Alcuni dei migliori bianchi italiani dimostrano la loro reale qualità dopo diversi anni di maturazione in bottiglia. Reticenti da giovani, poveri di profumi, si mostrano in una veste aromatica dimessa, sfuggente. Più muti di Guglielmo I d’Orange, detto il Taciturno, vanno attesi con pazienza. La terziarizzazione dà loro un supplément d’âme, un supplemento d’anima, come dicono i cugini cisalpini. È il caso, per fare i nomi più conosciuti e assodati, delle varietà trebbiano d’Abruzzo e greco di Tufo. Quest’ultimo è un vitigno scorbutico, poco addomesticabile. Sensibile come pochi alle più piccole variazioni in termini di andamento climatico, vendemmiale, vinificativo, affinativo, nei primi tempi di permanenza nel vetro tace, se ne sta a braccia conserte in un angolo. Solo dopo un lustro o giù di lì, a seconda del carattere dell’annata di provenienza, comincia a sciogliersi, a esprimere la sua vera personalità.
Assecondando tale natura, Ester Centrella, il marito Michele e i loro figli scelgono di far uscire il loro saporito Greco di Tufo dopo diversi anni dalla vendemmia. Da poco finito il 2010 (magnifico), è ora in commercio il 2011, di più difficile lettura iniziale, ma molto promettente. Viene ottenuto da vigne nei comuni di Torrioni (che ha i terreni e le esposizioni forse più felici per la varietà) e di Altavilla Irpina. Vinificazione senza particolari artifici né affinamenti in legno, decantazione naturale, attesa sapiente che il vino dica qualcosa, e la dica in modo chiaro. Arriva così sugli scaffali un bianco di colore intenso, luminoso, giallo pieno, dai profumi austeri di pietra focaia sfregata (sì, perché la pietra focaia non sfregata è priva di odori), sfumati da sottili venature agrumate, al palato strutturato ma vivo, affilato, senza che l’alcol e i tannini ne frenino la corsa gustativa. Buonissimo, insomma, e da stappare anche in inverno, azzardando perfino l’abbinamento con la carne di maiale. Magari a qualche grado in più di temperatura rispetto ai calici appannati per il freddo bevuti d’estate.