Un racconto vero, autobiografico, sincero. Il transfert di una nostalgia addolcita dal vino dei Castelli.
Di quanti, ahimè, e di quali vini non ho parlato anche se li conoscevo benissimo! anche se erano grandi vini della stessa regione che in quel momento perlustravo! anche se mi rendevo conto che, così, i miei tre viaggi attraverso tutte le regioni italiane parevano incompleti e questo resoconto presentava qualche grave falla!
Valga un solo esempio, il massimo: nel primo viaggio, tra i vini della provincia di Novara, manca il Ghemme e manca addirittura il Gattinara. Il motivo è semplice: del Gattinara e del Ghemme avevo già parlato a lungo, in varie occasioni, e mi annoiava ripetermi. Sono tuttavia obbligato a ripetere ciò che ho detto più volte: non pretendo di essere esauriente né sistematico, ma soltanto sincero. Il vino sincero ha bisogno di sincerità. Forse ho sbagliato a dire resoconto: questo è un racconto, un racconto vero e autobiografico.
Adesso, risalendo la penisola, toccherebbe al Lazio. Circostanze personali, che non merita la pena di riferire, mi obbligarono a passare quasi subito in Umbria. Dirò, dunque, poco o nulla dei vini del Lazio: ma sia chiaro che questo vuoto, certamente gravissimo, non implica in nessun modo un giudizio negativo, e neppure una mia antipatia. Ho vissuto trentacinque anni a Roma bevendo quasi sempre soltanto quel vino giallo che piaceva a Cesare Pavese più del suo Dolcetto e del suo Barolo. E piaceva anche a me, moltissimo, il vino dei Castelli, soprattutto il Marino: fa parte integrale dei soli ricordi belli che ho della mia lunga vita romana. Chissà che le circostanze avverse a fermarmi questa volta nel Lazio non fossero, in fondo, il transfert di una nostalgia che avrei preferito non provare perché combattuta e vinta da troppa amarezza, perché immersa in troppo disgusto?