Un tempo patrimonio di una ristretta cerchia di adepti, la biodinamica è oggi una verità rivelata alla portata di tutti. Non esiste vignaiolo, consorzio, circolo di enofili, gruppo di acquisto di vini, società di revisione, vasaio che non ne conosca quantomeno il nome e i principi generali. Tutti, a vario titolo, discettano della sua reale efficacia e/o ne seguono le implacabili direttive: anche, per dire, il gommista sotto casa (che monta pneumatici invernali soltanto quando il Sole è nei Gemelli). Tra i pochi in Italia che possono a pieno titolo parlare di biodinamica va annoverato di sicuro Carlo Noro. Ex impiegato di banca da decenni riconvertito all’orticoltura, è da tempo tra i più abili artefici di preparati biodinamici. Conosciuto anche a livello internazionale, fornisce alcune delle case vinicole più celebri del pianeta (la Coulée de Serrant nella Loira, per fare solo un esempio illustrissimo).
Da qualche anno Carlo e famiglia – in particolare il figlio Simone – si dedicano al salvataggio e alla valorizzazione di alcune delle più venerabili vigne del Piglio. E da poche vendemmie ne propongono una loro versione, vinificata in una piccola cantina dentro il paese, scavata nella roccia. Il Collefurno, che prende il nome da un pregiato cru della zona, ha conosciuto in verità una partenza piuttosto sincopata: le prime annate prodotte si possono definire vistosamente sperimentali, punteggiate da qualche incertezza olfattiva e certo non compiute sul piano formale. Gli ultimi imbottigliamenti, però, mettono a fuoco una silhouette più precisa, pur muovendosi su un modello di schietta rusticità, più che di particolare eleganza aromatica. Grintoso, sapido, verace, dai tannini ruspanti e saporiti, il Collefurno piacerà a chi non ama i vini “leccati”, vellutati, ovvi, ma apprezza al contrario liquidi più scalpitanti e vitali.
Piacerà a chi non ama i vini ‘leccati’, vellutati, ovvi, ma apprezza al contrario liquidi più scalpitanti e vitali