TERRE DI COSENZA POLLINO MAGLIOCCO
GIUSEPPE CALABRESE

La complicità e l’amicizia di un “basista” attento e generoso come Giovanni Gagliardi ci ha garantito in questi ultimi anni un osservatorio privilegiato per il monitoraggio dei diversi scenari del vino calabrese. Scenari in profonda trasformazione, animati dalle esperienze di vignaioli di talento che hanno rivitalizzato il panorama del vino di ispirazione artigianale in molti dei più vocati territori della regione. Ma se i nomi dei migliori artigiani del Cirò – da Francesco De Franco (‘A Vita) a Sergio Arcuri, dai fratelli Scialanga (Cote di Franze) a Cataldo Calabretta – cominciano a farsi conoscere e apprezzare anche al di fuori del contesto locale, più lenta e tortuosa sembra la strada per un adeguato riconoscimento dei vignaioli cosentini.

Tra questi, accanto alle esperienze pilota di Antonello Canonico (L’Acino) e Pierpaolo Greco (Spiriti Ebbri), va annotato anche il nome di Giuseppe Calabrese, che lavora due ettari di vigna sulle argille rosse della campagna di Saracena. Fedele all’esempio di sua nonna Peppina e ai consigli di Giovanni Gagliardi, Giuseppe produce un rosso da uve magliocco ottenuto da vigne esposte a nord-est e piantate ad alberello negli anni Settanta. Lo abbiamo incontrato di recente a Navelli, dove si tiene già da qualche anno, a inizio maggio, uno dei più stimolanti saloni del vino artigianale. E qui Giuseppe, “Calabrese” di nome e di fatto, ci ha mostrato una profonda empatia con il suo vino, con il quale condivide l’essenzialità dell’espressione, la scarsa confidenza con i convenevoli e un approccio senza orpelli né artifici di sorta: solo zolfo e rame in vigna (è in bio già da cinque anni, imminente la certificazione), solo acciaio (un anno) e vetro (quindici mesi) in cantina. La prima annata in bottiglia è la 2013 e ci rivela un rosso di sorprendente naturalezza espressiva, che non sembra affatto il vino di un esordiente. E questa sua spontaneità ha ben poco a che vedere con le versioni più sdolcinate e velleitarie di una varietà ancora tutta da scoprire.


Giuseppe, ‘Calabrese’ di nome e di fatto, ci ha mostrato una profonda empatia con il suo vino, con il quale condivide l’essenzialità dell’espressione, la scarsa confidenza con i convenevoli e un approccio senza orpelli né artifici di sorta