Per i lunghi anni in cui abbiamo cercato di prendere le misure al mondo del vino italiano, alcune domande hanno continuato a zigzagare senza pace nel nostro cervello. Una era: perché, scendendo oltre il confine costiero tra Toscana e Lazio la frequenza dei vini buoni o ottimi si abbatte del tutto? Eppure, a percorrere i luoghi, poco cambia. Le colline dell’entroterra con il mare di fronte creano esposizioni identiche; altitudini e venti sono simili; i terreni, anche. Poteva essere una questione di uomini? La risposta sta arrivando in questi mesi: era proprio così, purtroppo o per fortuna. Purtroppo, perché la constatazione è deprimente, oltre che difficile da spiegare con fattori sociali o culturali, tanto che la costa laziale nord presenta eccellenze, ad esempio, nella produzione di olio extravergine. Per fortuna, perché per uscire dall’impasse in tempi brevi basta credere nel territorio e scommettere sulla sua plateale vocazione. E un giorno, finalmente, scopriamo che qualcosa si è mosso.
La manifestazione concreta delle nostre speranze è questa bottiglia di Vermentino, che si chiama Nethun, nome etrusco del dio del mare, presentato da una bella, semplice e antiretorica etichetta di Guido Sileoni su cui nuotano quattro pesciolini. Lo produce Marco Muscari Tomajoli, che ha trent’anni e parecchio coraggio. Il vino viene da un vigneto di mezzo ettaro poco lontano dal mare di Tarquinia, piantato nel 2007 da suo padre Sergio, poi prematuramente scomparso, e dal suo enologo Gabriele Gadenz, in faccia al Tirreno, su una collinetta di terreni freschi, leggeri, calcarei. Al bando sistemici, diserbanti, concimi chimici, eccessi di solforosa. Ed è una ventata marina pura e diretta a inaugurare il bouquet del Nethun 2015, aperto a note di frutta insieme dolci e asprigne e a sottili cenni floreali ed erbacei. Il sorso è modulato tra una contenuta morbidezza alcolica, un’acidità equilibrata, un graffio minerale. Un bianco espressivo e attendibile, distante dall’approccio civettuolo e banale di molti vini locali degli ultimi anni, così artificiosi e seriali. Se di un “nuovo corso” del vino di questa costa ci troveremo un giorno a parlare, gran parte del merito andrà quindi accordata a Marco Muscari Tomajoli, al suo virtuoso progetto d’insieme e a chi lo ha aiutato a costruirlo, su fondamenta tecniche e morali che ci paiono solide.
Per uscire dall’impasse in tempi brevi basta credere nel territorio e scommettere sulla sua plateale vocazione.E un giorno, finalmente, scopriamo che qualcosa si è mosso