6. SOMMELIER IN 10 MINUTI CREDETE NEI VOSTRI SENSI Per diventare sommelier professionisti servono molti anni di studio e migliaia di degustazioni ma io vi trasformerò in provetti sommelier in pochi minuti. Vi sembra impossibile? Lo è! Infatti, l’intento di queste poche pagine è proprio quello di lasciare a ciascuno il lavoro che gli compete. Il mio è quello di infondere consapevolezza e fiducia nei vostri sensi per scegliere, gustare e condividere con chi preferite il vino migliore per voi. La gente normale degusta il vino bevendolo. Effettivamente non può che essere così. Ma se io assaggiassi i quattromila, cinquemila vini l’anno bevendoli, probabilmente adesso non sarei più qui. Dunque c’è una tecnica molto semplice che i degustatori professionisti seguono per “ascoltare” il vino e non ubriacarsi. Ho usato la parola “ascolto” perché effettivamente per capire meglio un vino basta mettersi in una posizione di ascolto, cioè di apertura all’esperienza. Per capire il carattere di un vino basta guardarlo. Attraverso la possiamo identificare lo stile, la provenienza, il vitigno di appartenenza, l’età, il contenuto alcolico, il corpo e perfino la sua acidità. Poi, basta avvicinare il al calice per capire l’annata – calda o fredda – e il profilo aromatico del vino stesso. Infine la : è morbida e soffice oppure dura e asciutta? Cioè, il vino è dolce e rotondo o tannico e asciutto? Basta rallentare il percorso dal calice alla bocca e soffermarsi qualche secondo in più guardando e annusando prima di berlo e l’esperienza prenderà un corso del tutto diverso. Il vino si scopre dunque attraverso tre fasi distinte: analisi visiva, olfattiva, gustativa. vista naso bocca SUL BICCHIERE… Il bicchiere va riempito al massimo fino a un terzo per consentire all’ossigeno di amplificare i profumi e per avere un maggior controllo delle caratteristiche visive del vino. Il calice si impugna dallo stelo o dalla sua base per mantenere inalterata la temperatura del vino ed evitare sgradevoli impronte sulla coppa. ANALISI VISIVA Come accennato, la vista del vino è una vera e propria carta d’identità, i cui connotati si scoprono inclinando il calice a 30-45 gradi su una superficie bianca che ne rimandi le sfumature. I fattori da considerare sono questi: colore brillantezza limpidezza fluidità effervescenza I colori del vino sono determinati dalle sostanze polifenoliche contenute prevalentemente sulla buccia dell’uva e rilasciate durante la fermentazione. I vini rossi tendono ad avere centinaia di milligrammi per litro di sostanze coloranti, mentre bianchi e rosé soltanto poche decine di milligrammi. Nei vini orange o barricati aumenta l’intensità del colore ma non aumentano le sostanze coloranti. Sull’età di un vino è da sapere che i processi di ossidazione modificano l’intensità e la tonalità della colorazione, rendendo i bianchi più scuri e i rossi più chiari. Dunque vale quanto segue: i giovani hanno un colore giallo paglierino con riflessi verdastri, poi passano per un giallo limone e invecchiando acquistano colore, virando verso un oro ambrato intenso. I nascono con tonalità violacee, passano per un rubino o un bel granato e finiscono con un colore marrone/arancio. Colore. vini bianchi vini rossi : la botte e ancor più la barrique scuriscono il colore di bianchi e rossi facendoli sembrare più vecchi di quello che sono. Il segreto è guardare l’unghia, cioè la porzione esterna del disco del vino: più sfumature di colore ci sono e più aranciate diventano andando verso l’estremità, più vecchio sarà il vino. Attenzione I ROSATI, UN CASO A SÉ Il colore di questi vini si ottiene in fase di vinificazione scegliendo di ridurre il tempo di contatto del mosto con le bucce a bacca rossa: più breve è il tempo più tenue sarà il colore del rosé. Per questo nei rosati non è facile rintracciare l’origine e neanche tanto bene l’età. La brillantezza associata all’intensità del colore può darci un sacco di informazioni: più brillante è un colore e più basso è il pH, più il vino sarà acido; viceversa, l’opacità è un segnale di bassa acidità. In generale i vini commerciali tendono a essere meno acidi per essere più “piacioni”. Dunque, potremmo anche dire che i vini della Vecchia Scuola tendono a essere più brillanti di quelli della Scuola Moderna. Inoltre i vini dai colori scarichi e brillanti tenderanno a essere di altitudine e latitudine più alte e a presentarsi con un carattere più leggero, delicato, fresco e fine. Mentre all’aumentare dell’intensità del colore e alla diminuzione della brillantezza andiamo verso latitudini e altitudini più basse con vini più concentrati, tannici, alcolici e potenti. Brillantezza. L’assenza di torbidità, sospensioni e velature ci indica soprattutto lo stato di salute del vino, la mancanza di difetti e di malattie. Con l’avvento dei vini naturali e dei vini macerati, le regole sono cambiate tantissimo. Generalizzando un po’, possiamo dire che poiché la maggior parte di questi vini non viene filtrata e trascorre un periodo molto lungo di macerazione con le bucce, il risultato sono vini con particelle in sospensione e colori leggermente torbidi, pur non avendo difetti. Ci sono addirittura alcuni vini spumanti, come il Prosecco Col Fondo, che i produttori suggeriscono di servire solo dopo aver capovolto la bottiglia, con il risultato di avere un vino estremamente torbido. I sedimenti sul fondo della bottiglia sono tannini e colore che precipitano nei rossi e cristalli di tartrati nei bianchi. Nulla di cui preoccuparsi dal punto di vista della salute o della qualità del vino. Caso mai, per servire un vino limpido basta avere l’accortezza di lasciare la bottiglia in verticale per qualche ora prima di aprirla e di servire delicatamente senza arrivare all’ultima goccia o di travasare in un decanter. Limpidezza. VITIGNO E SUOLO Tutto ciò che ho appena descritto vale sempre, ma occorre tener conto che alcuni vitigni tendono a essere di natura molto più colorati e opachi di altri. Per fare un esempio calzante, possiamo usare il Cabernet Sauvignon che ha attorno ai quattordici strati di pellicola nella buccia e quindi il doppio di sostanze coloranti rispetto a un Pinot Nero. Lo stesso esempio potremmo farlo con un paio dei nostri vitigni autoctoni come il Sagrantino e il Sangiovese: con quest’ultimo riuscirete a leggere tranquillamente il giornale attraverso il bicchiere, per la sua incredibile trasparenza, mentre il primo lo potreste usare come filtro per coprire una torcia (che esagerazione!). Inoltre lo stesso vitigno su suoli diversi restituisce colori diversi: le sabbie daranno colori scarichi, l’argilla vini più colorati (vedi pag. 63). Vi siete mai chiesti perché si usa roteare il calice in continuazione? La risposta è che la maggior parte delle persone lo fa per darsi un tono. In realtà, il motivo principale è quello di valutare la fluidità del vino per individuare alcol e zucchero: più archetti ci sono e più lentamente scendono, più alto sarà il contenuto alcolico (o quello di zuccheri, se vedete una velocità di scorrimento più lenta). Gli archetti non sono altro che l’interazione del vino con le pareti del calice: il vino e il bicchiere hanno tensioni superficiali diverse che, a contatto, generano gli archetti. La presenza di residui di sapone, e quindi di tensioattivi, potrebbe impedirne la formazione. Fluidità. Nei vini spumanti si dovrà considerare anche il , ossia il numero, la finezza e la persistenza delle bolle: più fini le bolle, più elegante il palato; più grossolane le bolle, più dozzinale il vino. Nei vini fermi la presenza di bolle è da considerarsi un difetto la cui origine è generalmente dovuta ad alterazioni microbiche. Effervescenza. perlage ANALISI OLFATTIVA Da dove nascono i profumi del vino? In breve: dal vitigno di appartenenza ( o varietali), dalla fermentazione ( ) e dall’invecchiamento ( post-fermentativi) che riduce il carattere fruttato in favore del cosiddetto “bouquet”. aromi primari aromi secondari aromi terziari Per scoprire questi profumi si fa roteare il calice permettendo al vino di rilasciare più aromi. Cercate comunque di annusarlo anche a calice fermo per avere un’idea più completa dei profumi. Roteare il bicchiere fa aumentare l’energia cinetica delle particelle del vino, e aumentando la superficie di scambio e l’ossigenazione del vino si facilita il rilascio delle componenti meno volatili del bouquet. In ogni caso, si deve avvicinare il bicchiere al naso e cercare gentilmente di annusare, come se cercaste di seguire una traccia, senza inspirare troppo forte. Questi gesti ci aiutano a concentrarci sulle sensazioni olfattive per far emergere i singoli odori dal profumo d’insieme. Non è per niente un esercizio facile, anzi è forse il più difficile di tutti. Per descrivere gli aromi e i sapori del vino non si citano i nomi delle molecole che li originano, ma si procede per analogie, poiché è più facile e certamente più romantico parlare di lillà e di pesca, per esempio, anziché di aldeide fenil propionica o undecalattone. Il problema è la memoria olfattiva, cioè riuscire a richiamare la memoria per verbalizzare il profumo che abbiamo appena percepito, ma che alla vista non siamo in grado di individuare. Infatti chiunque, anche solo guardando una pesca, ne sente il profumo ma se venissimo bendati, come di fatto accade quando annusiamo il vino, sarebbe molto più difficile decifrare l’odore anche di cose molto comuni. La via che collega un odore ai nostri centri di elaborazione, cioè la corteccia cerebrale, è piuttosto diretta, dal respiro alle emozioni. Un contatto molto intimo, perché gli odori si legano direttamente ai nostri neuroni olfattivi e alla nostra memoria in tre tappe: I recettori olfattivi: come gli odori arrivano al cervello. Gli odori sono composti da molte molecole che vengono accolte da alcuni recettori specifici che le “leggono” e le ricompongono in un segnale elettrico, il quale viene mandato al cervello che identificherà l’odore. Questi messaggi arrivano al lobo olfattivo situato nel tronco cerebrale, una delle parti più antiche del nostro cervello. Dunque potremmo parafrasare il di Cartesio in . Se siamo sopravvissuti come specie fino ai giorni nostri lo dobbiamo anche al senso dell’olfatto, che ci ha aiutati a distinguere le sostanze velenose da quelle commestibili, le situazioni pericolose da quelle amichevoli e addirittura a scegliere il partner migliore per riprodurci. Il naso fiuta il buono e il cattivo: il profumo del caffè appena tostato o quello del pane appena sfornato ci attirano, quello di fognatura o di concime ci respingono. Come mai? La risposta sta nel cervello, che decifra gli odori. cogito ergo sum sentio ergo sum Quando il messaggio elettrico arriva al lobo olfattivo, questo entra in relazione con il nostro sistema cognitivo, con la memoria, con le emozioni. La stessa molecola dunque sortirà effetti diversi in persone diverse. L’olfatto è legato ai nostri ricordi e alle emozioni che abbiamo vissuto in determinati momenti. In una frazione millesimale di secondi un profumo ci porta indietro anche di decine di anni. Nella di Proust, il protagonista, nell’assaggiare una piccola madeleine, attiva una memoria involontaria che lo riconnette a un dolce ricordo di gioventù. Situazioni sociali, psicologiche e biologiche influenzano il naso e quindi il palato di ognuno di noi, cosicché un odore che a me mette di buon umore a un altro può generare disgusto. L’odore del tartufo, del pepe e del gorgonzola a me apre lo stomaco, ad altri provoca la fuga. Quanti aromi e quanti gusti siamo in grado di ricordare? Probabilmente nell’ordine delle migliaia. Ma poiché i profumi sono legati ai ricordi e i ricordi sono immagini, anziché parlare di un vino con sentori di legno e affumicato, potreste anche descriverlo con i ricordi di una serata autunnale trascorsa davanti al camino, i sentori di macchia mediterranea portati da una brezza marina a primavera ecc. Nel dubbio vi lascio un piccolo elenco di aromi da cui attingere per stimolare la “vostra” memoria. Ricerca del tempo perduto Aromi&Aromi agrumi (limone, pompelmo, cedro, arancio, mandarino, lime), frutta bianca (mela, pera, uva, melone, pesca), frutta gialla (albicocca, mela cotogna, susina, nespola), frutta esotica (ananas, banana, mango, litchi, frutto della passione), frutta rossa (ciliegia, fragola, lampone, ribes, melograno), frutta nera (susina, mora, ribes nero, mirtillo, fico), frutta secca (uvetta, prugna, datteri, mandorla, nocciola, noce), marmellata (frutta cotta, marmellata, candita, gelatina). Fruttato: biancospino, acacia, rosa, violetta, gelsomino, geranio, sambuco, ginestra, garofano, miele. Floreale: erba, paglia, asparagi, finocchio, peperone verde, pomodoro, menta, eucalipto, foglia di tabacco, lavanda, citronella, tè. Vegetale: anice, cannella, chiodo di garofano, noce moscata, pepe nero, pepe bianco, zenzero, timo, alloro, rosmarino, basilico, salvia, liquirizia, zafferano. Spezie: vaniglia, rovere, pino, resina, sandalo, segheria, scatola di sigari, tabacco. Legnoso: resine, pino, cipresso, incenso, cedro, iodio. Balsamico: terra bagnata, foglie, sottobosco, muschio, funghi, tartufi, corteccia. Bosco: terroso, pietre, petrolio, gessoso, silice, petardo, catrame. Minerale: cacao, caffè, moka, cioccolato fondente, pane tostato, biscotti, cenere, caramello, affumicato, catrame. Tostato: burro, crema, caramella, formaggi, cera, lievito, birra, smalto per unghie, banana. Odori di malolattica e latticini: pelliccia, cuoio, sangue, selvaggina, carne, muschiato, pancetta, sudore, pipì di gatto, cera d’api. Animale: zolfo (fiammifero), gomma, aglio, disinfettante, cartone, sapone. Chimico: FRANCHEZZA&CO. La franchezza di un vino indica l’assenza di difetti, ma anche la sincerità delle sensazioni percepite; per cui gli aromi devono provenire dal frutto o da sue trasformazioni e non da adulterazioni o aggiunte di composti di sintesi. Un vino avrà poi una certa , , , (da profondo a chiuso), (da molto persistente a fugace) e . L’armonia delle componenti di un vino viene data dal loro equilibrio, dalla manifestazione indipendente dei sentori e dal loro accostamento, che dovrà risultare piacevole. finezza personalità complessità intensità persistenza armonia Quali sono i difetti del vino e come facciamo a riconoscerli? Se chiedete a un enologo, i difetti possono essere tantissimi. Ma siamo in grado di decifrarli tutti? E, soprattutto, cosa fare se a qualcuno piace l’odore di un difetto? La questione è complessa e l’abbiamo affrontata parlando soprattutto dei vini naturali (vedi) perché in molti casi si è davanti a bottiglie che appena aperte fanno emergere sentori di aceto o di aglio, di feccia o di pelliccia bagnata e/o sentori di stalla. E se in passato ad alcuni vini si perdonava qualche difetto facendoli passare come aromi complessi e tipici del territorio, in realtà oggi sono considerati vini alterati da un lievito ( ) detto che, per l’appunto, spuntava fuori laddove si trovavano botti o barrique vecchie o scarsa igiene nella cantina. La questione è che a molti piacciono questi odori o quanto meno non se ne accorgono. E cosa fare a quel punto? Come affermava Bart Simpson: ognuno ha i suoi gusti, disse quello che si ciucciava il calzino. I difetti del naso. Brettanomyces brett L’esempio del brett vale per molti altri difetti. Per determinare se questi siano davvero tali chiediamoci quanto incidano sull’equilibrio complessivo del vino, se cioè mascherano i profumi tipici del vitigno e del terroir oppure no. Questo vale per tutti, “naturali” e non, visto che per esempio anche i fitofarmaci residui possono dar luogo a odori che assomigliano a un incrocio tra disinfettante e sigaretta. Con la differenza che ai naturali viene concesso molto di più che ai convenzionali. Uno dei difetti più noiosi è quello che deriva da fermentazioni lasciate andare a temperature troppo alte che possono far emergere sentori di gomma bruciata, o, per me ancora più fastidiosi, di banana stramatura per temperature troppo basse di fermentazione. Altri difetti del vino possono essere i seguenti. . Può generare puzza di uova marce (mercaptani), aglio, fiammiferi, gomma bruciata. Anidride solforosa Odore e sapore sgradevole che può essere provocato da uve ammuffite o botti sporche. Muffa. L’odore, ma anche il sapore, del vino ricordano quello di legna marcia, muffa o indumenti da piscina dimenticati nella borsa. Deriva dall’interazione di un fungo con un clorato (TCA) usato durante il lavaggio dei tappi. Tappo. Il difetto di un vino che, a causa di una eccessiva ossigenazione, ha perso la freschezza degli aromi lasciando spazio a odori e sapori di frutta cotta e odori maderizzati. Ossidato. Derivato da scarso ossigeno e dalla formazione di molecole odorose diverse. Può andare da un odore di chiuso o di brodo vegetale a un nauseabondo puzzo di uova marce. Ridotto. Naso piatto e poco intenso consistente al palato per troppa esposizione all’ossigeno. Svanito. . È l’odore dei lieviti esausti quando il vino è lasciato a macerare troppo a lungo con le fecce. Feccia La quantità di acido acetico per ogni litro di vino per legge deve stare dentro certi parametri, altrimenti è da considerarsi un difetto che può derivare da uve non sane, da fermentazioni a temperature troppo elevate, da poca solforosa e da poca igiene. E la volatile? ANALISI GUSTATIVA Finalmente è arrivato il momento di bere il vino… o quasi. Se qualcuno ci mettesse di fronte un limone, della panna, delle patatine fritte o un carciofo e ci fosse chiesto che profumo hanno, noi diremmo: acido nel primo caso, dolce nel secondo, salato nel terzo e amaro nell’ultimo caso. Non è vero? Be’, sì, effettivamente ci basta guardare un cibo per sentirne già il gusto ma la bocca può solo decifrare quattro, anzi cinque, sapori. Il resto lo percepiamo grazie alla sua interazione con il naso. I cinque sapori che il nostro palato è in grado di decifrare sono: dolce, sulla punta della lingua salato, a metà della lingua amaro, in fondo alla lingua (se è troppo, è un difetto) acidità, sui lati della lingua umami (cioè glutammato monosodico) a metà palato Per inciso, i ricettori del quinto sapore li ha scoperti il premio Nobel per la Medicina Linda Buck nel 2004. La bocca è interconnessa al palato molto più profondamente di quanto si pensi. Certamente il setto retronasale aiuta a far arrivare al naso le sostanze che vaporizziamo mettendole in bocca. Dunque prendiamo un bel sorso e facciamo gorgogliare gentilmente il vino in bocca per esaltarne le caratteristiche. La deglutizione poi farà emergere altri profumi e sapori di retrogusto insieme alla sensazione di calore che genera in gola. Gli assaggiatori seriali non berranno il vino per evitare di lasciarci le penne troppo presto o per non vedere il proprio fegato pronto per farci un . foie gras Al palato non sentiamo soltanto i cinque sapori ma avremo anche delle sensazioni di astringenza, setosità, abrasività, rotondità o morbidezza: è il . tatto del vino Queste sensazioni nel loro complesso danno sempre a metà tra due estremi: a potremmo collocare gli effetti di zucchero, alcol e glicerina che aumentano dolcezza, rotondità, morbidezza, voluminosità e ampiezza; a tannini e acidità e sapidità responsabili per l’astringenza, la spigolosità, la durezza, la verticalità, l’austerità ma anche la vivacità. l’equilibrio del vino sinistra destra Durante l’analisi gustativa si cerca di descrivere le qualità del vino attraverso l’analisi dell’ (da intenso a tenue), della (elegante, delicato, fragrante, fine, acuto, pungente, grossolano, difettoso, sgradevole) e della loro . L’impressione finale è legata alla gradevolezza complessiva e all’equilibrio tra morbidezza e acidità nei bianchi, a cui si aggiunge anche l’astringenza nei rossi, al contrasto dolce/acido nei dolci e alla finezza del negli spumanti. intensità finezza persistenza perlage TANNINI La sensazione di astringenza è provocata dai tannini e dall’idrolisi della lignina e dell’emicellulosa delle parti legnose del vino derivanti dall’uva (bucce, vinaccioli, raspi) ed eventualmente dal legno di botti o barrique. I tannini sono antiossidanti naturali che contribuiscono a struttura e longevità del vino.