in maniera molto eloquente, con noi. La famiglia Guglierame si dedica da qualche secoletto alla coltivazione e alla vinificazione del vitigno ormeasco. Si tratta di una varietà poco conosciuta, parente stretta del dolcetto piemontese. Dal grappolo spargolo, dà il meglio quando cresce, come in questo caso, in vigne a una buon altezza sul livello del mare: i due ettari e mezzo della piccola tenuta stanno sui cinquecento metri di altitudine. La conduzione agronomica ed enologica, pur senza distinguersi per intransigenza “bioqualcosa”, mantiene un sano senso della misura.
Nasce così un rosso di rara naturalezza espressiva, ingannevolmente semplice a una prima ricognizione, ma con pochi minuti di aria via via più ricco di sfumature, tra il floreale, il salmastro – le vigne sono toccate dai venti che provengono dal mare – e il fruttato. In bocca non smentisce questo assetto aromatico, innescando anzi una marcia in più in termini di spinta, sapidità, purezza di frutto. Il finale, poi, è forse il vero atout del vino: una delicatissima scia speziata (pepe) che solca i rimandi al lampone e alla violetta. Da non trascurare il rosato Sciac-trà della stessa azienda, tra i più grintosi e riusciti dell’intero arco produttivo ligure.
Si tratta di una varietà poco conosciuta, parente stretta del dolcetto piemontese.Dà il meglio quando cresce, come in questo caso, in vigne a una buon altezza sul livello del mare