Della qualità del vigneto dei Grigioni, o Grisoni, al limite occidentale della sottozona della Sassella, abbiamo notizie certe sin dall’inizio del Seicento: ne parla, benissimo, un certo Johann Guler von Wyneck, diplomatico e geografo svizzero, in un testo sulla Valtellina del 1616 intitolato Raetia. Era già chiaro allora come i Grisoni fossero uno dei veri punti d’equilibrio della celeberrima valle, il cui versante vitato, all’altezza di questa zona, ha qualcosa di sconcertante e di meraviglioso. Si alzano gli occhi e si scuote la testa: i vigneti sono, ciascuno, una piccola conquista umana. Le strisce di terreno utili alla coltivazione sono state strappate a un dirupo verticale trasformandolo, nei secoli, in una scala verso il cielo a forza di terrazzamenti in pietra. Per piantare a vigna ottocentocinquanta ettari sono così serviti 2.550 chilometri di terrazze costruite a mano e a secco: la distanza non in linea d’aria, ma della strada da Sondrio a Helsinki. Alfio Mozzi ha una storia familiare sviluppatasi dentro i vigneti di qui, come lui stesso dice: ha fatto il fabbro per una decina d’anni, poi ha deciso di dedicarsi anima e corpo alla vigna, prima come semplice coltivatore, poi con nome e cognome in etichetta.
Da qualche anno tira fuori una selezione specifica dalla vigna dei Grisoni, chiamando il vino al singolare: Grisone. Vale la pena cercarlo, perché è straordinario. Una volta reperito, va portato a nostro parere a 15 gradi di temperatura al massimo, contrariamente a quanto si consiglia per i rossi “importanti”, e poi versato in un bicchiere più ampio possibile, senza arrivare al diametro della boccia del pesce rosso (se usate la boccia del pesce rosso, togliete prima il pesce rosso). Avrete nel bicchiere l’essenza della Valtellina: la vocazione del nebbiolo locale – la chiavennasca – alla finezza e al dettaglio aromatico sveleranno profumi di erbe e fiori azzurri, acqua di rose e lampone, con qualche tocco appena ferruginoso; e poi il sapore, minuzioso, morbido, pieno di suggestioni. A un 2011 maturo e strutturato è seguito un 2012 più tenero e approcciabile. E un vino che non è mai uguale a se stesso da una stagione all’altra, ma l’asseconda e la testimonia, ci piace ancora di più.
Le strisce di terreno utili alla coltivazione sono state strappate a un dirupo verticale trasformandolo, nei secoli, in una scala verso il cielo a forza di terrazzamenti in pietra»