Vino della tradizione italiana, presente sulle tavole per decenni come bottiglia “importante”, oppure, in versioni più popolari, come rosso da tutto pasto, il Cirò ha vissuto una sorta di lenta discesa nell’oblio. Quasi tutti i Cirò disponibili dieci anni fa – salvando alcune eccezioni, ben note – erano duri, alcolici, di stile ossidativo nel senso di uscire scientemente quando la freschezza del frutto si era eclissata a favore di toni evolutivi e minerali; e non mancavano i vini progettuali, cioccolatosi e dolciastri, improbabili vista l’origine dichiarata. È poi arrivata una nuova generazione di produttori: Francesco De Franco, poi Sergio Arcuri e i due fratelli Scilanga, e altri: e tutto ha vissuto una sorta di rivisitazione, che non ha rinnegato il Cirò di un tempo ma da questo è partita, per indagarne le possibilità con occhi, per così dire, nuovi. Tra i produttori della nouvelle vague cirotana, c’è Cataldo Calabretta, che rappresenta sì la quarta generazione di viticoltori in famiglia, ma anche la prima a imbottigliare con il cognome in etichetta, il che è avvenuto sulla vendemmia 2012.
Il Cirò Rosso Classico Superiore Riserva è il suo vino dal nome più lungo e dalla maggiore ambizione. Deriva da un vigneto collinare di tre ettari esposto a nord; la vigna, di vent’anni di età, è ad alberello e dimora su terreni argilloso-calcarei, poveri e poco profondi. La fresca estate del 2013, unita al mare di luce che investe la costa, ha portato risultati strabilianti, tanto che l’annata appare oggi come la più grande almeno degli ultimi quindici anni in zona. Quasi tutte le fotografie scattate alle uve di gaglioppo che fanno mostra di sé su siti e brochure, per dire, sono state scattate durante quella vendemmia, a fine ottobre: l’uva sembra finta, foderata di velluto blu. I vini hanno profumi in via di disvelamento dopo un avvio austero, alte acidità, tannini maturi e struttura generosa ma non elefantiaca. La Riserva di Cataldo, affinata in cemento, sa di visciola e prugna, fiori e iodio; qualche nota di tartufo e di humus lo approssima alla terra e ai suoi profumi, ma la consistenza al palato è quella di un rosso fine, evocativo e marino. Un primo, grande risultato per Cataldo, vignaiolo e uomo da conoscere e incoraggiare. Speriamo solo non ci tolga il saluto per avere noi proposto per questo suo piccolo capolavoro una ricetta catanzarese.
La vigna, di vent’anni di età, è ad alberello e dimora su terreni argilloso-calcarei, poveri e poco profondi. L’uva sembra finta, foderata di velluto blu