C’è una collina, poco fuori Negrar, che si arrampica tra vecchie pezze di vigna, ulivi, gelsi e ciliegi, e il bosco ceduo di roveri, carpini, frassini e olmi; ai lati della strada aggettano grumi di roccia chiara. La strada che sale ha un nome che agli astemi non dirà nulla, ma agli appassionati di vino può far venire un fremito: Cerè. Qui sono nate e da qui sono partite bottiglie di vino tra le più grandi mai prodotte in Italia, quelle di un vignaiolo pensatore con la corrente nelle mani, Giuseppe Quintarelli, scomparso alcuni anni fa. Salendo ancora rispetto alla cantina del “Bepi”, come veniva chiamato dagli amici, si incontrano altre vigne, con le più varie forme di allevamento; alcune sono isolate nella boscaglia, qualcuna è incassata in una conca ombrosa, altre superbamente esposte al sole. Una buona maggioranza appartiene, abbiamo imparato, a piccoli conferitori della valida cantina sociale posta proprio alla base della collina. Come accade alle volte in varie parti d’Italia, ogni tanto uno di questi conferitori si mette in proprio, talvolta sottraendo alla cantina sociale partite di vino di grande valore e bontà.
Si può così dare il caso di aziende sì neonate, ma con alle spalle l’esperienza di generazioni di vignaioli. Uno di questi è per l’appunto Ettore Righetti, 86 anni, un patriarca del vino di Valpolicella; il figlio Giampaolo e il nipote Gabriele – studente di Enologia – ne proseguono l’opera con la stessa impronta rigorosa nei vini e la stessa bonarietà di carattere.
Oltre alla vocazione del luogo, acclarata, c’è qui anche da misurare un talento rilevante, che accomuna i tre: e se può apparire scontato che i vini di maggiore ambizione siano, come sono, ottimi, la riprova della qualità della cantina la si ha nello splendido Valpolicella d’annata, trasparente e succoso, florealissimo, irresistibile; ne siamo appassionati consumatori. Qui, tuttavia, abbiamo voglia di raccontarvi l’Amarone che Giampaolo Righetti ha ottenuto dall’annata 2012. Il profumo è vasto e magnifico: a folate balsamiche di eucalipto e liquirizia fa seguito una specie di bordata alla ciliegia, matura ma non sciropposa, e sullo sfondo si coglie come una corolla dolce, un vapore; una “scodata” sapida e una vena acida sollevano e qualificano l’assaggio, mitigando l’impeto dei sedici gradi alcolici. Tutt’altro che un esercizio di stile, anzi, un Amarone che a tavola si trova benone; e senza dover per forza pensare a brasati di animali del Triassico o a formaggi stagionati fino alla radioattività.