Un vitigno antico e inimitabile
Nella numerosa e ramificata famiglia dei moscati italiani, quello bianco o di Canelli è uno dei più eleganti ed eclettici. Produce vini dolci leggiadri ed effervescenti come passiti viscosi e intensi. La vulgata sostiene che discenda dall’antica uva “apiana” citata da Columella nel libro terzo de L’arte dell’agricoltura («Le tre varietà di apiana si raccomandano per grandi doti, tutte abbondantissime di frutto e abbastanza adatte sia alle alberate che ai filari») e da Plinio il Vecchio nel libro quattordicesimo della Storia naturale («Alle viti apiane hanno dato questa denominazione le api, che ne sono ghiottissime»), ma è una filiazione molto dubbia.
Più plausibile una parentela con l’Anathelicon moschaton greco, probabilmente importato in Italia durante il periodo delle Crociate: nel 1204 Venezia si era impadronita di Creta e di altre isole greche, dove si producevano vini aromatici e liquorosi, che cercò di riprodurre sul suolo natio. Nell’etimologia più verosimile, proveniente dalla parola latina muscus, “muschio”, è scritta l’irresistibile lingua aromatica di quest’uva. Si comincia a parlare di moscato nei primi anni del xiv secolo, e proprio in Piemonte. La sua piena affermazione arriverà solo un paio di secoli dopo con la decisione del duca Emanuele Filiberto di Savoia di limitare le importazioni per favorire le produzioni locali. Nell’Ottocento il moscato bianco diventa uno dei protagonisti della viticoltura italiana. Lungo la Penisola si reincarna oggi in varie declinazioni, dalle montagne del Nord (lo Chambave Flétri valdostano) alle regioni del Sud (da Trani a Noto), che incontreremo nei prossimi capitoli. In Piemonte genera, tra gli altri, un vino fascinoso e inimitabile: il Moscato d’Asti.