Luoghi comuni

SFATIAMO ALCUNI LUOGHI COMUNI SUL VINO

Da decenni, se non da secoli, sopravvivono in Italia diversi luoghi comuni sul vino. Alcuni hanno un loro legame più o meno solido con la realtà, altri vengono ostinatamente perpetuati di generazione in generazione senza che si riesca a rintracciarne un benché minimo fondamento. Vediamo i principali.

“Meglio non mischiare il bianco con il rosso”.

Decisamente infondato. Un medico potrebbe forse avere dubbi nel caso del consumo ravvicinato di bevande dal contenuto in alcol sensibilmente diverso (birra/distillati, per dire). Ma in una normale tavolata alternare un bianco a un rosso, o viceversa, non causa alcun problema accessorio; oltre al fisiologico affaticamento del fegato, beninteso.

“I vini francesi sono sofisticati, i nostri sono più genuini” (variante assai diffusa: “I vini francesi sono peggiori dei nostri”).

A parte la venatura sciovinista dell’assunto, in questo caso comprensibile, data la secolare e assodata spocchia del popolo transalpino, i dati reali ci dicono che la produzione francese è ancora al vertice qualitativo mondiale. Ma attenzione: noi ce la battiamo ad armi pari, soprattutto nel settore dei rossi e dei vini dolci.

“Questo bianco non è dell’anno scorso, mi porti quello più recente”.

Per un radicato pregiudizio molti compatrioti ritengono che i vini bianchi siano simili al latte: che abbiano cioè una sorta di data di scadenza e vadano quindi comprati solo se dell’ultima annata uscita in commercio. Niente di più sbagliato. Pochissimi bianchi di pregio “reggono” solo pochi mesi; la grande maggioranza, al contrario, migliora con due, tre, quattro, e persino otto o dieci anni (e oltre). Per una maggiore longevità incide molto la qualità dell’annata di riferimento, certo. Ma ordinando oggi al ristorante un bianco del 2009 o del 2010 si è moderatamente sicuri di non avere brutte sorprese. Anzi.

“I vini del Sud sono pesanti”.

Per prima cosa si può obiettare: che vuol dire pesanti? Se si intende molto alcolici, nella media si può anche concordare. Ma si tratta di una fuorviante generalizzazione, visto che il nostro Meridione (ivi comprendendo le isole) conta aree produttive dal clima sorprendentemente “settentrionale”: l’Irpinia e la zona dell’Etna, per fare due soli esempi. In tali zone i vini hanno caratteri di freschezza e di bevibilità assolutamente paragonabili ai “confratelli” di aree più nordiche.

“Il rosso va a temperatura ambiente”.

Oltre all’ambiguità intrinseca dell’affermazione (che significa “ambiente”? Se si sta a fine luglio in una cucina che ha raggiunto i 29 gradi, ci si trova a bere un liquido più simile al vin brulé che al rosso di origine), questo cliché azzera numerose variabili che lo rendono nei fatti insignificante: dalla tipologia di vino (più un rosso è giovane, più sopporta e anzi richiede una temperatura di servizio fresca, diciamo intorno ai 13/14 gradi; per non parlare dei rossi frizzanti, che vanno tenuti quasi freddi) all’età (più un rosso è maturo o addirittura anziano, meno tollera le basse temperature), al piatto con il quale viene abbinato.