La Valcamonica ospita una quantità strabiliante di incisioni rupestri: distribuite in otto diversi parchi archeologici, se ne contano oltre trecentomila e rappresentano la peculiare ricchezza di questa valle, primo sito italiano riconosciuto come Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco nel 1979. Più episodica la presenza della vite, neanche duecento ettari complessivi dei quali le pubblicazioni di settore non rendono quasi mai conto. Per carità, non che il vino camuno rivendichi chissà quale originalità espressiva: la scorpacciata di segni e disegni primitivi resta un motivo ben più serio per organizzare una trasferta da queste parti. Ci sono però le eccezioni, come nel caso dei vini di Ligabue. Il nome di questa cantina suona subito familiare all’appassionato di pittura, specie di una pittura “primitiva” nel senso di naïf, con gli animali spesso protagonisti e una rappresentazione della vita come lotta feroce e permanente.
Ma niente paura, quella con il tormentato artista di Guastalla è solo una curiosa omonimia. E tuttavia anche l’Antonio Ligabue vignaiolo e il padre Fausto, che ha impostato tutto il lavoro, hanno un approccio al vino insofferente alle convenzioni e ai protocolli dell’enologia, del tutto antiaccademico, da artigiani autodidatti quali sono. Nei circa due ettari vitati, sparpagliati in diversi vigneti sui terreni calcarei e gessosi del comprensorio di Cerveno, i Ligabue hanno messo a dimora anche uve più desuete, come le valdostane petite arvine, cornalin e fumin. Ma è al rosso da uva ciliegiolo che si deve l’esito a nostro avviso più sorprendente: ricavato da pochi filari di una vigna piantata negli anni Settanta, Inamara è un vino a briglia sciolta, nel cui carattere impetuoso ci piace scorgere il riflesso di quella veemenza così cara a Emilio Villa quando racconta l’Arte dell’uomo primordiale (Abscondita, 2005). Se amate i Ciliegiolo più schietti e sanguigni, come quelli di Antonio Camillo e della famiglia Mattioli (Collecapretta), ritroverete qui la stessa energia impregnata di sfumature di genziana, che rilascia al sorso una bevibilità inarginabile.
Un approccio al vino insofferente alle convenzioni e ai protocolli dell’enologia, del tutto antiaccademico