Tecniche e tipologie

A differenza di “vino da dessert”, espressione infelice e per molti versi impropria (la maggior parte dei vini dolci non sopporta l’abbinamento con i dolci), “vino dolce” è una definizione tecnica: significa vino a residuo zuccherino, che cioè non ha svolto l’intera fermentazione degli zuccheri presenti nel mosto dopo la pigiatura delle uve (una costante delle fermentazioni primitive e rudimentali, che si arrestavano spontaneamente). 

Le uve possono essere fresche (caso raro) oppure appassite (caso più frequente). Con la parziale fermentazione del mosto di uve fresche al giusto grado di maturazione e acidità abbiamo la produzione dell’Asti e del Moscato d’Asti; con quella delle uve appassite tutti gli altri vini dolci d’Italia o quasi. Ambedue effervescenti (spumante l’uno, frizzante l’altro), con la loro fragranza e spigliatezza Asti e Moscato d’Asti sono un’eccezione all’interno del volume, essendo tutti gli altri vini rigorosamente fermi. E passiti. 

La pratica dell’appassimento delle uve è una delle più antiche: permette di rendere il vino più consistente e duraturo. I Greci distinguevano il pramnios o creticos (vino passito) dal siriaisos o hepsema (vino cotto, prodotto attraverso la bollitura del mosto), mentre i Latini chiamavano le due tipologie rispettivamente vinum passum e vinum defrutum. Anticamente si usava unire al vino anche miele, resine e spezie. 

Nel i secolo Plinio il Vecchio (Storia naturale, XIV, 81-85) descrive un sistema di appassimento ancora oggi in uso per la produzione del Passito di Pantelleria: 

Alcuni lo ottengono da qualsiasi tipo d’uva dolce purché molto matura e bianca, facendola seccare al sole fino a che rimanga un po’ più della metà del suo peso: quindi la schiacciano e la spremono leggermente. Poi aggiungono una quantità d’acqua di pozzo pari al succo spremuto, per ottenere un passito di seconda qualità. Se si vuole procedere con più accuratezza, dai grappoli fatti seccare nel modo suddetto si staccano gli acini, che vengono immersi senza i graspi in vino di ottima qualità, finché non si gonfiano, e quindi pressati (il passito ottenuto con questo procedimento è considerato il migliore). 

Poco più avanti riferisce un altro sistema per la produzione del vino dolce – «Per ottenerlo si lascia l’uva sulla vite più a lungo del consueto, dopo aver torto il picciolo» – oggi comunemente chiamato appassimento in pianta con il taglio del tralcio: «Altri incidono il tralcio fino al midollo». 


In una lettera delle Variae (vii secolo) Cassiodoro descrive così l’appassimento delle uve per la produzione dell’acinatico, antesignano del moderno Recioto veneto: «In autunno, dopo essere stata colta dalle viti, l’uva viene sospesa sui graticci delle fattorie [...]. Appassisce e non si liquefà per il fatto che invecchia; allora, emettendo gli umori superflui, acquista un sapore intensamente dolce. Rimane così fino a dicembre [...] e l’“acinatico” diventa vino nuovo quando in tutte le cantine ogni vino è ormai vecchio. [...] L’uva non è pigiata da calci in maniera dannosa, né è contaminata dall’introduzione di qualche sordido elemento, ma ne viene fuori tanta purezza». 

L’appassimento è un processo fisico di disidratazione dell’uva che produce una concentrazione di zuccheri – soprattutto il fruttosio, più dolce rispetto al glucosio –, aromi e acidi organici, generando vini dolci densi, viscosi oppure opulenti al variare di una serie di fattori: vitigni utilizzati, durata dell’appassimento, sistema di vinificazione, periodo di invecchiamento. 

Oggi si distinguono tre principali tipi di appassimento: 

  • in pianta (surmaturazione o vendemmia tardiva; formazione di muffa o marciume nobile; vini da uve ghiacciate o vin de glace; taglio del tralcio); 
  • naturale (all’aperto o al chiuso); 
  • forzato (all’interno di camere o celle termo-condizionate). 

La surmaturazione è una vendemmia posticipata per un periodo variabile dai 10 ai 30 giorni. Produce vini per lo più abboccati con un moderato residuo zuccherino, dunque non particolarmente ricchi e densi. Se il periodo di permanenza dell’uva in pianta si prolunga per più tempo, si ottiene invece una vendemmia tardiva, che equivale a un vero e proprio appassimento in pianta. Durante questo periodo può intervenire l’azione della Botrytis cinerea, un fungo temuto dai viticoltori perché infetta l’acino con il “marciume grigio” o “acido”, provocandone il disfacimento.

Solo in determinati terroir con particolari condizioni microclimatiche (zone dal clima continentale situate attorno a un lago o in vallate arieggiate, con alternanza tra secco e umido grazie a notti fresche, mattinate umide di rugiada o velate dalle brume, giornate assolate e ventilate) l’infezione di questo parassita provoca effetti benefici sulle uve più sane e mature (soprattutto a bacca bianca, con grappolo compatto e buccia spessa). La muffa si sviluppa in forma larvata all’interno dell’acino (detto “infavato” per il colore della buccia simile a quello di una fava cotta), portando i grappoli a una colorazione bruna con l’uva ancora gonfia e liscia (i francesi chiamano questa fase pourri plein), mentre in un secondo momento, quando il micelio si propaga sulla buccia ricoprendola di un velo di muffa, genera acini più scarni e avvizziti: è lo stadio del pourri rôti