ORTO VENEZIA
ORTO DI VENEZIA

“Voir Venise et mourir” (vedi Venezia e poi muori). Nel 2001 Michel Thoulouze, francese in rotta con i suoi datori di lavoro di Canal Plus, è finito, per una confusione tra nomi di celebri città italiane, nella città lagunare e non a Napoli. Per fortuna non gli hanno tradotto “Voir Brisbane et mourir”. Si scherza, eh. Michel è giunto a Venezia per una precisa determinazione, non certo per caso. E per una forte determinazione ha deciso, contro ogni pronostico, di fare vino proprio nella laguna. Nell’isola di Sant’Erasmo, specificamente: settecento abitanti appena, a mezz’ora di vaporetto da Venezia. Qui la Serenissima ha avuto per secoli il proprio orto, appunto; da cui la scelta, difficilmente evitabile, del nome del vino. Ci si coltivava un po’ di tutto, e anche, guarda caso, delle vigne, come testimonia un atto catastale del 1740.

La sfida di farla rinascere è stata impegnativa. I consulenti coinvolti nel progetto sono figure del calibro dei coniugi Lydia e Claude Bourguignon, agronomi celebri per aver aiutato viticoltori di molte aree storiche, a cominciare dalla Borgogna; e Alain Graillot, apprezzato produttore di Crozes-Hermitage. La vigna, di circa quattro ettari, è su piede franco e ospita diverse varietà, principalmente malvasia istriana, poi vermentino e fiano. Il suolo, argilloso, contiene calcare e sedimenti trasportati dai fiumi che scendono dalle Dolomiti.

Da questo impasto il produttore fa derivare la spiccata mineralità del vino, che ha grinta e sapidità da vendere. Anzi, sarà forse per una forma di autosuggestione, ma la prima “snasata” sembra proprio suggerire la percezione olfattiva della laguna veneziana, un misto di note salmastre e sentori di acqua stagnante: ma è un attimo, un classico assetto di riduzione iniziale. Che si schiarisce rapidamente, con l’aria, in profumi più apertamente agrumati, sia pure sempre percorsi da sfumature di alga marina. Il gusto è netto, affilato, deciso, mai però troppo nervoso o scomposto. Da provare, non foss’altro per la semplice evidenza che si tratta dell’unico vino prodotto nei confini della impareggiabile città sull’acqua.


Qui la Serenissima ha avuto per secoli il proprio orto, appunto; da cui la scelta, difficilmente evitabile, del nome del vino