Prolegomeni al mio secondo “viaggio del vino”. Insufficienza del razionalismo in vitivinicoltura. Opera d’arte o essere vivente?
Comincio questo secondo “viaggio del vino” credendo ancora più fortemente alle verità che mi erano parse il frutto del primo viaggio, il sugo e il senso finale di quella prima esperienza fatta due anni or sono attraverso vigne e cantine d’Italia, dall’Etna al Monte Bianco, scelte senz’ordine e senza sistema, a istinto o a capriccio, qua e là. Il vino è un prodotto squisitamente e costituzionalmente artigianale, quasi artistico, condizionato dal luogo e dai limiti della terra dove maturano le uve, e caratterizzato dai metodi tradizionali, che non escludono caute innovazioni, e dalle cure individuali (di un individuo o di un piccolo gruppo di individui) con cui si eleggono i vitigni, si piantano e si potano le viti, si procede agli innesti e alle disinfezioni, si monda il terreno intorno, a suo tempo si vendemmia, si pigia diraspando o non diraspando, si lascia fermentare più o meno a lungo, si folla, si tira, si filtra, si mescola poi con altri mosti, ecc.
Infinite sono, in questo processo, le variazioni, le combinazioni, le complicazioni. Influiscono, sui successivi accorgimenti, il clima della stagione in cui sono messi in opera, e il clima della stagione o delle stagioni immediatamente precedenti. Influiscono perfino le condizioni della giornata. L’aria, il vento, la luce, l’umidità: tutto, di volta in volta, diversamente suggerisce e quasi ispira. Non è possibile, dunque, razionalizzare fino in fondo la vitivinicoltura: non è possibile industrializzarla. E anche se fosse possibile (in qualche misura, naturalmente, lo è), non bisogna industrializzarla. Perché, tra i due estremi, il manufatto calcolabile e programmabile sia nei modi e nei tempi della lavorazione sia nella qualità del risultato finale, e l’opera d’arte, imprevedibile e misteriosa, il vino assomiglia, in ogni caso, più a questa che a quello.
Dobbiamo, infine, ricordare che il vino, a differenza dei liquori, è una creatura biologicamente autonoma: qualcosa che continua a vivere, che si trasforma continuamente, che fermenta anche in bottiglia, che sente il tempo e il luogo, che si esalta, che raggiunge un optimum, che si degrada e muore. Pretendere un vino stabile è una contraddizione in termini.
Esistono vini che l’esame chimico dichiara perfetti, ma che il palato condanna e rifiuta senza la possibilità di nessun controllo scientifico, anche il più moderno e raffinato. Dobbiamo accontentarci che questo esperimento non sia reversibile: è già molto che un vino eccellente all’esame organolettico dell’esperto e al gusto del profano non sia poi condannato dall’esame chimico: è già molto che ciò non accada mai. Ma il profumo, il sapore, l’incanto ultimo e individuale di un buon bicchiere di vino si identifica, in definitiva, con un “quid” che sfugge a qualsiasi analisi scientifica: allo stesso modo, appunto, che nessuna dimostrazione filologica potrà mai tradurre in formule o in ragionamenti la bellezza di un Tiziano o di un Leonardo; né la bellezza e la bontà di una persona umana...
Per la verità, questo secondo paragone, più umile, è anche più appropriato. Infatti, l’opera d’arte, benché umana in quanto creata da persona umana, in sé è immutabile, fissa, ha qualcosa di morto, e una volta compiuta non cambia più, se non, come per esempio la musica, nelle esecuzioni e nelle interpretazioni: mentre il vino, lo abbiamo già detto, una volta creato si modifica per suo conto, e nei primi tempi vive protetto e seguito dalle cure del suo fattore né più né meno di un fanciullo da quelle della madre. Ecco perché, molto probabilmente, ci si accosta di più al vero se si definisce il vino qualcosa di mezzo tra l’opera d’arte e l’essere vivente. Ecco perché è molto più arduo, al di là di un certo limite negativo, esprimere un giudizio inappellabile sulla qualità di un vino che sul valore di una pittura o di un poema.
Seguono, da questo concetto del vino, innumerevoli corollari. Alla rinfusa, elenchiamone qualcuno. E chiediamo scusa fino da adesso se, sorprendendo il lettore profano o irritando l’esperto, potremo, in ogni caso, disturbare l’uno e l’altro. Non soltanto la qualità di un prodotto umano, ma perfino la capacità di goderne è sempre frutto di pazienza, di attenzione, di cure, di fatica.