GROTTA DELL’ORO
HIBISCUS

Cronaca di viaggio e diario di bordo, portolano letterario e raccolta di narrazioni, il Breviario Mediterraneo di Predrag Matvejevic´ (Garzanti, 1991) è sempre un’occasione di godimento, anche laddove la sua lettura sia episodica, disordinata e frammentaria. Così i vini delle piccole isole, sfidati a raccogliere in bottiglia il vento e la luce, spesso sono buoni anche se non sono buoni. Nel senso che possono lasciare in noi una vivida traccia di emozione anche in assenza di una lettura più organica e multidimensionale. Ci accade con i vini di Ponza e di Sant’Antioco, di Ischia e di Capraia, di Pantelleria, di Salina e anche – udite, udite – con i vini di Ustica. Ustica è la prima riserva marina protetta d’Italia, nonché la più antica delle isole vulcaniche siciliane: già ben nota per le sue lenticchie, protagoniste di un pionieristico presidio Slow Food, non può vantare analoga reputazione per il suo vino, che supera raramente i confini locali.

Eppure a fine Ottocento Ustica poteva contare su una quarantina di ettari vitati, ridotti oggi soltanto a sei. Di questi sei, la metà appartiene alla famiglia Longo, con Nicola e sua figlia Margherita, entrambi agronomi, che sul versante nord dell’isola gestiscono una piccola cantina annessa all’agriturismo. E provano così a rilanciare l’interesse per il vino usticese attraverso una produzione meno aneddotica nella quantità e più continua nella qualità. L’impegno sembra confortato da risultati incoraggianti, almeno sul fronte dello zibibbo, che i Longo vinificano tanto nella versione passita che in quella secca. Noi abbiamo particolarmente apprezzato quest’ultima, dove la delicatezza dei richiami agli agrumi canditi e ai fiori di zagara è solcata da bordate di gariga che ne mitigano la dolcezza a tutto vantaggio della sapidità. Forse è presto per dire se la felice espressività mediterranea del Grotta dell’Oro 2015 sia sufficiente a iscrivere anche il nome dei Longo in quell’albo di «angeli matti» di cui parlava Veronelli quando si riferiva al carattere eroico e visionario dei vignaioli delle nostre isole. Ma la piacevolezza di questo Zibibbo è inarginabile e la bottiglia si svuota da sola.


A fine Ottocento Ustica poteva contare su una quarantina di ettari vitati, ridotti oggi soltanto a sei