BRDA
KRISTIAN KEBER

In un numero monografico dedicato al vino di confine (Oltre il confine, 18, 2014) la rivista Pietre Colorate ha ospitato una serie di riflessioni molto stimolanti sulle criticità di alcune frontiere del vino europeo. Dal Terrano transfrontaliero alle Malvasie senza confini, dal vino basco a quello alsaziano, dalla Valle d’Aosta all’Alto Adige, le etichette più si vogliono funzionali a norme e convenzioni, più si rivelano incapaci di inquadrare la specificità di quelle bottiglie. Che per contro risiede spesso proprio nell’urgenza di andare oltre gli steccati amministrativi e burocratici, per provare a restituire attraverso la “mistura” libera e fluida del vino qualcosa di quel misterioso rimescolarsi di lingue e di culture che segna il vissuto della gente di frontiera. Col senno di poi, un pezzo dedicato al Brda di Kristian Keber sarebbe stato perfetto per quel numero di Pietre: ricavato da una vigna in Slovenia, nella zona di Medana, ma commercializzato interamente in Italia, questo vino bianco è l’epitome dello spaesamento nella sua accezione più feconda e stimolante.

La sua storia data 2012, quando la vigna di Medana viene ceduta a Kristian dal nonno materno, che era solito conferirne le uve alla cantina di Castel Dobra. Si tratta di una vigna quarantenne, piantata in collina ed esposta a sud, dove le viti di ribolla e friulano fanno spazio anche a qualche filare di malvasia. Qui la ponca è più rocciosa rispetto a Plessiva e a Zegla, dove Kristian continua ad abitare e a dare una mano preziosa a suo padre Edi. Nel vino sloveno, però, sente arrivato il momento di confrontarsi con le macerazioni: la gestione vira verso il biologico, le rese si abbassano, la diraspatura è solo parziale e la fermentazione avviene in cemento. Poi una macerazione di circa dieci giorni, che prelude a un affinamento di due anni in botte grande e di un anno in bottiglia. «Mi interessa mantenere il frutto e una beva piacevole, perché il gusto territoriale vive di equilibri, non di estremi». E la versione 2013 gli dà ragione: profumato di miele d’acacia e di fiori essiccati, è un bianco ritmato dalla sapidità, più teso che materico, dal finale slanciato.


L’urgenza di restituire attraverso la ‘mistura’ libera e fluida del vino qualcosa di quel misterioso rimescolarsi di lingue e di culture che segna il vissuto della gente di frontiera