Nelle provincie di REGGIO CALABRIA, CATANZARO, COSENZA, MATERA e POTENZA

La Calabria è un piccolo compendio dell’Italia. Antico e moderno nella civilissima Reggio.

Traghetto da Cagliari a Napoli, poi Autostrada del Sole da Napoli a Reggio Calabria.

La Puglia è la più lunga delle nostre regioni, ma in rapporto alla grandezza e alla montuosità, la più lunga è certamente la Calabria. Tra Sant’Eufemia, sul Tirreno, e il Lido di Catanzaro, sullo Ionio, non ci sono nemmeno quaranta chilometri in linea d’aria. Per la sua configurazione geografica e orografica, la Calabria è dunque un’immagine perfetta e ridotta dell’Italia: esprime l’Italia, così stretta tra due mari, e così costretta tra continue, aspre catene di monti, da ciascuna delle quali se ne può sempre vedere, a occhio nudo, un’altra. Anche per il carattere e per il costume degli abitanti, la Calabria ripete e quasi riassume l’Italia. Non a caso si diceva “le Calabrie”.

Ci sono ancora oggi almeno tre Calabrie, quante cioè le sue provincie: Reggio, Catanzaro, Cosenza. E ci sono almeno tre Sile: la Sila Piccola, la Sila Grande, la Sila Greca; senza contare gli altri acrocori come l’Aspromonte, il Marchesato, la Catena Costiera.

Nel 1960, quando lavoravo all’organizzazione della Mostra delle Regioni per il centenario dell’Unità italiana, visitai tutte le nostre capitali regionali: in ciascuna, era mio compito illustrare il programma della Mostra davanti a un apposito comitato. Furono diciannove viaggi che intrapresi separatamente, lungo l’arco di parecchi mesi: diciannove, perché il Molise era ancora riunito agli Abruzzi. Fortunatamente, una sola conferenza bastò, per ogni regione, in una sala della Prefettura di quella città che era la capitale della Regione. Ma in Calabria dovetti fermarmi dieci giorni: perché né Reggio né Catanzaro né Cosenza accettarono di fare parte di un comitato unico. Fu necessario organizzare tre sedute diverse in ciascuna delle tre città, e infine dovetti recarmi anche a Castrovillari, che amministrativamente dipende da Cosenza e ne dista solo settanta chilometri, ma che conserva tradizioni, costumanze, caratteristiche molto diverse. C’è perfino una popolosa zona di allogeni, con un etnos, una religione, un linguaggio diversi, non di origine italiana. Era un’esigenza più che giustificata: il programma della Mostra annetteva grande importanza proprio alle più varie documentazioni storiche, artistiche, etniche e sociali delle enclave. Dirò, tuttavia, che non furono tanto questi motivi a convincermi, quanto la prepotente energia dell’avvocato Baldo Pisani, membro del comitato, cittadino di Castrovillari, e “padrino” difficilmente contraddicibile. In altre parole, lo stupendo particolarismo delle Calabrie trovava il suo perno, o piuttosto i suoi perni, in un autoritarismo quasi istituzionalmente fissile e personale.

Adesso, è probabile che qualcosa cominci a cambiare: tornando dopo quindici anni a Reggio, che è città tradizionalmente di padrini, ebbi non so bene perché la grande fortuna di non incontrarne, di non averci a che fare: soltanto ne vidi qualcuno, e di lontano. A Reggio, adesso, fin dal primo momento, mi trovai d’intorno persone miti e gentili, intellettuali intelligenti, giovani che mi aiutarono con pronto entusiasmo nella mia chisciottesca ricerca di vini genuini.

Capii così, a poco a poco, basandomi su due ordini di osservazioni, che Reggio è la più simpatica, la più viva, la più straordinaria città d’Italia.

Primo. A Reggio e intorno a Reggio, cantine sociali e industrie vitivinicole private hanno, le une e le altre, scarso sviluppo per la semplice ragione che, invece, ha un enorme sviluppo, da sempre e ancora di più in questi ultimi tempi, l’artigianato individuale e autosufficiente. Sono casi ormai frequentissimi. Coltivi una vigna o comperi le uve, possegga una casetta in campagna o conduca vita cittadina in un appartamento di affitto, il reggino beve il suo vino, il vino che lui si fa da sé. I metodi della vinificazione sono antichi o moderni o, anche, antichi e moderni assieme: ma sempre artigianali, perché ogni industria si basa, al contrario, sulla quantità di un prodotto omogeneo e sulla ripetitività del manufatto. L’interpretazione che i reggini danno della loro stessa passione per il vino è di tipo americano, eno-hobby non passivo, non di raccoglitori di bottiglie, come la passione di cui si vantano, a Roma e a Milano, i piccoli borghesi ricchi: ma attivo, di vinificatori casalinghi come, in tutti gli States, innumerevoli operai, impiegati e professionisti, i quali passano gran parte del tempo libero nei loro scantinati, a pigiare le uve, a travasare il vino, a imbottigliare.

Ecco: l’evocazione dell’America (dove si può dire tranquillamente che ogni calabrese di Reggio ha parenti emigrati e dove lui stesso, almeno una volta nella vita, ha pensato seriamente di emigrare) ci illumina sul carattere reggino: che è individualista e tradizionale e, allo stesso tempo, non è mai provinciale, ma sempre, in qualche modo, guidato da un istinto aperto, avventuroso, internazionale.

–Secondo. Un’altra spiegazione possiamo trovarla nella geografia. Reggio: centro di raccolta, di smistamento, di commercio e di passaggio dalla Sicilia e verso la Sicilia, dall’Italia e verso l’Italia, da Reggio stessa e verso tutto il mondo. Una Milano del Sud, ma, bizzarramente, perfino meno provinciale di Milano.

La città di Reggio, infatti, si articola su tre stazioni in fila: Marittima, Lido e la cosiddetta Centrale che invece è a una delle estremità. La vera Centrale, per me, è la Stazione F.S. Lido, lì a due passi dai giardinetti di piazza Indipendenza col monumento a Corrado Alvaro. Una piccola vecchia stazione. Ci sono entrato, la prima sera, dopo le dieci, per comprare i giornali.

Affascinato, indugio sulla banchina. Arriva un treno dalla Centrale: avanza lento e familiare come un tram. Attendo di vederlo ripartire. Attendo di vederlo sfilare. Attendo di vedere il cartello giallo della sua meta. Stranamente lunghissimo. Pressoché vuoto: qualche militare, qualche ragazzo. Ecco i vagoni di coda, ecco l’ultimo, ed ecco il cartello giallo: MILANO C. Penso a questa Italia così lunga e così magra, unita dai doppi nastri lucidi delle rotaie. Lo stesso treno, sulle stesse rotaie, arriverà a Milano domani sera. Un tram fantastico che collega i calabresi con posti così lontani dalle loro montagne boscose e dalle loro spiagge profumate, ma così vicini al loro bisogno di lavorare.