MONTEPULCIANO D’ABRUZZO CONCRETE
DE FERMO

Assiduo frequentatore della pittura en plein air, Cézanne sosteneva che «un quadro deve contenere in sé perfino l’odore del paesaggio» (Merleau-Ponty, Il dubbio di Cézanne, 1945). Non chiediamo forse la stessa cosa anche a un vino? Di restituirci il gusto di un territorio, il sapore originale e genuino di un certo luogo? Azzardiamo questa analogia mentre attraversiamo i locali di una pinacoteca dove si è appena conclusa una degustazione di vini. È una pinacoteca di paese, nessun Cézanne appeso alle pareti, nessuna particolare ambizione di esplorare chissà quale segreta corrispondenza tra arte e vino. Semplicemente un vignaiolo che ha raccontato la sua storia facendo assaggiare i suoi prodotti. Ma quante volte da una semplice degustazione di vini si ramificano riflessioni che vanno oltre il bicchiere? Si partiva dal vino, certo. In particolare da questa nuova etichetta presentata da Stefano Papetti: il Concrete.

Un Montepulciano d’Abruzzo ottenuto dai vigneti di Loreto Aprutino attraverso una vendemmia leggermente anticipata e una macerazione più breve del solito, di appena cinque giorni; un rosso svinato più velocemente, ancora a metà del suo percorso, quindi torchiato a mano con leggerezza, per mantenere fragranza e vinosità. Così va intesa la scelta delle vecchie vasche in cemento, materiale che suggerisce il nome al Concrete: un rosso imbottigliato a fine estate, da bere fresco, una bottiglia da svuotare senza troppe costruzioni, in quello spirito da osteria a cui Papetti, da buon bolognese, è molto legato. Ma siamo in pinacoteca e forse ora il richiamo a Cézanne si fa un po’ più chiaro: come la sua pittura riesce a cogliere il contorno nascente degli oggetti, a restituirci il sapore del paesaggio nel suo “alone di mosso”, così anche il nuovo rosso di De Fermo, con il suo carattere in progress ci ricorda che la percezione è sempre “in divenire”. E l’organizzazione spontanea della sua materia, l’assenza di una definizione precisa, di un risalto nitido, di un assetto concluso, non indicano un limite di incompiutezza, ma una preziosa risorsa di vitalità.


Non chiediamo forse la stessa cosa anche a un vino?
Di restituirci il gusto di un territorio, il sapore originale e genuino di un certo luogo?