LACRIMA DI MORRO D’ALBA SFUSO
MAROTTI CAMPI

Può suonare come una provocazione, ma non c’è nulla di pianificato freddamente a tavolino nella scelta di recensire un vino venduto sfuso. Non si vuole intercettare la frangia radical chic (espressione di cui non abbiamo peraltro mai capito il significato, ammesso che ce ne sia uno) dell’avanguardia bevitoria nazionale, né ammiccare ai neopauperisti che riciclano una busta di cartone della spesa fino a quando non si riduce a una poltiglia di cellulosa inservibile. Più semplicemente, più ovviamente, abbiamo deciso di farlo perché la Lacrima di Morro d’Alba che l’azienda Marotti Campi vende non imbottigliata ci è sembrata non buona, ma proprio buonissima. Azienda storica dell’area storica della coltivazione di questo raro vitigno semiaromatico, Marotti Campi fa vino dalla metà dell’Ottocento. Dall’uva lacrima ottiene due rossi imbottigliati di buon valore, il Superiore Orgiolo, molto speziato, strutturato, carnoso, e il più snello Rubico, parente stretto, dal punto di vista stilistico, della più umile Lacrima sfusa.

Quest’ultima non si presenta in una veste più dimessa dei fratelli maggiori: né al colore, che è quasi altrettanto profondo, dai riflessi purpurei e violetti; né nei profumi, invitantissimi nelle classiche note di amarena schiacciata, petalo di rosa, pepe; né al gusto, dove il leggero cedimento a centro bocca in termini di densità e profondità tannica risulta più un punto di forza che un limite per offrire una fresca e vibrante bevibilità. E non si può nemmeno immaginare che si tratti di un vinello debole, prono all’ossidazione precoce. Ne abbiamo bevuti alcuni litri, tenuti in semplici bottiglioni di vetro lasciati scolmi in frigorifero, nell’arco di quasi un mese: l’ultimo bicchiere era fragrante, succoso, fresco, vitale come il primo.


Può suonare come una provocazione, ma non c’è nulla di pianificato freddamente a tavolino nella scelta di recensire un vino venduto
sfuso