È comune in tutta Europa la presenza di santi e sante sull’etichetta e nel nome dei vini, quasi sempre per ragioni devozionali o catastali. A vario titolo, ecco allora i santi Leonardo, Cristina, Colombano, Lorenzo, Guido, Felice, e ancora Maddalena, Margherita, Barbara, Gimignano (Geminiano), Caterina, Severo, Giovenale e via dicendo. Qualche volta, però, la logica non soccorre. Ad esempio, c’è nel Lazio una cappella (consacrata nel 1734) all’interno di una tenuta vitivinicola, dedicata a Santa Fresca, sconosciuta all’agiografia cristiana e probabilmente, come un’altra santa “fantasma”, Santa Passera, risultato di una dedica goliardica e – come dire? – più prosaica. Un altro mistero l’abbiamo trovato nell’agro aversano. In alcune antiche tenute resistono ancora gli incredibili impianti “ad alberata”, barriere di vigneto maritate ai pioppi e dunque alte quindici metri, dove più che operai specializzati sarebbe il caso di assumere, per la vendemmia, l’uomo ragno e i fantastici quattro. La chiesetta della tenuta è dedicata a Santa Patena, nome mai portato da nessuna santa. L’edificio venne infatti dedicato alla Patena come oggetto: è il piatto in metallo prezioso dove il celebrante pone l’ostia durante la Messa e che alla fine copre il calice; la pronuncia esatta è “patèna”.
Terminata la parentesi onomastica, veniamo al Santa Patena vino, che nasce da un impianto non ad alberata ma a Sylvoz, su piede franco, su sabbie vulcaniche, tra Aversa e Giugliano. Tanto per tornare velocemente in carreggiata è, nella versione del 2013 da poco in commercio, il più grande Asprinio d’Aversa mai assaggiato da chi scrive. Ha un bouquet di fiori bianchi grassi, agrumi, ruta, mandorla pelata e resina, e un sorso succoso e pieno, sostenuto dall’acidità ma per nulla crudo. Lo produce un uomo speciale, Carlo Numeroso, il cui padre Nicola fu all’inizio degli anni Novanta il vero fautore del recupero dell’asprinio, che spinse, con pochi alleati, all’ottenimento della denominazione di origine controllata. Sono decisamente lontani i tempi in cui la famiglia si limitava a vendere Asprinio sfuso alla distilleria Butòn – e la cosa spiega il successo del Vecchia Romagna Etichetta Nera, “il brandy che crea un’atmosfera”. Oggi l’atmosfera, con bottiglie così, la crea Carlo: anche più di una “atmosfera”, nel caso dei suoi buonissimi spumanti Charmat da Asprinio, tra i quali un Extra Brut millesimato dal carattere imprevedibile.
La chiesetta della tenuta è dedicata a Santa Patena. L’edificio venne infatti dedicato alla Patena come oggetto: è il piatto in metallo prezioso dove il celebrante pone l’ostia