COM’ERA
L’ERTA DI RADDA

«Se mi sforzo di ricordare un momento della mia giovinezza dove c’era una cosa grossa, sono le domeniche dell’austerity. Non c’era qualcosa in più, c’era qualcosa in meno: non c’erano le macchine, le insegne pubblicitarie erano spente… ma era la cosa che assomigliava di più a un’avventura». Non ce ne vorrà Paolo Nori se strapazziamo un po’ il contesto di questa sua dichiarazione, ma per noi vale la stessa cosa con i vini del Chianti Classico: in quelli più memorabili non c’era mai qualcosa in più, ma qualcosa in meno. Non colori saturi né trame aromatiche ricche e speziate, nessuna particolare concentrazione del sapore, nessuna impennata alcolica, nessuna dolcezza posticcia o rassicurante sofficità: al contrario, una certa frugalità dell’impianto, un assetto scarnificato, un gusto sottile e affilato, dal finale teso.

Eppure, a dispetto o forse proprio in ragione di questa fisionomia “in sottrazione”, sono tra i rossi più compulsivi e avventurosi che abbiamo mai bevuto. A Radda, poi, che del Chianti Classico è un crocevia decisivo, questo profilo sottile e slanciato, rinunciatario solo all’apparenza, è spesso il prerequisito delle espressioni più genuinamente territoriali: così nei vini di Paolo Cianferoni (Caparsa) e di Roberto Bianchi (Val delle Corti), di Piero Lanza (Il Poggerino) e di Angela Fronti (Istine). E così anche nei Chianti Classico di Diego Finocchi, raddese poco più che trentenne con vigne esposte a nord-est sui proibitivi pendii della contrada Casin dell’Erta.

Sono vigne che risalgono agli anni Sessanta, acquistate da Diego una decina di anni fa non senza una buona dose di coraggio (lui preferisce dire di incoscienza, vista l’entità dell’indebitamento) e progressivamente reimpiantate a guyot, condotte in regime biologico su terreni sciolti e ricchi di galestro. Benché privo della fascetta della Docg, il suo Com’era è forse perfino più “classico” del Chianti Classico, incorporando anche una quota di uve a bacca bianca, come prescritto dal vecchio disciplinare: la grinta sapida si allea alla dinamica gustativa e la bottiglia si svuota in un attimo.


A Radda, poi, che del Chianti Classico è un crocevia decisivo, questo profilo sottile e slanciato, rinunciatario solo all’apparenza, è spesso il prerequisito delle espressioni più genuinamente territoriali