Il sommelier: dialogo,
contrattazione, guerra

MACISTE CONTRO GEORGES BLANC

Non è un tema particolarmente serio, e mi dispiace se qualcuno rimarrà deluso dall’assenza di argomentazioni profonde sui massimi sistemi del mondo enologico. Il titolo è di Gianlorenzo Lombardi, precoce talento della critica cinematografica, nonché figlio di Riccardo, eccellente psicanalista ma soprattutto critico enologico specializzato in vini di Borgogna. Lo spunto del post viene appunto da Riccardo, che mi fatto ieri una telefonata di sette ore, esasperato dall’ennesima lotta all’ultimo sangue al ristorante con un sommelier.


Il ristorante in questione, francese ma senza avere nulla a che fare con il Georges Blanc del titolo, è [omissis], e il sommelier il noto [omissis], ma l’universalità della scena, che si ripete da anni nei locali di tutto il mondo, rende il discorso perfettamente valido anche per il contesto italiano. Quante volte è capitato anche a voi di aprire una puntuta discussione con il responsabile della cantina di un ristorante per ottenere una bottiglia regolarmente in carta? Quante volte vi hanno opposto le argomentazioni più invalicabili, quali “non è ancora arrivato a maturità”, “non è adatto al suo piatto”, “le consiglio invece l’annata successiva, più pronta”, fino al semplice e classico “non è più disponibile”?

Anche se questo fa covare un sordo risentimento preventivo verso la categoria, più o meno come quello che provano gli automobilisti verso i vigili, i sommelier vanno tuttavia compresi. Stretti tra due esigenze vincolanti, quella di avere una carta dei vini il più possibile ampia e articolata, e quella di vendere, devono per forza di cose difendere le loro bottiglie migliori. Con armi dialettiche lecite e meno lecite. Riccardo parla di una vera e propria “antropologia del sommelier”, cui si è giunti per selezione darwiniana, in cui la vocazione originaria – guidare e consigliare – è spesso in conflitto con una competizione più o meno sotterranea con il cliente. Specie se il cliente ha la faccia tosta di rivelare una certa competenza in materia.

E qui tralascio, per amore di brevità, di aprire il tragico capitolo delle polemiche con i sommelier su eventuali sentori di tappo (“non è tappo, signore, è la nota minerale del vino”, “non è tappo, mi creda, è il terroir del vino che ha queste caratteristiche”, passando per la principale delle negazioni, “lei confonde il tappo con la riduzione”, eccetera).

Dopo una ventina d’anni di esperienza, suggerisco a chi vuole stare tranquillo al ristorante un sano understatement anglosassone. Non cedete alle provocazioni. Accettate anche la famigerata offerta iniziale dell’aperitivo (che ogni tanto ci si ritrova nel conto, magari a 40 euro). Non cercate di far capire al sommelier che intuite la differenza che passa tra un Cannonau e un Bianco di Custoza. Reagite solo se vi propone un Barolo Bianco Spumante, o un Santa Maddalena del 1956. Su tutto il resto, trattate.