Suggerimenti pratici e trucchi del mestiere

LA CANTINA COME VOLONTÀ E RAPPRESENTAZIONE

Il mondo del vino sembra complesso e pieno di infinite ramificazioni, ma in fondo il tutto si riduce a sei o settecento macro-temi di base. Tra questi, la teoria della durata nel tempo di una buona cantina è marginale.

Sul soggetto non ho idee nuove, anzi se ci penso mi trovo a riattivare gli stessi, stanchi circuiti neuronali di dieci o vent’anni fa. Un segnale preoccupante. Questa ripetitività mi farà forse trascrivere oggi concetti o parti del discorso di altri, e me ne scuso, ma non ho voglia di andare a controllare le fonti per distinguere tra le modeste elaborazioni della casa ed eventuali plagi.


La parte più difficile è riuscire a commisurare la propria vita con quella della propria cantina. Come dicono gli inglesi mostrando ai figli la propria raccolta di vini, “with any luck, my son, someday none of this will be yours”, “se tutto va bene, figlio mio, un giorno niente di quello che vedi sarà tuo”.

Cercare di sovrapporre le due curve bio-cantinesche non segnala per forza una forma di gretto egoismo. Al contrario, da un lato rivela una natura non accumulatoria, che sfugge alla tentazione del collezionismo, del culto dell’harem. Dall’altro, visto che nella stragrande maggioranza dei casi si beve in compagnia, si traduce in una virtuosa condivisione lungo tutto il proprio arco esistenziale.


Si è davvero amanti del vino quando si sfugge al ricatto emotivo dell’ultima o della sola, grande bottiglia: non se ne rimanda all’infinito la stappatura. Soprattutto, non si attende per forza un’occasione unica come pretesto.

Questa visione rigetta infatti la figura dell’enofilo cacciatore, che cerca, scova e colleziona bottiglie ma potrebbe indifferentemente collezionare monete, cappelli ottocenteschi, lamette da barba. Rigetta la figura dell’enofilo che stabilisce graduatorie di merito per i suoi ospiti: al vicino di casa incompetente ammollo una fetecchia, al collega medico un discreto rosso, alla cena “importante” faccio sfoggio delle etichette più blasonate per impressionare gli astanti e proclamare il mio status imperiale.

Accoglie e incoraggia invece la figura dell’enofilo amanuense, che mette da parte per tutelare, curare, studiare; e quella dell’enofilo dadaista, che a fine ristrutturazione del bagno apre con l’idraulico un Haut-Brion, e rifila invece un Moscato finlandese frizzante all’amico snob. Non disdegna in ogni caso, di quando in quando (de quand en quand, in francese), l’apertura di una bottiglia in solitario, a scopo consolatorio. In sano equilibrio tra generosità condivisoria e sano egoismo residuale, svolge in parallelo il proprio ciclo terreno e quello della propria cantina.

Si favoleggia che il leggendario André Simon, decano e fondatore della letteratura vinistica moderna (al quale si deve la limpida, netta definizione di intenditore di vino: “chi sa distinguere i vini buoni da quelli cattivi, e sa apprezzare i diversi meriti dei diversi vini”), sia defunto a 93 anni lasciando in cantina due sole bottiglie*.


(*) Due magnum.