ETNA ROSSO ’NZEMMULA
BRUNO FERRARA SARDO

«Lu piaciri di stari ’nzemmula» è il piacere di stare insieme: in definitiva, se ci guardiamo dentro, il significato conviviale è quello che ci ha tenuti avvinti al mondo del vino più di quanto non abbia fatto la sua, diciamo così, “qualità”. Questa storia nasce lungo la pendice settentrionale dell’Etna, in comune di Randazzo, e parte come molte altre: con un agricoltore nella sua terra, che comprende un pezzo di vigneto da cui trarre il vino per il consumo domestico e un po’ di sfuso da vendere. La contrada dove il vigneto è piantato ha un altro nome magnifico, Allegracore, a circa settecento metri di altitudine: qui si trovano i vigneti di Bruno Ferrara Sardo, di età compresa tra i quaranta e i sessant’anni (parliamo dei vigneti, ma anche di Bruno, che ne ha 52).

Il nonno di Bruno era il contadino di cui sopra. Della sua vigna primigenia resta un quadrato di 2.000 metri quadri a piede franco, oggi piuttosto provato; Bruno ne ricava non più di dieci cassette di uva. Il resto l’ha piantato suo padre: un ettaro datato 1977, grazie al quale Bruno ha intravisto la possibilità di imbottigliare un suo vino. Lo ha fatto con la vendemmia 2012, che gli ha dato un Etna Rosso caldo e impetuoso, di quasi sedici gradi di alcol, eppure tutt’altro che scomposto, sfrangiato, faticoso.

Anche il 2014 sarà così, degno figlio del vulcano; e in mezzo, il vino che abbiamo conosciuto per primo, lo ’Nzemmula 2013, più basso in grado e articolato ai profumi (complesse note di grafite, iodio, rosolio e china a sfumare il bel frutto rosso maturo). Sono tutti prodotti artigianali nel senso proprio del termine: li ha partoriti un vigneto in cui da vent’anni, salvo un po’ di rame e un po’ di zolfo, non entra più nulla, «nemmeno le pecore, che ai tempi di mio nonno invece c’erano». In vinificazione, stessa musica: niente lieviti né coadiuvanti, e neppure un milligrammo di anidride solforosa aggiunta. E quando abbiamo rivolto a Bruno i complimenti del caso, per un vino che ci ha incuriositi, inchiodati al bicchiere e infine convinti, ci è arrivata questa risposta: «Grazie, ma non è merito mio. Semplicemente è un regalo dalla vigna, ogni anno: è come se la terra ci fosse riconoscente per averla rispettata, perché non abbiamo più fatto nulla che potesse farla stare male. Io penso che con dell’uva come quella che ci arriva uno debba essere proprio maldestro per fare un vino cattivo».


È un regalo dalla vigna, ogni anno: è come se la terra ci fosse riconoscente per averla rispettata, perché non abbiamo più fatto nulla che potesse farla stare male