«Agronomo e contadino dalla nascita», si definisce Francesco Valentino Dibenedetto. Suo padre Carlo, già viticoltore, lo ha tenuto sin dall’inizio in questa specie di incubatrice di azione e di pensiero che è la vita agricola. Ad ascoltare lui, o suo figlio Andrea, o gli altri tre ragazzi della famiglia, si comprende come il progetto dell’Archetipo sia essenzialmente di pensiero, meditato, aperto alla sperimentazione e alla riflessione, alla ferma costanza su alcuni valori e all’ammirevole capacità di cambiare idea su altri. I Debenedetto lavorano, in quella che chiamano agricoltura sinergica – una sorta di messa in risonanza reciproca di tutti gli “anelli” dell’ecosistema agricolo – circa venti ettari di vigneto, alla base della zona delle Murge, su terreni totalmente differenti da quelli grassi e fertili cui si pensa spesso a riguardo della Puglia del vino, e che si stendono più a sud. Qui regna il calcare, e nei vini la finezza e la flessuosità, se si ha cura di non frapporsi tra la vocazione di un luogo e il suo prodotto alimentare culturalmente più alto.
Primitivo, greco, aglianico, fiano, susumaniello, maresco, marchione sono le varietà d’uva presenti nelle vigne aziendali, portate avanti curando l’integrità strutturale e microbiologica dei suoli e dei sottosuoli. Non si effettuano arature, considerate dannosissime, il cui compito è demandato ai lombrichi; men che meno si usano diserbanti o pesticidi, mezzi pesanti o OGM. Anche in cantina i protocolli sono nel segno della preservazione di una traccia locale, “archetipica”. Rapiti da una coerenza inattaccabile, abbiamo ascoltato la descrizione della visione aziendale; poi, laicamente, abbiamo assaggiato i vini, trovandoli ottimi, soprattutto il Greco Bianco che proveremo a raccontarvi. Ottenuto da un vigneto di sedici anni, è stato vinificato immettendo nella massa un pied de cuve già avviato alla fermentazione dai lieviti locali; dopo sei mesi sulle fecce nobili, il vino si è affinato in acciaio ed è stato imbottigliato senza aggiunta di solfiti né filtrazione. Nell’annata 2015, il profumo terso di frutta bianca asprigna, fiori e sale iodato introduce un sorso stupefacente per nitore, spazialità, tensione e tenacia della persistenza, pura come un cristallo. Un vino che è anche una strada, tortuosa ma panoramica, per il bianco della regione; speriamo qualcun altro la percorra.
Qui regna il calcare, e nei vini la finezza e la flessuosità, se si ha cura di non frapporsi tra la vocazione di un luogo e il suo prodotto alimentare culturalmente più alto