Non si può dire che il carattere di Marilena Voyat, ex campionessa di atletica leggera, sia semplice e immediatamente comunicativo: lo scambio di opinioni, in special misura con la categoria sospetta dei giornalisti enologici, non è tra i suoi atout migliori. In piena coerenza genetica con il padre, il leggendario Ezio Voyat, figura storica della vitivinicoltura valdostana, questa volitiva produttrice preferisce che parlino i suoi vini. E i vini sono, per parte loro, decisamente espressivi. «Sono cresciuta con il vino – ricorda – a tavola tutti i giorni c’erano i nostri rossi. Ricordo in particolare i ‘59 e i ‘61, che sono stati buoni per molti anni».
Le vigne ospitano viti di moscato di Chambave, varietà che qui è coltivata da secoli e che tradizionalmente viene fatta appassire per dare bianchi da dessert di particolare luminosità e intensità. Il Bianco La Gazzella, battezzato con il soprannome della Voyat quando gareggiava, sceglie invece la strada del vino tirato “a secco”, senza zuccheri residui percettibili. Ne risulta un prodotto originale e affascinante, ricco di sfumature, ingannevolmente dolce all’olfatto (panettone, petali di fiori canditi, fichi secchi, albicocca disidratata) e viceversa netto, affilato, vibrante, acido e salino al palato.
Il difficile bilanciamento tra spinte e controspinte gustative si realizza in modo naturale, senza forzature. Nasce così non soltanto un bianco tutto meno che ovvio, ma anche – e forse soprattutto – un liquido prodigiosamente versatile per la tavola: provatelo su un primo piatto con qualche elemento morbido, come una pasta con sarde, uvetta e pinoli, o con prosciutto affumicato, o su un formaggio caprino fresco. L’abbinamento, al netto dell’inevitabile variazione dei gusti personali, potrà sorprendervi.
Le vigne ospitano viti di moscato di Chambave, varietà che qui è coltivata da secoli e che tradizionalmente viene fatta appassire»