Il Peligno Bianco, elogiato da Cyril Ray, completamente scomparso? Nella Piana di Novelli dove si produce il più famoso zafferano d’Italia e poi da Don Luì che promette un vino straordinario...
Sotto una pioggia battente, di primo pomeriggio, siamo partiti dall’Aquila, con Vittorio Janni, che gentilmente ci guida.
Le montagne ci costringono a un lungo giro, scendono a sud per poi risalire a nord fino a Ofena, scelta come prima tappa tra tutte le impervie mete abruzzesi perché la più vicina all’Aquila e perché lo vuole il destino: a Ofena c’è, o almeno ci dovrebbe essere, il dottor Piergiorgio Cinelli del quale Veronelli mi ha parlato, e a Ofena si coltivano le uve Montepulciano d’Abruzzo con cui Vittorio Janni pigia il suo vino.
Cinelli, a Ofena?
Janni non lo conosce, non l’ha mai sentito nominare:
“Ma se sta a Ofena,” dice, “questo Cinelli, lo troviamo. Venti anni fa, c’erano tremila abitanti. Ora soltanto mille. Ma lo troviamo, eh!”
Mentre viaggiamo, cavo dalla cartella da avvocato che non abbandono mai l’atlante automobilistico del Touring e l’aureo libretto di Cyril Ray: vedo che Navelli, dove appunto dovremo fare una conversione a U per risalire verso nord, dista solo venticinque chilometri da Pratola Peligna: a Pratola Peligna si fa il Peligno Bianco, “forse il migliore e il più conosciuto dei bianchi abruzzesi”: sono parole di Ray. Al pari della grande maggioranza dei bianchi dell’Italia centromeridionale, si tratta di un Trebbiano. Ma l’accenno di Ray, così parco di elogi e in genere fededegno, mi tenta: propongo una puntata a Pratola prima di voltare per Ofena.
“Inutile,” dice Janni, “inutile! Il Peligno non esiste più.”
Che fare? Sono imbarazzato. Dovrei forse impormi a una persona che così gentilmente mi dedica il suo tempo? Non ne trovo il coraggio. Cedo. Ma cedo malvolentieri, e il cuore mi dice che sbaglio.
Intanto Janni, come per cambiare discorso, parla della lunga Piana di Navelli, che proprio adesso abbordiamo:
“Qualche settimana fa, l’avrebbe vista tutta gialla. Qui si coltiva il più famoso zafferano d’Italia: zafferano dell’Aquila. Ma è lo zafferano della Piana di Navelli. La raccolta è difficile e delicata. Pensi che si deve fare con le dita. Si raccolgono i soli pistilli. Profumatissimi. Ma se lei torna tra marzo e aprile, la Piana invece è bianca. Vede tutti quegli alberi? A primavera sono in fiore: mandorli!”
Dopo la Piana di Navelli, ecco la Piana di Ofena. Anche qui mandorli. E olivi. E vigne, che dalla Piana risalgono le colline intorno. Le vigne antiche, a alberello, alte non più di mezzo metro; le nuove, anche qui a tendone, come dappertutto in Italia dove è esploso il boom del vino.
Arriviamo a Ofena. Ci fermiamo sulla piazza: una piazza triangolare. Sul lato maggiore, l’antico palazzo barocco e borbonico dei Baroni Madonna. Su ciascuno degli altri due, il frantoio dell’olio, e la cantina dove si pigiano le uve. Tutto appartiene a Don Luì, il Barone Luigi Cataldi dei Baroni Madonna, sindaco ed ex-podestà di Ofena. È un gentiluomo di campagna: anziano, alto, magro, nasuto, chic, con la giacca di tweed e i pantaloni di flanella grigia: perfetto, insomma. Qualcosa, nel suo tratto, mi ricorda irresistibilmente il mio maestro e amico Mario Camerini, che è dell’Aquila. Don Luì ci accoglie con squisita cortesia e, dopo una rapida visita al frantoio e alla cantina, ci invita in casa sua per una tazza di tè: penso che “una tazza di tè” sia un modo di dire, e che proveremo il vino. Non insisto per assaggiarlo in cantina, dove fa un freddo cane: siamo quasi in montagna, sopra ai 600 metri, e continua a piovere.
Saliamo in casa, arredamento ottocentesco non rielaborato e ancora quasi completamente vero: voglio dire che i mobili sono materialmente gli stessi di cento e più anni fa, e ancora in funzione. C’è il cestino da lavoro, da cui si leva la Baronessa per venirci incontro. C’è la consolle di marmo stile Impero. Le sedie, i tavoli e le poltrone Luigi Filippo. Alle finestre, le cortine e i pesanti tendaggi verdescuri con le loro mantovane. Sul tavolo di mogano, dov’è già pronto il tè, sparsi fascicoli della Famiglia Cristiana. Niente termosifone. Una stufa a kerosene, che non basta. Fa freddo anche qui. Per fortuna viene acceso il caminetto, e gradiamo molto il tè. Quel po’ di calore mi dà forza: metto il discorso sul vino. Finora, tra Don Luì, Janni e me, del vino non si è fatto parola. Ma sono qui per questo, no? E il Barone, sempre prontissimo, risponde alle mie domande.
Produce circa mille quintali di vino l’anno. Rosso Montepulciano d’Abruzzo, e Cerasuolo, che è poi lo stesso Montepulciano d’Abruzzo lasciato fermentare senza bucce. Gradi 12,5. Non solfita. Non refrigera. Lo tiene qui nelle botti per un anno. Poi lo manda all’Aquila, da Janni, il quale provvede all’imbottigliamento. Chiedo: “Come lo trasportate, all’Aquila?”
“Con le autocisterne.”
Mah. Le autocisterne non mi piacciono. Perché?
Avevo pregato un amico dell’Aquila di mettermi in contatto con un piccolo produttore artigianale appassionato: così avevo conosciuto Janni. Dirò dunque, usando una volta tanto il linguaggio dei pubblicitari, ma usandolo in servizio della causa opposta, che le autocisterne “non corrispondono all’immagine del piccolo produttore artigianale appassionato”. Al Barone, tuttavia, nascondo questo mio disappunto e rivolgo semplicemente una larvata, esitante richiesta: non proprio sicuro di non contravvenire alle buone maniere, alludo, come senza darvi troppa importanza, a un eventuale mio desiderio di assaggiare il vino.
“Stasera,” interviene pronto e deciso Janni, “stasera a cena all’Aquila. Ho già organizzato tutto. È un vino da pasto di grandissima classe, lo sentirà. Ma bisogna assaggiarlo a pasto. Perché... lo sa come chiamano Ofena? Il forno d’Abruzzo. Le montagne qui intorno fanno come una conca rivolta a mezzogiorno, che raccoglie tutto il calore del sole. Ecco perché il vino è così buono.”
Rimandato l’assaggio mi rivolgo di nuovo al Barone: “Scusi, lei conosce, qui a Ofena, il dottor Piergiorgio Cinelli?”
“È il farmacista. Ma non sta a Ofena. Sta a Chieti. Viene qui solo la mattina.”
“E produce vino? Oppure si occupa in qualche modo di vino?”
“Non ne so nulla, ma non mi pare... non direi...”
Lascio cadere il discorso.
Prendiamo infine congedo e uscendo da Ofena ci fermiamo alla piccola farmacia. Al banco c’è una ragazza. Conferma che il dottor Cinelli viene solo la mattina. Se nel pomeriggio qualcuno chiede una medicina che non esiste nella farmacia, lei telefona a Chieti, e la mattina dopo il dottor Cinelli la porta.