Quando si pensa alla Valpolicella si pensa spesso a vini di forte personalità, densi e alcolici, morbidi e caldi, complicati da bere a pasto salvi i formaggi più caustici e piccanti. È un peccato, ma è innegabile che l’ipotesi comunicativa dominante da trent’anni a questa parte sia stata questa, al traino del grande successo vissuto dalla tipologia Amarone, vino in effetti spesso ardente, mastodontico e decisamente ingombrante. Per fortuna, tuttavia, la corsa vive oggi un momento di sur place; appaiono (Umberto Eco avrebbe scritto «fungheggiano») vini più rilassati, freschi e spensierati, si tornano a dedicare vigneti importanti alla produzione del Valpolicella vero e proprio, arretrano gli Amarone neri come la pece, abboccati o dolciastri, estranei del resto alla tradizione codificata dai pionieri. Una cantina non famosa ma sicura, da questo punto di vista, è Terre di Leone, che ha vigne tra Marano e Fumane, e che prende il nome dal nonno del titolare Federico Pellizzari. Doveva essere, a sentire i racconti di Federico e Chiara, sua moglie, un uomo mite, un contadino vero, ricco di esperienza: uno che ha dato sempre il giusto valore alla fatica, come sembra dire dalle poche foto rimaste: è morto a 97 anni. Di lui resta un’eredità nitida, oltre che il vecchio motocarro, ancora funzionante, che riuscì a comprare in Trentino, dopo varie peripezie. L’azienda che ne ricorda il nome e la figura, condotta oggi da Federico e Chiara, produce quattro vini: uno stravagante uvaggio di quattordici varietà diverse chiamato Dedicatum, un bel Valpolicella Superiore, un Amarone sobrio e minuzioso e uno dei migliori Valpolicella Ripasso che conosciamo.
Confessiamo che la tipologia Ripasso (rifermentazione sulle vinacce non del tutto pressate dell’Amarone) non ci ha mai convinto: troppo frequente imbattersi in vini sgraziati, che tutto fanno meno che assommare le risorse del Valpolicella e dell’Amarone. Almeno per poter operare dei distinguo, consigliamo tuttavia di assaggiare questo, ottenuto da vigne terrazzate a quattrocentoventi metri di quota sui tufi basaltici di Marano, e dopo appassimento delle uve per cento giorni. Si troveranno sottigliezza nella struttura non esagerata e classe nei richiami di peonia, china, spezie balsamiche e prugna; movenze caute ma non macchinose, salvifica acidità a supporto e scenografica apertura finale, dove al contrario di tanti suoi omologhi questo Ripasso regala una sensazione di profondissimo respiro aromatico.