La gran vergogna di scoprire la Valtellina a 62 anni. Perché in treno, se bevo rosso, bevo soltanto il Valtellina di Negri.
Chi non è mai stato in Valtellina, ci vada. E ci vada subito, prima che sia troppo tardi. Non perché, qui, il paesaggio sia minacciato da pericoli più gravi e più imminenti di quelli da cui sono ormai minacciati i paesaggi di tutto il resto del mondo. Ma perché si tratta di una bellezza così straordinaria e così incredibilmente intatta, che mi pare difficile possa durare ancora a lungo, e che un caso qualunque, da un giorno all’altro, non la offuschi. Quando penso che sono arrivato a sessantadue anni senza conoscerla e che, molto probabilmente, se non fossi stato punto dallo stimolo di questo viaggio di assaggio alla ricerca di “qualche vino” genuino, sarei ancora vissuto continuando a ignorarla, mi sento invadere dalla vergogna.
Conoscevo, è ovvio, i vini della Valtellina. Per antica abitudine, in treno non bevo mai altro. Il Valtellina di Negri, tra tutti i rispettabili rossi offerti dalla Compagnia Internazionale Wagons-Lits, è il solo che sia magro, scivoloso, leggero di corpo, e che, quindi, non soffre, o piuttosto soffre un po’ meno di quelli più corposi e più densi (Barolo, Chianti, ecc.), lo scuotimento continuo cui è sottoposto. Qualche altra volta, in casa di amici o in trattoria, avevo gustato un Sassella, un Grumello, un Inferno. Ma era forse conoscere un vino, berne, così, di tanto in tanto, un bicchiere? Credevo di sì, fino ad oggi, credevo ingenuamente che bastasse. Il soggiorno in Valtellina mi ha aperto gli occhi: un po’ tardi, certo, ma per sempre, e senza più nessuna possibilità di richiuderli. Appena visti i vigneti dell’Etna e del centro della Sicilia, appena gustati quei vini sul luogo, mi sembrò di capire. La verità continuò a balenarmi a Lèttere, a Lusciano, a Montalcino... Ora, dopo essere stato in Valtellina, non ho più dubbi.