NOÈ
STEFANO AMERIGHI

Al crocevia di quattro diverse regioni (Marche, Lazio, Abruzzo e Umbria), nonché conteso da due Parchi Nazionali (quello dei Sibillini e quello del Gran Sasso), il territorio di Arquata del Tronto ha un passato di terra vignata che oggi non è affatto ovvio indovinare. Ce lo rammenta Maurizio Silvestri, che nel racconto di Un altro viaggio nelle Marche (Exòrma, 2012) ha dedicato a questi luoghi pagine ispirate. E ci mostra una foto datata 1915 in cui si vedono filari di vigna arrampicarsi fino ai bastioni della rocca, sotto l’ombra severa e insieme protettiva del Vettore. Il più alto dei monti Sibillini Maurizio lo descrive «massiccio come un eroe omerico»: una sorta di macchina del freddo, che garantisce escursioni termiche degne di un villaggio alpino e sulle cui falde le nevi permangono regolarmente fino a maggio inoltrato.

È in questo paesaggio di montagna, dai confini ineffabili e dai dialetti improbabili, che affondano le radici del vino Pecorino, un bianco che qui nel suo habitat rivendica un assetto verticale, un grado leggero, un’acidità veemente e un’infiltrante salinità. Tutti caratteri necessariamente stemperati da quando la sua fortuna si è trasferita giù a valle, tra le calde colline di Offida e di là dal Tronto. Ed è proprio tra i boschi di Trisungo, minuscola frazione di Arquata dislocata a quota settecento, che Maurizio ha scovato una piccola vigna semiabbandonata e se ne è innamorato.

L’età quasi centenaria del nucleo originario delle viti a piede franco non ha lasciato indifferente neanche il suo amico Stefano Amerighi, già apprezzato interprete del Syrah di Cortona, e la disponibilità del vecchio proprietario – Noè – a concedere la vigna in affitto a un prezzo simbolico ha dato il “la” al progetto. Un progetto tutto in divenire, che ha fatto appena in tempo a ricevere la benedizione di Noè, scomparso all’improvviso un paio d’anni fa: ritrovare in quel bianco dai riflessi ramati l’acidità viperina e la “scodata” sapida del vecchio Pecorino di montagna lo ha giustamente riempito d’orgoglio. E lascia ben sperare tutti noi.


È in questo paesaggio di montagna, dai confini ineffabili e dai dialetti improbabili, che affondano le radici del vino Pecorino