Vigne come quella di Punta Fieno, estremo meridionale dell’isola di Ponza, una volta viste, non si dimenticano. Prima di tutto, per l’accesso: ci si arriva solo via terra, dopo una scarpinata di tre quarti d’ora sullo sterrato tra piante spinose, curve, strapiombi, feroci scalate e discese precipitose. La micidiale mulattiera, d’estate, presenta un ulteriore elemento di bellezza nei profumi delle ginestre e della salsedine, nei gradienti di verde della macchia e dei fichi d’india, e uno di patimento nel caldo allucinante che, a parte il sole, viene per via riflessa dalle pietre dell’altura, candide e roventi. Un martirio: del resto, la parte iniziale della strada venendo dal porto, la più comoda, fa da Via Crucis il venerdì santo. C’è però un premio per i più coraggiosi, quelli che pervengono in fondo al percorso, sia pure, come accaduto a noi, soffiando come capodogli: uno dei più bei panorami viticoli al mondo, senza iperboli.
Lo spettacolo toglie il fiato, sempre che ne sia rimasto: le terrazze di pietra della Punta Fieno digradano giù fino a un mare di un blu profondo; la biancolella, la forastera, la guarnaccia fioriscono e fruttificano in questo paradisiaco silenzio, guardando, per così dire, la vicina isola di Palmarola. Perché le varietà ischitane, ci si potrebbe chiedere? E di chi sono i vigneti? Le due risposte sono legate tra loro: occorre risalire all’anno 1734, quando Ponza venne colonizzata da Carlo di Borbone assegnando in enfiteusi a coloni napoletani e ischitani pezze di terreno coltivabile. Pietro Migliaccio ebbe questa zona: era di Ischia, e vi importò i vitigni che conosceva. Un suo discendente, Emanuele Vittorio, insieme a sua moglie Luciana Sabino, ha recuperato la vigna, dopo decenni di un abbandono non incomprensibile. L’immane fatica dell’impresa è stata prologo di altre: la costruzione di una cantina a Punta Fieno è inconcepibile per ragioni di tutela paesistica, e quindi, per il trasporto delle uve alla cantina di Dragonara, in centro, non ci sono alternative al dorso di mulo e alla mulattiera sopra descritta. Da una vigna fuori dal tempo, un vino bellissimo, salmastro nei profumi come ce lo si aspetta, ma solcato da sfumature floreali e agrumate di notevole finezza; al palato è nitido, succoso, rinfrescante; se decidete di tentare la gimcana, portatene una bottiglia e lasciatela nel frigorifero che Emanuele vi indicherà, in una piccola grotta; così la volta successiva di premi ne avrete due.
Lo spettacolo toglie il fiato: le terrazze di pietra della Punta Fieno digradano giù fino a un mare di un blu profondo