Prima di reinventare la propria tradizione, consegnando alle felpate languidezze di un vino come l’Amarone il testimone di un’identità ridefinita in ossequio alle presunte tendenze del gusto internazionale e del mercato globale, la Valpolicella Classica ha rappresentato il modello di una terra pietrosa, boschiva, impervia. Su questi terreni di origine sedimentaria, dalla fitta stratificazione calcarea, si affacciano i tre ettari del vigneto di Eleva, azienda che lascia cogliere già dal nome la natura prettamente collinare del suo insediamento vitato. Distribuito su quattordici terrazze, è un vigneto piantato a guyot su forti pendenze a circa trecento metri di altitudine, circondato dal bosco e affacciato a mezzogiorno. Se c’è un vino capace di restituire l’assetto verticale e l’originaria selvatichezza di un simile paesaggio, questo è proprio il più bistrattato e negletto dei rossi della Valpolicella: il Classico.
Un rosso «leggero, passante, appena appena amarognolo», che ha avuto nelle pagine di Hemingway (Di là dal fiume e tra gli alberi, Mondadori 1998) la sua consacrazione letteraria; e che anche Mario Soldati nei suoi viaggi d’assaggio di fine anni Sessanta ricorda «per la facilità di berne a tutte le ore». Ma a dispetto di una letteratura così autorevole e al tempo stesso invitante, il Valpolicella Classico vive in questi anni una profonda crisi d’identità, alimentata dalla rincorsa dei produttori a immettere prevalentemente sul mercato rossi più concentrati e rassicuranti nella loro morbidezza alcolica, nonché più remunerativi, quali Ripasso e Amarone.
In felice controtendenza rispetto a questa deriva narcisistico-mercenaria della Valpolicella del vino, Raffaella Veroli e Davide Gaeta presidiano la tipologia classica con una versione 2015 semplicemente meravigliosa. Capace cioè di coniugare la centralità del frutto con un flusso di energia rinfrescante che valorizza a pieno il prezioso contributo in termini di acidità offerto dall’uva oseleta, per tradurlo in un sorso dinamico e spontaneo, dalla bevibilità contagiosa.
Se c’è un vino capace di restituire l’assetto verticale e l’originaria selvatichezza di un simile paesaggio, questo è proprio il più bistrattato e negletto dei rossi della Valpolicella: il Classico