CAMPI FLEGREI FALANGHINA SINTEMA
CANTINE BABBO

Tra i più singolari terroir del vino italiano va certamente annoverato quello dei Campi Flegrei, la caldera vulcanica larga quasi quindici chilometri e ubicata a nord-ovest di Napoli. Le vigne vanno cercate salendo per le strette stradine di collina: sono disseminate sulle alture del distretto, che nascondono laghetti, solfatare, sorgenti termali, fumarole, boschi enormi come quello del cratere degli Astroni, e tracce di antiche architetture. Terra scura, tiepida, polverosa come la cenere, del tutto ostile a moltissime colture e per fortuna anche alla fillossera, qui mai nemmeno avvicinatasi, tanto che la vasta maggioranza dei vigneti è a piede franco, e qualcuno è ancora eredità tardo-ottocentesca. Le varietà dei Campi Flegrei, vigneti sperimentali a parte, sono due, il piedirosso e la falanghina, la quale “canta” qui con un registro di voce che se ci passate la metafora, comparato a quella più profondo dell’entroterra irpino e sannita, definiremo “sopranile”.

Della ventina di cantine operanti oggi nei Campi Flegrei, almeno sei o sette vanno poste d’autorità, a nostro giudizio, nel gotha della produzione regionale, dopo anni, quelli recenti, di eccezionale fermento. Alcuni nomi sono ora giustamente noti al pubblico degli appassionati (Agnanum, Cantine Astroni, Contrada Salandra, La Sibilla), altri – un ulteriore esempio è Cantine dell’Averno – stanno scalando posizioni, puntando in modo deciso su valori qui abbastanza facili da accertare, come la tipicità e la sobrietà espressiva.

Proprio in quest’ottica abbiamo pensato di segnalare il deciso progresso fatto segnare recentemente dalla cantina di Tommaso Babbo, che vigne di pregio le ha sempre avute, ma mai aveva a nostra memoria sfornato vini come le ultime versioni del Piedirosso Terracalda, trasparente, delicato e assai sapido, e della Falanghina Sintema. Quest’ultima, annata 2015, ci è parsa avere parecchie frecce al suo arco. Il tenore alcolico di soli 12 gradi in una stagione di quel genere, il minuzioso dettaglio aromatico di pietra pomice, ginestra e limone, sfumato da una lieve affumicatura (del resto “flegreo” viene dal greco flègo, cioè “io brucio”, e “sintema” in geologia è una serie di eruzioni) e una bocca fresca e di estrema sottigliezza nel cui finale pare di respirare l’aria di una cava sono tutte prove dell’originalità del luogo e della positiva sinergia che con questo realizzano, se assecondate, le uve flegree.


Terra scura, tiepida, polverosa come la cenere. Del resto ‘flegreo’ viene dal greco flègo, cioè ‘io brucio’, e ‘sintema’ è una serie di eruzioni