Nelle provincie di BELLUNO, VICENZA, TREVISO, VENEZIA

Viaggi di piacere senza il piacere di viaggiare. Vado a Feltre alla ricerca di un Clinto. Un vino disprezzato dagli enologi. Il consiglio di una dama della Serenissima e la mia perplessità.

Sono arrivato all’età di sessantaquattro anni senza mai avere fatto ciò che comunemente si chiama un viaggio di piacere. Prima di tutto perché non ne ho mai avuto il tempo. Non mi sono mai preso una vacanza. In compenso, ho sempre cercato, quando potevo e finché potevo, di lavorare divertendomi, distraendomi, confondendo piacere e fatica. Le rare volte che, sentendomi stanco, desiderai un po’ di riposo, non pensai neanche per un istante alla possibilità di viaggiare, ma piuttosto a quella di non muovermi. Vivere in un angolo perduto di campagna o di collina, sulla riva di un lago o del mare: la mattina leggere qualche buon libro; il pomeriggio giocare a bocce, e la sera giocare a scopone: ecco, anche se non mi è stata mai concessa, la mia vacanza ideale: non ho chiesto e ancora non chiedo niente di più né di diverso.

Viaggiare per conoscere il mondo; viaggiare per svago o, come si diceva una volta, per diporto; viaggiare per istruzione: nulla mi pare altrettanto inutile e noioso. E il Tedio e la Stanchezza di tutta la vita assumono, nel mio ricordo, il volto e il passo di una carovana di turisti che, nel sole estivo, attraversano il prato del Duomo di Pisa al seguito di una cicalante guida patentata.

Bisogna, quando si viaggia (quando si viaggia? quando si vive!), avere sempre uno scopo ben preciso e limitato. Altrimenti, anche i più meravigliosi spettacoli della natura, anche le supreme bellezze dell’arte, insomma tutto ciò che capita sotto il nostro sguardo rischia di sembrare opaco: poiché rifletterà soltanto la povera luce del nostro disinteresse, e scorrerà, così, sulla nostra memoria senza lasciarvi traccia.

Non ero mai stato a Feltre. Vi arrivai una mattina dello scorso settembre. Avevo appuntamento col signor sindaco per le undici, in municipio. Ma non avevo calcolato con sufficiente pessimismo le difficoltà del traffico. Ero in ritardo di quasi un’ora. Percorremmo a tutta la velocità consentita i viali della città moderna, che giace in una pianura triangolare, conca tra i monti; entrammo dalla stretta Porta Imperiale; risalimmo per via Mezzaterra la Collina detta della Capra, su cui si arrocca, cinta da mura, la città cinquecentesca; passammo davanti alla casa Tauro, alla casa Franceschini, ai palazzi Bellati, Guarnieri, Muffoni; giungemmo alla Piazza Maggiore e alla Piazzetta delle Biade, dove il municipio... Antichi bugnati, solenni architravi, sagome e aggetti corposamente rilevati, tutto un insieme classico, rustico, robusto e ricco: un’impressione forte e compatta, di cui, sul momento (per la fretta, per la preoccupazione della brutta figura che, ritardando, avrei fatto col signor sindaco, o anche per il timore di non trovare più nessuno in municipio, e di perdere, così, l’occasione di capire qualcosa che non avevo mai capito fino allora), non prendevo nemmeno coscienza, ma che intanto si depositava in me: che mi rimaneva.

Che cosa volevo capire? Ero tutto teso alla ricerca di un buon Clinto: vino, come già ho detto, così umile che non si trova in commercio ma si vende e si compra solo con trattative dirette e private tra produttori e consumatori; vino, in ogni caso, così a buon mercato, che non vale certo la pena di sofisticarlo, ed è, perciò, l’unico vino sicuramente e sempre genuino; vino, che gli enologi disprezzano per la ruvidezza, per l’eccesso di tannino e di colore e per la bassa gradazione alcoolica: vino, però, che i veri veneti, vecchi e giovani, tutti gli agricoltori tra Verona, Vicenza, Padova, Rovigo, Treviso e Belluno, amano più di ogni altro come vino da pasto: e abbiamo visto che se lo fanno mandare perfino in Belgio quando emigrano a lavorare nelle miniere!

Per un caso fortunato, o per una divinazione quasi magica del mio pensiero, Teresa Foscari, a Venezia, mi aveva, spontaneamente, parlato del Clinto. E mi aveva indirizzato ad una sua cara amica, Annapaola Zugni Tauro, di un’antica famiglia di Feltre.

Quante volte uno si fa delle idee sbagliate senza curarsi di controllarle con l’esperienza. Avevo bevuto, fino allora, sempre Clinto di pianura: e avevo preso per assioma incontrovertibile che il Clinto si coltivasse e si pigiasse soltanto, o soprattutto, in pianura. Temevo, perciò, ascoltando, al proposito, i suggerimenti di Teresa Foscari e Annapaola Zugni Tauro (alla quale mi ero affrettato a telefonare) di essermi comportato un po’ leggermente, cedendo alle lusinghe tradizionali e classiche delle dame della Serenissima. Ma, ecco, le prime frasi che scambio col sindaco di Feltre mi dimostrano il contrario.

Si dà il caso che il sindaco, Sisto Belli, sia dottore in agraria, esperto di viticoltura, appassionato di enologia. Gli abitanti di Feltre, mi dice, e così quelli delle colline e delle montagne intorno, pensano ancora che il Clinto, sebbene in decadenza, sia il loro vero vino: il più importante e il più vitale, per loro, tra tutti i vini che si coltivano e si pigiano sul posto.