LA FERMENTAZIONE MALOLATTICA erminata la fermentazione tumultuosa, il prodotto che è ormai vino può seguitare a consumare eventuali residui zuccherini con la cosiddetta . Ma più importante di questa – anche se fino a pochi anni fa è stata sottovalutata – è la fermentazione malolattica. Essa consiste nella naturale trasformazione di parte dell’acido malico in acido lattico e anidride carbonica. T fermentazione lenta L’acido lattico è una sostanza fine, che determina un miglioramento nelle caratteristiche organolettiche, dovute in particolare alla diminuzione dell’acidità fissa. Il processo che lo genera è determinato da una serie di batteri lattici (i quali producono anche sostanze secondarie, tra cui possiamo citare varie specie di e di ); tali batteri sono particolarmente sensibili alla presenza di anidride solforosa la quale, se elevata, li può inattivare. I batteri lattici agiscono generalmente solo all’inizio della primavera, perché necessitano di temperature ambientali oscillanti fra i 20-25°C; nel caso di certi vini e in annate ad autunno caldo, possono già entrare in azione prima dell’inverno. A seconda delle condizioni, la trasformazione malolattica potrà concludersi in pochi giorni o durare mesi, determinando intorbidamenti al vino di cui il vinificatore sprovveduto non sa intuire la causa. Favorire la malolattica è consigliato per i rossi tradizionali e per vini ad alta acidità che devono ammorbidire i loro gusti aspri. Qualora il processo non si innescasse da solo, si provvederà a tenere molto basso il dosaggio di anidride solforosa e a scaldare leggermente la cantina. Nel caso in cui si intenda produrre vino bianco con una certa vivacità di gusto, si cerchi di impedire la fermentazione malolattica: il vino andrà tenuto al fresco ed eventualmente si alzerà un po’ la dose di anidride solforosa in esso contenuta. Nelle regioni meridionali, dove c’è il problema della scarsa forza acida dei vini, la fermentazione malolattica può rivelarsi un danno invece che un elemento utile: si cercherà quindi di evitarla. Lactobacillus Leuconostoc Enoteca “Vino al vino” a Montalcino, in Toscana. C URE E CORREZIONI DEL VINO Dopo un lungo lavoro autunnale eccoci giunti al vino. Abbiamo vendemmiato, pigiato, seguito la fermentazione, svinato e torchiato. Non per questo possiamo abbandonare il nostro prodotto che ha bisogno di costanti attenzioni. Il vino nelle botti può andare soggetto a cali di volume per abbassamento di temperatura, per evaporazione o per assorbimento da parte delle pareti dei vasi vinari in legno. Bisognerà allora fare delle , perché il livello del vino deve sempre essere tale da non consentire il contatto con l’aria. D’altra parte, vi sono invece momenti (quando fa caldo) in cui il vino rischia di traboccare e occorre allora scolmare. I controlli saranno fatti anche una volta alla settimana e nell’effettuare l’operazione di colmatura si cercherà di usare vino dello stesso tipo, ben sano ed eventualmente conservato in damigiane che fungono da “volano” per le botti più grosse. Per un più facile controllo dei livelli, esistono in commercio dei in vetro o plastica che possono anche funzionare da sfogo per eventuale gas di rifermentazione, e che consentono di avere ben in vista il livello del liquido. Nei piccoli recipienti, come le damigiane, il contatto con l’aria può essere impedito tramite l’uso di (olio di vaselina), in velo sottile, asportabile al momento opportuno. Molto usate sono anche le (flor-stop), che liberano isosolfocianato di allile (essenza di senape): un gas antisettico che impedisce lo sviluppo della fioretta in superficie. Per le grandi cantine esistono oggi moderni mezzi atti a evitare il contatto del vino con l’aria (senza impiego di sostanze dannose), come la saturazione dei recipienti con atmosfera di azoto o altri gas inerti. periodiche colmature tappi colmatori olio enologico pastiglie di paraffina Il vino rilascia depositi fecciosi dovuti a sostanze coloranti, lieviti morti, flocculi proteici e, soprattutto, tartrati (sali dell’acido tartarico). Il prolungato contatto con le fecce può determinare odori o sapori sgradevoli, e per questo occorre . Così si stimolano quei lieviti che non hanno ancora completato a pieno le loro fermentazioni. Se il vino ha preso sapore di uova marce, a causa dell’anidride solforosa che si è trasformata in acido solfidrico, si dovrà travasare facendo cadere il liquido su un setaccio di rame: l’anidride solforosa, combinandosi con il rame, forma un sale che poi precipita separandosi dal vino; tutto ciò, naturalmente, si può evitare a monte limitando l’impiego di anidride solforosa alle dosi minime. Il primo travaso si effettuerà tra fine novembre e inizio dicembre; il secondo a gennaio e il terzo a primavera inoltrata. Numero ed epoca dei travasi possono ovviamente variare anche di molto a seconda delle condizioni; è sempre bene eseguire queste operazioni con giornate serene, asciutte, e quindi con pressione atmosferica alta che limiti i movimenti naturali del sedimento. Prima di ogni travaso è utile poter fare un’ in un laboratorio specializzato, così da verificare il nostro lavoro e prevedere eventuali correzioni. I dati fondamentali da rilevare sono, oltre al grado alcolico, l’acidità totale e volatile (quella fissa si ha per differenza), la quantità di residui zuccherini e quella di anidride solforosa libera. In casa, dobbiamo invece provvedere alla per cautelarci nei confronti della casse ossidasica, sempre che non l’abbiamo già fatta durante la svinatura. Sono anche possibili altre prove, come quella del per sapere, grazie all’esposizione al freddo, se dovrà ancora depositarsi molto tartrato; e specialmente nelle zone calde, si può eseguire poi la , ponendo il vino per 48 ore o più a 35 °C. Se si sviluppasse anidride carbonica (attenzione a non confonderla con la fermentazione malolattica), potremmo essere in presenza di girato. travasare periodicamente analisi chimica del vino prova dell’aria, frigorifero, prova della stufa I tappi colmatori si applicano alla chiusura superiore delle botti, e sono costituiti da una vaschetta nella quale è possibile leggere il livello del vino (e quindi capire la necessità di un intervento di colmatura). Risultano utili anche come valvola di sfogo per eventuali gas di rifermentazione. La cantina del convento di Muri presso Bolzano, dove il vino viene invecchiato (come vuole la tradizione) in botti di legno. Anche se l’uso di grandi contenitori d’acciaio e di fibra di vetro si va sempre più diffondendo, l’invecchiamento in botti di rovere resta la soluzione migliore per dare al vino profumo e sapore. Travasare in casa Per i ci si può arrangiare con un’ ; non rappresenta una grossa spesa, infatti, dotarsi, per esempio, di una o in PVC, che può essere a pistoni (se la si vuole utilizzare anche per il mosto) o rotativa. Per altri attrezzi necessari alle varie operazioni, i vari empori enologici di zona possono dare consigli utili; ma è bene fare attenzione a non dotarsi di materiale sproporzionato alla dimensione della propria cantina. TRAVASI A LIVELLO FAMILIARE ATTREZZATURA MINIMA E ASSOLUTAMENTE NON DISPENDIOSA PICCOLA POMPA CON TUBATURE IN GOMMA Tutto ciò che si utilizza per le colmature e per i travasi deve sempre essere BEN PULITO e LAVATO DOPO L’USO. Gli interventi correttivi Nel caso in cui si sia usata uva di buona qualità e in cui la fermentazione sia stata condotta correttamente, non dovrebbe presentarsi la necessità di alcuna correzione. Eventuali problemi di grado alcolico dovrebbero essere già stati risolti nel mosto, poiché un intervento di questo tipo direttamente nel vino sarebbe rischiosissimo, a meno di non ricorrere a un tra due vini diversi, così da ottenere un risultato intermedio utile. Per un vino da tavola, il taglio spesso rappresenta il migliore modo biologico per evitare qualsiasi altro intervento correttivo. Come già sappiamo, anche per i vini esiste la regoletta della “croce di Sant’Andrea”, che è molto simile a quella per i mosti. Se abbiamo un vino a 10° da tagliare con uno di 13° per ottenere un prodotto finale a 12°, dovremo mescolare due parti di vino a 13° e una parte dell’altro (rispettivamente, il 66% del primo vino e 33% del secondo). La formula è semplice: • Il grado alcolico taglio Per quanto riguarda l’acidità elevata, anziché intervenire sul mosto, è preferibile agire sul vino, dato che il deposito dei tartrati e la fermentazione malolattica risolvono spesso da soli il problema. Anche il normale processo di invecchiamento consente il lento calo dell’acidità totale. • Il grado di acidità Dovendo proprio intervenire, data la bassa qualità del vino, i regolamenti biologici tollerano l’uso di alcune sostanze, quali il (ne occorrono 66 g/hl per neutralizzare 1 g/hl di acidità), il (130 g/hl) e il (155 g/hl, sempre per 1 g di acidità). Quest’ultimo, seppure più costoso, è sicuramente migliore dei primi, poiché non apporta calcio instabile e smorza lievemente anche l’acidità volatile. In ogni modo, è bene non diminuire troppo l’acidità del vino (massimo 1-2 g/l), per non comprometterne la conservabilità. Se nel processo di invecchiamento l’acidità totale scendesse sotto il 5-6%, si verrebbe a configurare un possibile aumento di acido tartarico. Per curiosità, riferiamo che per certi vinelli scialbi e di bassissimo costo i commercianti disonesti utilizzano acidi minerali vietati, come quello solforico, col quale è possibile aumentare anche la vivacità di colore del vino rosso: per questo l’acido solforico è detto in gergo “Garibaldi”. carbonato di calcio bicarbonato di potassio tartrato neutro di potassio Della necessità di aumentare il colore si è già detto parlando dei mosti. L’enologia tradizionale ricorre talora a vini detti “rossissimi”, prodotti con particolari uvaggi, o alla già citata che deriva sempre dall’uva, ma ne è estratta con metodi che non rientrano nella concezione biologica. Quando in certi vini bianchi si presenta la necessità di una diminuzione del colore, si ricorre al , generalmente in dosi che vanno dai 50 ai 100 g/hl; per i vini che pretendono di essere biologici, il massimo consentito è di 20 g/hl. Il carbone attivo, attraversando il vino, lo decolora; essendo molto fine, è bene usarlo prima della chiarificazione, la quale ne favorirà la sedimentazione. Occorre fare molta attenzione nell’acquistare il carbone attivo, perché l’enologia biologica vieta categoricamente quei carboni neri di scarsa qualità che contengono residui di benzopirene. • Il colore enocianina, carbone attivo I vini bianchi tendono a scurirsi quando invecchiano. Nei vini rossi, il colore segue un processo inverso: man mano che invecchiano si schiariscono, e assumono un caratteristico riflesso arancio, che si può facilmente vedere sul bordo del bicchiere dopo che lo si è fatto ruotare. Difficilmente si richiede la variazione in aumento dei tannini; a volte interessa piuttosto diminuirli, per rendere meno astringente un prodotto; e a questo scopo, dopo aver fatto delle prove in piccolo, si può usare gelatina, colla di pesce o albumina (per le dosi biologiche si faccia riferimento a quelle indicate in un prossimo capitolo appositamente dedicato alla chiarificazione). • I tannini Concludendo, teniamo a precisare che, biologicamente parlando, le correzioni non vanno mai considerate come operazioni da effettuare regolarmente e in tutti i casi, bensì come azioni di soccorso nel caso non sia stato sufficiente l’uso di uva sana e la sapiente conduzione della fermentazione. LA CORREZIONE CON SO 2 L’anidride solforosa può presentarsi nel vino sotto due forme: con vari composti (nel qual caso perde in parte le proprie caratteristiche); o (analizzabile dosandola con lo iodio), quando è in grado di esplicare le azioni antisettiche e antiossidanti che le sono proprie. Nei confronti dell’anidride solforosa in forma libera occorre attuare la distinzione tra la parte non attiva (quella che sparisce unendosi ad altre sostanze) e la parte attiva, tanto più efficace quanto più alto è il grado di acidità del vino. in forma combinata in forma libera Quanto detto serve appena per dare un’idea del complesso dinamismo chimico dell’anidride solforosa, generalmente rappresentato dagli enologi con grafici detti (famoso quello di “Moreau et Vinet”). L’eventuale anidride solforosa che si fosse usata in fermentazione, non si troverà nel vino se non in dosi bassissime. Questo va molto bene per il vino consumato a livello casalingo e in brevi tempi; ma se dovessimo invecchiare il prodotto o prepararlo per la messa in commercio, dovremmo soffermarci su alcune valutazioni. Poiché il vino tende a ossidarsi nel tempo e può andare soggetto a instabilità microbiologiche, occorre cercare di favorirne la conservazione. Per questo è importante effettuare con attenzione, sapienza e puntualità le pratiche dei travasi e delle colmature, nonché tutte le altre operazioni che abbiamo visto; ma è anche molto importante che venga “ricostruita” una certa dose di anidride solforosa. Ricorrere all’anidride è, per la filosofia biologica, un modo di operare piuttosto discutibile, specie per quel che riguarda le quantità d’impiego; ma è anche vero che, per la protezione del vino, questo risulta attualmente «il migliore dei modi possibili», come recita il di volterriana memoria. Oltre all’anidride solforica, l’enologia ufficiale riconosce altri prodotti di effetto similare, come l’acido ascorbico e i sorbati; queste sostanze, però, non sostituiscono completamente l’anidride solforosa e comunque non sono ammesse dai regolamenti biologici. indici di combinazione Candido Durante l’intero processo produttivo, che come abbiamo visto necessita di molti e complessi passaggi, per verificare il corretto procedere della vinificazione sono indispensabili periodici controlli di qualità. Le modalità di apporto dell’anidride solforosa I regolamenti comunitari CEE stabiliscono che i vini al consumo non debbano superare il livello di 160 mg/l di anidride solforosa totale per i vini rossi, e di 210 mg/l per quelli bianchi. I regolamenti biologici indicano al riguardo quantità molto inferiori. Gli agricoltori biologici considerano come valore limite per i vini rossi 60 mg/l di totale e 15 di libera; mentre per i vini bianchi e quelli rosati si arriva a 80 mg/l di totale e 20 g di libera. Nei vini soggetti a invecchiamento, è meglio non aggiungere l’anidride solforosa tutta d’un colpo, ma piuttosto in piccole dosi ripetute nel tempo, così da avere una costante protezione senza eccedere nell’uso. Si ricordi anche, qualora si desiderasse procedere alla fermentazione malolattica, di non contrastarla con l’aggiunta di anidride solforosa; nelle zone meridionali invece, dove la fermentazione malolattica è indesiderata, si ricorra pure all’anidride (e per le modalità d’uso vale quanto già detto parlando dei mosti in fermentazione). Torniamo a precisare che in questo libro facciamo sempre riferimento ai normali vini secchi, e non a a quelli dolci o spumanti o speciali, che implicano procedimenti del tutto diversi, la cui complessa elaborazione richiede tecniche particolari non sempre alla portata della piccola cantina. Molti produttori biologici si sforzano di non usare affatto l’anidride solforosa: è possibile, ma occorre allora partire da materia prima perfetta e prevedere una clientela che sappia apprezzare i vini così come naturalmente nascono e si evolvono. A riguardo, prove statistiche effettuate presso un grande gruppo industriale enologico sugli spumanti hanno dimostrato che il consumatore tipo è talmente abituato al sapore dei vini in cui è presente l’anidride solforosa da scartare quelli che ne sono totalmente esenti. È un esempio classico delle difficoltà che può incontrare l’alimentazione naturale nei vari suoi aspetti, difficoltà che sono comunque superabili estendendo la conoscenza sui prodotti consumati e confidando in un positivo aumento dell’informazione del pubblico. LA STABILIZZAZIONE DEL VINO Parlando di stabilizzazione del vino si devono considerare tutti quei processi naturali che il nostro prodotto subisce con il succedersi delle stagioni e con l’invecchiamento. Il più evidente fenomeno di questo tipo è la in eccesso, la quale avviene d’inverno in concomitanza con l’abbassamento della temperatura. Altri processi, più lenti e continui, sono la e la (antociani e flavoni), che costituiscono un evento facilmente verificabile da un travaso all’altro, e la . Quando però si intenda forzare i processi naturali per vendere dei vini molto giovani; oppure si desideri avere un prodotto che sopporti spedizioni in luoghi lontani; o ancora si abbia prodotto un vino molto delicato perché, per esempio, basso di alcolicità, occorre intervenire con una serie di operazioni, molte delle quali sono di solito riservate all’industria enologica: tecniche del freddo e della refrigerazione; tecniche di pastorizzazione per inattivare i microrganismi (talvolta illecitamente sostituite con l’uso di prodotti antifermentativi, essendo la pastorizzazione costosa e impegnativa); tecniche di filtrazione e di centrifugazione. Nel caso delle piccole cantine familiari, un attrezzo abbordabile e in accordo con i criteri biologici (ma non sempre indispensabile, se si ha la pazienza di aspettare che il vino segua il suo ciclo naturale) è il . Ne esistono infatti modelli di piccole dimensioni, economici e di facile uso. Va detto, però, che anche la più semplice delle filtrazioni “snerva” il gusto del vino, ne riduce irrimediabilmente la sapidità. La piccola azienda che vende bottiglie deve evitare il cosiddetto “fondo”, costituito dai tartrati; a questo proposito, vi sono accorgimenti molto semplici, in grado di sostituire egregiamente le costose attrezzature. Uno di essi consiste nel tenere durante l’inverno il prodotto in una vasca situata all’esterno dell’edificio, e quindi molto esposta ai i quali provvederanno alla necessaria refrigerazione. Certo, dobbiamo ammettere che l’enologia industriale deve fare i salti mortali se vuol portare sulla tavola del consumatore un vino sano e allo stesso tempo piacevole, magari di soli 10° alcolici; ma è anche il caso di dire che in passato questi risultati si sono sempre ottenuti e con metodi semplicissimi. Per esempio, l’abitudine di fare vini molto corposi, colorati, acidi e alti di alcol era un tempo dettata solo dall’esigenza di una buona conservazione; e quei vini, al momento del consumo, venivano leggermente diluiti con acqua. Oggi qualcuno inorridirebbe al solo pensiero; ma così si usava persino alla corte dei Savoia il secolo scorso. E – sia detto sottovoce – accade anche oggi sulle tavole private di valenti enologi. precipitazione del cremortartaro trasformazione precipitazione delle sostanze coloranti diminuzione dell’acidità fissa filtro freddi naturali LA CHIARIFICAZIONE La limpidezza è una delle qualità fondamentali di un buon vino; può essere ottenuta senza grandi mezzi, con il semplice corretto uso di alcune sostanze adatte. Il vino è una soluzione colloidale, presenta cioè in sospensione numerose particelle a carica elettrica in grado di unirsi e precipitare sul fondo, in un processo di flocculazione che porta con sé anche ogni sostanza intorbidante. Esiste un normale processo di illimpidimento che è la dovuta ai sedimenti e alle precipitazioni cristalline (coagulazione di ferro, proteine e polifenoli). Essa, però, si rivela spesso insufficiente e allora bisogna intervenire con una per ottenere risultati completi e sicuri. La chiarificazione provocata comporta l’uso di varie sostanze che possono essere organiche inorganiche o chimiche. chiarificazione spontanea chiarificazione provocata I chiarificanti organici Quando si adoperano sostanze organiche si adotta il termine generico di . Nel caso di vini rossi si usa molto la , nota anche per l’impiego che normalmente se ne fa in cucina. Per i regolamenti biologici essa non deve essere del tipo idrolizzato, ma derivare da ossa animali. La gelatina si combina con il tannino presente nel vino e forma una “maglia filtrante” di tannato di gelatina, che scende sul fondo dando luogo all’illimpidimento del vino. collaggio gelatina Nel caso in cui non si voglia impoverire il vino torbido dei suoi tannini naturali, perché già presenti in misura equilibrata, aggiungeremo alla gelatina una specifica dose di . Generalmente si ritiene che per far precipitare 1 g di gelatina occorrano 0,8 g di tannino; in realtà, le cose possono andare diversamente, a seconda del tipo di vino su cui operiamo; sarà quindi bene fare delle prove con poco vino e con dosi minime, eventualmente crescenti, di tannino. tannino enologico Non è il caso, infatti, di rischiare il fenomeno del , il quale si verifica quando, per scarsità di reazione con il tannino, restano in sospensione le sostanze proteiche della gelatina; questo fenomeno può determinarsi in vini molto acidi e quando la temperatura è alta. Per evitare il surcollaggio si consiglia di operare la chiarificazione a basse temperature, senza dimenticare che la gelatina va sciolta in acqua tiepida prima di essere incorporata al vino: una diretta immissione determinerebbe il fallimento dell’operazione. surcollaggio La quantità di gelatina da utilizzare è di circa 5-6 g/hl. Qualora venisse usato del tannino enologico, va aggiunto al vino prima della gelatina. Nel caso dei vini bianchi, che hanno pochi tannini, è meglio chiarificare con (caseinato di potassio ottenuto dal latte magro), la quale non provoca il surcollaggio e floccula per azione dell’acidità dei vini, assorbendo anche ferro e sostanze coloranti. Si adatta particolarmente ai vini delle regioni meridionali, e la quantità di impiego si aggira sui 15-20 g/hl. caseina Potrebbe anche venire usato direttamente il latte magro, che talora è in grado di eliminare certi gusti amari; ma la chiarificazione risulterebbe meno perfetta che con la sola caseina. Un altro sistema particolarmente naturale, adatto ai vini rossi delle zone settentrionali, è quello dell’ . Si montano a neve 2 o 3 albumi/hl diluiti in acqua (o, più semplicemente, si acquista la polvere d’uovo che esiste in commercio), e poi si versa il tutto nel vino, cercando di limitare la schiuma che compromette la chiarificazione. albumina d’uovo . Nel caso di vini bianchi, un buon chiarificante organico è la caseina (ottenuta dal latte magro). Potrebbe venire usato direttamente il latte magro, ma la chiarificazione risulterebbe meno perfetta Anche in questo caso, la reazione con il tannino porta a una maglia filtrante, costituita da tannato d’albumina. L’uso dell’albume è un po’ scomodo, ma viene considerato – soprattutto in Francia – molto nobile per i vini fini. Un buon chiarificante è, infine, la ricavata dalla vescica natatoria di alcune specie. colla di pesce Esistono in commercio altri chiarificanti, che sono variamente e diffusamente impiegati pur essendo considerati vietati dai regolamenti biologici; tra questi citiamo l’albumina di sangue, gli alginati, il polivinilpirrolidone. Per la chiarificazione si possono utilizzare due o tre albumi montati a neve, diluiti in acqua e versati nel vino. Nel caso di vini bianchi, un buon chiarificante organico è la caseina (ottenuta dal latte magro). Potrebbe venire usato direttamente il latte magro, ma la chiarificazione risulterebbe meno perfetta. I chiarificanti inorganici Si tratta di argille particolari dette , che assorbono acqua rigonfiandosi e attirando sulle loro superfici molte sostanze intorbidanti, tra cui quelle proteiche. Esse determinano anche una leggera asportazione di sostanze coloranti, il che le rende quindi particolarmente utili sui vini bianchi. Vanno molto bene se usate già in fase di fermentazione, ma possono rivelarsi necessarie anche in seguito, per esempio per risolvere un surcollaggio provocato da un chiarificante organico. La dose d’uso prevista dai regolamenti biologici è di circa 50 g/hl, stemperati in acqua. Attualmente si utilizza anche il , in abbinamento 1:10 con la gelatina, che permette di abbassare le dosi di bentonite per non avere residui fecciosi troppo voluminosi. Il sol di silice non è però citato dai regolamenti biologici. bentoniti sol di silice I chiarificanti chimici Sono soprattutto rappresentati dal : esso consente di eliminare i metalli in eccesso (ferro, rame ecc.) che potrebbero determinare le casse (rotture del colore). Tale trattamento va però effettuato per legge da un enotecnico o da un chimico, e non viene assolutamente consentito dai regolamenti biologici. Se comunque un vino è di buona qualità e viene da terre adatte alla viticoltura, è molto raro che debba venire demetallizzato. Ma in caso di necessità, si potranno utilizzare 5-10 g/hl di la quale funge da colloide protettore. Anche l’ ha azione complessante sui metalli. Soprattutto nei vini bianchi, occorre valutare la presenza di calcio: se fosse in dosi elevate creerebbe in futuro dei precipitati di tartrato di calcio, ritenuti sgradevoli nei prodotti destinati al commercio. Qualora il calcio superasse di molto i 40-50 mg/l, si può intervenire con o (che lascia meno “code” di precipitazione). È assolutamente vietato l’uso dell , efficacissimo ma tossico. Negli empori sono anche venduti pacchetti di chiarificanti misti: possono essere utili, ma occorre verificare bene il loro contenuto. Dopo qualche giorno dal trattamento chiarificante, quando il vino è illimpidito, si deve procedere a un travaso per eliminare le fecce del trattamento. ferrocianuro di potassio gomma arabica acido citrico acido tartarico racemico levotartrato di calcio ’acido ossalico . In genere, soprattutto i vini rossi maturano in botti di legno. Infatti, a differenza dei vini bianchi - che lasciati troppo a lungo nelle botti di legno tendono a perdere freschezza - i vini rossi non vengono influenzati dall’ossigeno che passa attraverso i pori delle doghe. Ad essere più precisi il vino rosso ha addirittura bisogno di questo lieve apporto di ossigeno, per la sua maturazione L A MATURAZIONE DEL VINO Il vino comune in pochi mesi acquisisce caratteristiche armoniche e gradevoli, giungendo a maturazione, e diventando pronto per essere bevuto, nella primavera successiva alla vinificazione. Altri vini, ottenuti da particolari vitigni coltivati in determinate zone, si evolvono invece in un periodo più lungo, fino ad acquistare il loro caratteristico bouquet e a perdere i gusti astringenti. L’invecchiamento si pratica solo se il prodotto ha una buona gradazione alcolica e un’acidità fissa, nonché un discreto contenuto di tannini e di sostanze coloranti; va destinato, cioè, solo a quei vini (per lo più rossi) non soggetti ad alterarsi per facili ossidazioni o per attacchi di microrganismi. Un tempo anche certi vini bianchi venivano conservati abbastanza a lungo, ma il gusto attuale è ormai orientato al consumo di vino bianco giovane e ricco di profumo. Dunque, il nostro discorso sull’invecchiamento si riferirà solo ai vini rossi di pregio. La prima fase La prima fase del processo di invecchiamento avviene attraverso i pori delle botti in legno. Si tratta di una lenta ma costante ossidazione che, senza danneggiare il prodotto, determina tutta una serie di modificazioni in grado di arricchire di gusti e profumi un vino che abbia già una solida base di partenza. C’è di che meravigliarsi di fronte alla serie di sostanze che si possono formare nel vino durante questa prima fase, sostanze le quali conferiscono al prodotto le mille sfumature che saranno un giorno oggetto della passione dei degustatori. Se non si usassero il vino tenderebbe a restare giovane. Abbiamo già detto che il miglior legno è il rovere, in particolare quello di Slavonia che ha pori fitti e sottili. Attualmente si stanno anche usando e sperimentando con successo su certi tipi di vino le : si tratta di piccole botti da 200/225 l, prodotte con legni particolari, che trasmettono gusti specifici ai vini arricchendone la struttura gustativa; appartengono a una tradizione tipicamente francese, una tradizione che in certi casi può essere vantaggiosamente usata anche da noi. Se un vino viene invecchiato, non necessitano molti accorgimenti di stabilizzazione e di chiarificazione, perché con il tempo e il susseguirsi stagionale si ha un naturale illimpidimento. Bisogna però impedire che l’acidità volatile aumenti troppo (rischio sempre possibile), e quindi prestare molta attenzione ai momenti precisi in cui si deve colmare le botti o effettuare i travasi per eliminare le fecce formatesi. Durante l’invecchiamento l’acidità si abbassa, i composti coloranti si modificano verso un colore meno rubino e più aranciato, i tannini si evolvono facendo acquisire al vino minor astringenza e più vellutata morbidezza. contenitori in legno barrique La seconda fase Se il processo di sia pur lenta ossidazione si protrae troppo a lungo, cioè oltre i 2-3 anni, si va incontro alla maderizzazione: un termine che deriva dal vino spagnolo Madera. Dire che un vino è maderizzato costituisce un modo elegante per definire un vino dal colore imbrunito e dal gusto eccessivamente ossidato. Per evitare questo difetto, la seconda fase dell’invecchiamento, caratterizzata da , avviene in bottiglia. Il vino, trasferito in bottiglie scure, va conservato in ambiente adatto e per un certo tempo, durante il quale si completano i vari processi di eterificazione, esterificazione, acetalizzazione e formazione di alcoli superiori. processi di riduzione Si può anche formare dell’ , la quale assomiglia nell’odore all’acido acetico; ma, a differenza di questo, si volatilizza in pochi minuti dopo aver aperto la bottiglia: ecco perché si consiglia di sturare qualche ora prima del consumo le bottiglie dei vini vecchi; nel caso in cui questo accorgimento non fosse praticabile, può essere sufficiente una scaraffatura che “risveglia” il vino prima di essere bevuto. In generale un vino da invecchiamento va consumato entro i (compresi i primi 2-3 trascorsi in botte). Oltre i dieci anni i vini possono ancora essere bevibili a seconda della loro resistenza, ma certamente hanno perduto certe caratteristiche principali e ne hanno assunto altre che li hanno resi via via più liquorosi e maderizzati. Malgrado ciò, ci sono Baroli o Brunelli che dopo decine di anni sono ancora in grado di trasmettere piacevoli sensazioni; e, comunque, le bottiglie vecchissime hanno un importante valore simbolico e collezionistico. acetaldeide 5-10 anni . Il vino matura meglio a una temperatura costante di 12 °C. I luoghi più idonei alla conservazione sono le cantine, prive di luce e di vibrazioni. L’ideale è un’umidità intorno all’80% T ECNICHE CONTRO LE ALTERAZIONI Il vino può subire modificazioni che alterano la sua composizione e i suoi caratteri organolettici; tra essi distinguiamo i difetti, gli intorbidamenti e le vere e proprie malattie. Accorgersi in tempo di tali modificazioni – magari con l’aiuto di una analisi chimica eseguita in laboratorio – fa sì che, se il processo non è ancora molto avanzato, si possa procedere a opportune cure. Odori sgradevoli Quando si parla di difetti nel vino non si è ancora di fronte a una modificazione vera e propria della sua composizione; ciò non toglie che, a volte, anche semplici odori sgradevoli possano essere difficili da eliminare. L’odore di si sviluppa nel caso di vino tratto da uve marce; l’odore di può derivare da botti mal conservate o non ben avvinate; l’odore di si ha quando il vino resta troppo a contatto con i depositi, e si può evitare effettuando i travasi al tempo giusto. In tutti i casi, questi odori possono essere curati con un buon arieggiamento del vino; altrimenti si possono utilizzare i carboni attivi, che hanno una buona azione deodorante ma, si badi, appiattiscono molto il prodotto. Gli odori dovuti a possono essere eliminati con un buon arieggiamento, che ha un effetto anche per l’odore di dovuto all’idrogeno solforato. In questo secondo caso, il travaso si farà su setaccio di rame. muffa legno feccia eccesso di anidride solforosa uova marce La come abbiamo già detto, si ha quando il vino tende a una veloce ossidazione, con imbrunimento del colore e acquisizione di sapore rancido. La tendenza alla maderizzazione dipende molto dalle uve di origine; può essere evitata impedendo il più possibile il contatto del prodotto con l’aria e mediante un corretto uso dell’anidride solforosa. maderizzazione, Gli intorbidamenti Si tratta di modificazioni più complesse dei difetti, di origine chimica o microbica, con evidente alterazione visiva. Non bisogna confondere la naturale torbidità del vino in via di illimpidimento con l’intorbidamento. Il quale non è comunque un inconveniente grave, se il vino è destinato a un consumo domestico; può diventare spiacevole, semmai, per i vini commercializzati. Causa di intorbidamento può essere la : è un fenomeno normale nei vini giovani, i quali sono soluzioni sovrassature di bitartrato di potassio (un sale massicciamente presente nel vino che precipita con l’abbassamento della temperatura invernale). Quando la precipitazione dei tartrati continua in bottiglia si hanno dei depositi bianchi, che diventano colorati nei vini rossi; essi costituiscono il cosiddetto “fondo”, in presenza del quale la bottiglia va senz’altro scaraffata. Per evitare la precipitazione dei tartrati, le grandi cantine attuano refrigerazioni stabilizzanti, ma un vino ben maturo non dovrebbe averne bisogno. Per ciò che riguarda la , ci si rifaccia a quanto già detto nella parte finale del capitolo dedicato alla chiarificazione del vino. Altra alterazione della limpidezza del vino è la rottura del colore o casse. Il termine casse deriva dal francese ( , significa “rompere”) e indica il fenomeno chimico-fisico per il quale i metalli del vino (ferro e rame) precipitano assieme ai colloidi e alle sostanze coloranti, snaturando il prodotto. La si ha quando il ferro è contenuto nel vino in dosi eccessive e si combina con l’ossigeno, passando alla forma trivalente; questo precipita dando luogo a depositi bianchi che divengono bluastri nei vini rossi. Gli eccessi di ferro, costituente normale delle uve, possono derivare dalla presenza di polvere e terra, o dall’uso di attrezzi inadatti. Ricordiamo che la chiarificazione con ferrocianuro di potassio è assolutamente vietata per i vini biologici, così come non è concessa quella con l’alginato di sodio. Nei regolamenti biologici francesi è ammessa la lotta alla casse ferrica con i fitati di calcio; essa è però di complessa attuazione e dal risultato incerto, per cui sarà meglio, in caso di necessità, delegarla a un enotecnico. Possiamo cercare di bloccare l’eccesso di metalli anche con l’acido ascorbico (o vitamina C; dose consigliata: 5 g/hl; massimo di legge: 10 g/hl) e con l’acido citrico (dose consigliata: da 30 a 100 g/hl). Nei regolamenti biologici l’acido ascorbico non è però ammesso. La si presenta soprattutto nei vini bianchi che contengono molto rame (proveniente da residui di poltiglia bordolese o da attrezzi utilizzati). Il fattore scatenante è qui opposto al precedente, essendo l’assenza di ossigeno a determinare il fenomeno che quindi avviene soprattutto in bottiglia, e che presenta aspetti diversi a seconda dei vini in questione. Se si individua in tempo l’eccesso di rame, si può intervenire con un travaso all’aria. Come per la casse ferrica, anche nei confronti della casse rameica l’acido citrico e l’acido ascorbico possono rivelarsi efficaci. Se però il vino è già in bottiglia, non vi è più soluzione, a meno che non lo si voglia sbottigliare per trattarlo. Si è in presenza di allorché il vino esposto all’aria diventa disgustoso e color brodo di castagna, sia esso rosso o bianco. Il fenomeno è dovuto a enzimi ossidasici che si creano in gran misura sulle uve botrizzate o comunque non ben conservate; è perciò importante seguire i consigli fin qui forniti per queste eventualità. A livello industriale, nei confronti della casse ossidasica si usano sistemi come la pastorizzazione; noi dovremo invece limitarci a un buon uso della bentonite e non potremo fare a meno di utilizzare l’anidride solforosa, giungendo nei casi più gravi ai limiti massimi previsti dai regolamenti biologici. precipitazione dei tartrati precipitazione del calcio casser casse ferrica casse rameica casse ossidasica Spettacolari cristalli di tartrati che in modo del tutto eccezionale si sono formati sul tappo. La precipitazione dei tartrati (causa del cosiddetto “fondo” presente a volte anche in bottiglia), può essere causata da un eccessivo abbassamento della temperatura invernale. Le malattie Quando l’intorbidamento è accompagnato da modificazioni dei costituenti fondamentali del vino, innescate da sviluppo di microrganismi, si parla allora di malattia. Un vino ben fatto non rischierà di andarne soggetto, soprattutto se l’ambiente che lo accoglie è adatto, pulito e non raggiunge temperature troppo elevate. È importante insistere sull’igiene, e ricordare che la predisposizione alle malattie riguarda vini deboli e con residui di zuccheri non fermentati. L’ è la malattia più diffusa nei vini artigianali poveri di alcol, di acidi e di tannini; oppure in quelli buoni conservati in botti infette. Gli agenti causanti sono batteri del genere , presenti nell’uva o in ambienti non ben puliti; essi fanno fermentare l’alcol trasformandolo in acido acetico. Quando il fenomeno è nella fase iniziale si parla di : il vino può essere ancora bevibile se magari tagliato con altro vino; oppure si può tentare un recupero facendolo rifermentare con vinacce fresche l’anno successivo. Come per la casse ossidasica, questa malattia ci obbliga all’uso di anidride solforosa, nei confronti della quale i batteri sono molto sensibili. La legge fissa in 20 meq/l (poco più di 1 g/l) il limite di acidità acetica oltre il quale il vino non è più considerato tale; molte associazioni biologiche consigliano limiti inferiori, tipo 0,7 g/l, anche se il vino non diventa propriamente aceto fino ai 6 g/l. Quando lo spunto si aggrava non c’è soluzione; si forma sul vino una pellicola bianca, si sente un forte odore di acido acetico abbinato ad acetato di etile (acido acetico + alcol). L’acescenza è una gravissima malattia, a meno che non si abbia bisogno... di una buona scorta di ottimo aceto di vino! È vietato detenere vino acescente nelle aziende enologiche, e bisogna inviarlo all’acetificio, previa denaturazione con solfato di litio. acescenza Acetobacter spunto La è una malattia non grave, ma può predisporre il vino all’acescenza o ad altre malattie. È detta così perché forma un velo biancastro alla superficie, ed è provocata da lieviti aerofili ( ecc.). Questi lieviti degradano lievemente l’alcol o gli zuccheri residui, snervando le caratteristiche organolettiche. La fioretta si sviluppa più facilmente nei vini con meno di 12° alcolici, per contatto prolungato con l’aria. Bisogna tenere allora i recipienti sempre ben pieni o spruzzare la superficie momentaneamente esposta con anidride solforosa in confezione spray. Nelle damigiane si utilizzerà olio enologico alla superficie, oppure pastiglie di isosolfocianato d’allile. Un tempo, anche nei bottiglioni veniva introdotto un po’ d’olio: per questo, prima di versare il vino in esso contenuti, i bottiglioni venivano sboccati con un gesto tipico, gesto che certi contadini ancora ripetono per abitudine anche quando non ve ne è bisogno. fioretta Candida mycodema, Pichia, Hansenula Il è una malattia per cui l’acido tartarico viene distrutto con formazione di acido lattico, acido acetico e CO : scende così l’acidità fissa e aumenta quella volatile, il gusto diventa piatto, il colore spento. Responsabili di tutto ciò sono specifici “batteri del girato”, che agiscono solo con pH molto basso (3,5). I rischi maggiori si corrono nelle in zone calde, con vini a bassa acidità che hanno effettuato la fermentazione malolattica. Si può prevenire il girato correggendo l’acidità con l’uso di un po’ di anidride solforosa. Se il fenomeno è nella fase iniziale si può tentare di fargli fare una rifermentazione su vinaccia fresca con uso di lieviti selezionati. Se invece la malattia è in fase avanzata, il prodotto non è più recuperabile e non è nemmeno utile per l’acetificazione. girato 2 L’ è una malattia che colpisce i vini a bassa gradazione, ed è caratterizzata dalla formazione di acroleina che provoca un caratteristico gusto amaro. L’acroleina deriva dall’attacco alla glicerina da parte di batteri del tipo , ed è accompagnata dalla formazione di acido lattico e acidi grassi. Anche qui tutte le normali precauzioni di una buona vinificazione e le giuste correzioni dell’acidità, nonché un minimo uso di anidride solforosa possono far diventare tale malattia una semplice curiosità scientifica. amaro Bacillus amaracrylicus L’ , o , è una malattia caratteristica nei vini che hanno conservato un residuo zuccherino non fermentato. La maggior parte dei batteri lattici, compresi quelli della fermentazione malolattica, attaccano gli zuccheri non fermentati, formando acido lattico e acido acetico, e provocando nel vino un gusto dolce e acido allo stesso tempo. Questa malattia viene definita anche fermentazione mannitica, perché il fruttosio rimasto provoca la formazione di una sostanze zuccherina detta mannite. Malattia tipica delle zone meridionali, colpisce quando le alte temperature bloccano la fermentazione prima che il vino sia completamente secco. Anche nel caso non si facesse uso di anidride solforosa bisognerà stare attenti, perché misteriosi aumenti dell’acidità volatile a 0,7-0,8 possono essere dovuti a questa malattia che sta agendo in maniera larvata. agrodolce fermentazione mannitica Più che una malattia, il è una manifestazione anomala della fermentazione malolattica, dovuta all’azione del che produce sostanze mucillaginose con le quali i batteri formano colonie lunghe e filamentose. Un travaso all’aria con sbattimento, seguito da una chiarificazione e da una leggera solfitazione è il rimedio da attuarsi. Tutte le malattie qui descritte possono rappresentare praticamente dei ricordi storici, se si accetta un minimo uso di anidride solforosa e se si vinifica con criterio. Desiderando abolire totalmente l’anidride solforosa, bisognerà essere molto accorti e preparati, in modo da non dover fronteggiare anche queste difficoltà. filante Bacillus viscosus L A CONSERVAZIONE IN BOTTIGLIA L’imbottigliamento è la fase finale della lavorazione del vino; si attua per comodità di consumo e anche perché va a costituire la seconda fase del processo di invecchiamento. Per il vino al suo primo anno di vita, l’epoca migliore per l’imbottigliamento è il periodo che va , quando cioè il cremortartaro si è già potuto depositare completamente, l’eventuale fermentazione malolattica è già avvenuta, e il vino è quindi limpido e stabile. da giugno ad agosto Innanzitutto si effettua un (ed eventualmente un’analisi chimica); si procede quindi al riempimento dei contenitori prescelti con una o con , appositamente regolate in modo che tra vino e tappo resti uno spazio minimo per le oscillazioni del volume (dovute a variazioni di temperatura) e non per l’ossigeno. Nonostante tutte le lavorazioni cui è stato finora sottoposto, il vino è alimento vivo, e dopo l’imbottigliamento si possono formare lievi depositi o flocculi che non sono generalmente graditi dal consumatore medio. Per evitare tali inconvenienti, di solito si ricorre, in fase di preimbottigliamento, a un’aggiunta di (vitamina antiossidante) e di (antiprecipitante). Queste sostanze sono però vietate dai francesi e anche dai regolamenti biologici italiani. È consigliabile, piuttosto, tenere sempre controllato il tenore di anidride solforosa libera, per verificare se sia il caso di ripristinare il livello perduto durante la conservazione del vino in botte. controllo organolettico canna a sifone macchine da imbottigliamento a più becchi acido ascorbico acido metatartarico cahiers de charge Bottiglie in fila pronte per l’etichettatura. La tappatura Per la tappatura si può utilizzare un semplicissimo attrezzo manuale, o altri meccanici un po’ più complessi ma molto utili se si oltrepassa la produzione familiare. I tappi sono classicamente in e vanno scelti con molta attenzione perché devono derivare da materia prima sana e ben stagionata. In caso contrario, i tappi possono successivamente causare danni al vino conferendogli gusti estranei, per lo più causati da microrganismi ( ) che si insinuano tra i pori del sughero. Il luogo di maggior diffusione in Italia della quercia da sughero ( ) è la Sardegna; il prodotto viene asportato dagli alberi ogni dieci anni circa. Purtroppo il sughero sardo di qualità è scarso; si ricorre pertanto a grosse importazioni dalla Spagna, dal Portogallo e da alcuni Paesi nordafricani. Nonostante i tappi sembrino molto belli per aspetto esteriore ed elasticità, i sugherifici non possono mai garantire al 100% che siano anche perfettamente inerti. Nei confronti di questo fenomeno una minima percentuale di rischio è universalmente accettata: tipico è il gesto dell’assaggiatore che, appena aperta la bottiglia, verifica la buona conservazione del turacciolo. sughero Armillaria mellea Quercus suber Vi sono in commercio tappi già trattati con apposite cere o vaselina per garantirne una loro miglior tenuta. La piccola azienda che adotta i tappi di sughero deve dotarsi poi di una , per non contravvenire alla legge che obbliga l’applicazione delle capsule; per le etichette, si ricorrerà infine a una che potrà essere anche semplice e magari acquistata di seconda mano da un’azienda di medie dimensioni che si stia dotando di un’etichettatrice rotativa più veloce. Le capsule possono essere in polietilene, in alluminio o in piombo. Queste ultime risultano molto più robuste e perciò sono adottate in parecchi vini di alto pregio; le associazioni biologiche ne consigliano però la soppressione, perché creano inquinamenti al momento della produzione. capsulatrice a caldo etichettatrice Dopo aver stappato una bottiglia, sarebbe opportuno “saggiare” il tappo con una veloce prova olfattiva. I tappi “guasti” si riconoscono per un forte odore di sughero; quelli “sani” invece sanno di vino, o comunque hanno un odore neutro. L’imbottigliamento dei vini bianchi A questo punto si apre un capitolo dell’enologia biologica il quale riguarda, però, solo le aziende di una certa dimensione e che lavorano prodotti delicati, come vini bianchi, dolci o frizzanti. Esso comprende tutte le pratiche di e soprattutto quelle di , che si vanno perfezionando sempre più. Come consumatori cercheremo di dare la preferenza alle aziende che sappiamo coscienziosamente impegnate a garantirci dall’illecito uso di molecole antifermentative. Come avviene in tutti i settori, dopo le soluzioni complesse arrivano le applicazioni più semplificate, e infatti esistono filtri sterili di vario tipo, utili soprattutto a coloro che imbottigliano vini bianchi. imbottigliamento a caldo imbottigliamento sterile I contenitori biologici per il vino Esistono oggi in circolazione contenitori per il vino di nuova concezione; ma per un prodotto biologico il miglior materiale resta sempre il , sotto forma di bottiglie, fiaschi o bottiglioni (quest’ultimi più consoni all’uso domestico). Per i trasporti e per la conservazione vi sono poi le intramontabili damigiane, magari di dimensioni inferiori a quelle classiche da 54 l, piuttosto pesanti. La pratica più comoda consiste nell’acquistare i pacchi di bottiglie sterilizzate. Se invece si possiedono già delle bottiglie e si intende riutilizzarle, occorre lavarle e lasciarle asciugare rovesciate sugli appositi tralicci. Il si effettua con acqua calda e soda, aiutandosi con apposite spazzole che passano per il collo della bottiglia. Una volta riempite, le bottiglie vanno conservate in locali poco luminosi e a temperatura costante intorno ai 15 °C. Se è vero che temperature più alte possono accelerare l’invecchiamento, è anche vero che sono da temere i bruschi abbassamenti perché possono creare precipitazioni tartariche. L’umidità relativa ottimale è attorno al 60-70%. Si consiglia di tenere le , cosicché il vino bagni il tappo e lo conservi morbido e integro; ma se il sughero è di qualità, le bottiglie possono stare anche in piedi; d’altronde, con sugheri scadenti in qualsiasi modo stiano le bottiglie il risultato non sarà buono. vetro lavaggio bottiglie coricate Nello spumante, dopo la fermentazione, il mosto viene tagliato con altri vini. Poi si aggiungono zucchero e lieviti; il tutto viene quindi travasato in bottiglie e tini a tenuta stagna, dove ha luogo la seconda fermentazione. In questa operazione i lieviti producono depositi naturali, che nel caso della fermentazione in bottiglia possono essere eliminati. Le bottiglie vengono poi disposte rovesciate in appositi sostegni inclinati, e “ruotate” giorno per giorno da mani esperte. Segue un lungo periodo di invecchiamento. V ALORE ALIMENTARE DEL VINO Dopo aver concluso la lavorazione del vino, viene il momento di consumarlo e di apprezzarne le caratteristiche, magari in compagnia, rispettando il detto secondo cui «il vino crea le amicizie e poi le conserva». Il vino è una bevanda complessa, che ha sull’organismo svariati effetti fisiologici oltre a quelli puramente alimentari. Il tenore alcolico Tra gli elementi che compongono il vino quello che fa più discutere è senz’altro il tenore alcolico, che si aggira mediamente tra l’11 e il 13%. Per la quasi totalità si tratta di alcol etilico derivato dalla fermentazione; ma vi sono nel vino anche molti altri alcoli che contribuiscono a determinare i suoi caratteri organolettici. In relazione al tipo di vino, l’alcol viene assorbito sia attraverso le pareti dello stomaco sia attraverso l’intestino. Nel caso dei rossi, l’assorbimento è più lento e graduale; nel caso dei bianchi, che sono privi di sostanze polifenoliche frenanti, l’alcol entra più velocemente nel circolo sanguigno. L’alcol ha un alto ; integrato con gli altri costituenti del vino, costituisce una notevole fonte di energia. Agisce sulle cellule del sistema nervoso; e, se a piccole dosi può essere antidepressivo e euforizzante, a dosi superiori diventa tossico. È sempre da preferirsi il consumo del vino durante i pasti; quello a digiuno è decisamente sconsigliato. Rispetto all’alcol, bisogna anche valutare il diverso grado di : i medici raccomandano di non superare una dose giornaliera pari a 0,1 g/l per chilo di peso corporeo (per un uomo del peso di 75 kg, corrisponde a poco più di mezza bottiglia al giorno di un vino a 12°). Con i vari livelli di tollerabilità entra in gioco anche il (ormone maschile), il quale favorisce una più veloce metabolizzazione dell’alcol. potere calorico tollerabilità individuale testosterone Nonostante i molti pregi del vino, che vedremo man mano, riteniamo non sia mai sprecato il saggio consiglio di bere bene e bere poco, perché, per dirla con Pietro l’Aretino, il vino «può confondere il senno e contaminare i sensi». Agli innumerevoli tentativi dei produttori, volti ad abbassarne il grado alcolico, puntualmente subentrano problemi di conservazione che solo certi metodi industriali come la pastorizzazione possono risolvere. Tra le varie possibilità, ricordiamo quella della selezione di , che suscita però qualche perplessità per le difficoltà di realizzazione; e quella che fa ricorso al processo di , una tecnica che prevede il passaggio di acqua e alcol attraverso i pori di una membrana in grado di trattenere le altre molecole organiche; dal prodotto che si ottiene, con l’aggiunta di acqua distillata, si ricava una bevanda che conserva i componenti del vino di origine. Si tratta di una “americanata” in senso stretto, dato che questa tecnica è molto diffusa negli Stati Uniti dove, tra l’altro, sta aumentando il consumo di , cioè di vini misti a succhi di frutta. Tali prodotti, ora legali anche da noi, troveranno probabilmente non poche resistenze nel mercato europeo, abituato com’è a una ben diversa concezione del vino. lieviti poco alcoligeni osmosi inversa wine-coolers Altri costituenti Oltre all’acqua e ai vari alcoli troviamo nel vino la , gli (tartarico, malico e lattico), gli (acido acetico e altri), le , le (proteine, amminoacidi), le (potassio, rame, ferro, calcio, manganese ecc.), i , i , le , le (del gruppo B, C, P, H ecc.). L’uso dello (strumento costituito da uno spettrometro e da un fotometro, con il quale si può confrontare l’intensità luminosa di due sorgenti su diverse lunghezze d’onda) permette di individuare l’innumerevoli elementi che, sia pur presenti in piccole tracce, fanno del vino una bevanda ricca e complessa. Crediamo per questo che sia errato il concetto, ancora molto diffuso a livello commerciale, di valutare il vino solo per il suo tenore alcolico e non per la sua qualità biologica: intendiamo con ciò riferirci sia alle caratteristiche organolettiche, sia alla «somma dei fattori che contribuiscono al mantenimento di un normale metabolismo nel consumatore», così come si esprime il professor Claude Aubert. glicerina acidi fissi acidi volatili sostanze peptiche sostanze azotate sostanze minerali solfati fosfati sostanze aromatiche vitamine spettrofotometro Proprio a questo fine si cerca di limitare al massimo l’uso degli additivi, per quanto tecnicamente perfetti essi siano. Dal punto di vista energetico, possiamo dire che 1 litro di vino fornisce tra le 700 e le 900 calorie, che sono in massima parte dovute al potere calorico dell’alcol. Le azioni fisiologiche Il vino è dunque bevanda, alimento e agente fisiologico. Riguardo a quest’ultimo aspetto, oltre all’ dell’alcol sul sistema nervoso e muscolare, è attualmente oggetto di studio la sua , dovuta alla presenza dei polifenoli del gruppo dei tannini, diffusi al massimo grado nei vini rossi robusti. In Francia è stato lanciato un vino con tannini aggiunti, denominato a segnalare la sua azione protettiva sul sistema circolatorio. azione stimolante azione anticolesterolo vin coeur Il vino e È stata anche messa in evidenza la sua , dovuta alla presenza della catechina; chiaramente, se il vino è sofisticato (e magari ha subito aggiunte di acidi minerali) si ottiene l’effetto opposto. Il vino, inoltre, favorisce la e ha effetto . Altre buone proprietà si evidenziano quando al vino venga abbinata una determinata alimentazione: i cosiddetti vini di regime sono suddivisi in sei categorie, ognuna delle quali è consigliata nella dieta prevista per una particolare affezione. Non si faccia confusione: non si vuol affermare con ciò che il vino è una medicina, bensì riconoscere semplicemente che esso costituisce un fattore dietetico, così come possono esserlo la carne o gli zuccheri. stimola la digestione aiuta la secrezione biliare. azione protettrice sull’ulcera gastrica diuresi vasodilatatore Per esempio, per l’anemia vanno bene i vini del tipo A e D; per l’ipertensione arteriosa vini del tipo B ed E. Questi ultimi due tipi funzionano bene anche per le nevrosi depressive; mentre nel caso di debilitazioni vanno bevuti i vini del tipo D; all’obesità si abbinano i vini del tipo C, e così via. Non riportiamo rigorose elencazioni perché si tratta quasi sempre di indicazioni di massima, che possono lasciare spazio ad abitudini e a preferenze personali. A testimonianza di certe possibili proprietà benefiche del vino, è opportuno ricordare che in passato lo si è usato molto come elemento base di preparati medicamentosi d’ogni genere. È il caso, in particolare, del vino chinato, del rabarbaro, del famoso vin brulé e di molti altri. Bacco e Venere Qualche nota infine sul connubio tra Bacco e Venere. Si suole dire che il vino predisponga, tanto l’uomo quanto la donna, all’attività sessuale e che la aiuti; questo è vero solo nel senso che il vino può sciogliere blocchi psicologici e inibitori, incoraggiando una blanda euforia, provocando buona disposizione e anche maggior eccitazione fisiologica. Può insomma dare una spallata alla timidezza, ma occorre stare attenti perché, oltre una certa dose, il vino avrà un effetto opposto a quello desiderato, provocando intontimento e sonnolenza. Si considerano generalmente più adatti i vini bianchi poco alcolici, frizzanti o spumanti, che possono essere assorbiti rapidamente ma altrettanto rapidamente smaltiti. Però, questo tipo di vini presenta spesso alte dosi di anidride solforosa, che possono causare un indesiderato cerchio alla testa. Ben venga quindi il vino biologico! Concludendo, occorre comunque segnalare che molta dell’azione fisiologica del vino dipende anche dalla personale reattività di ciascuno. Il vino è un “efficace” afrodisiaco. Le sue proprietà in tal senso sono note fin dall’antichità: sblocca freni inibitori e rende più vivace e sincero il dialogo. Come si dice: in vino veritas. L A DEGUSTAZIONE La degustazione, detta anche esame sensoriale o organolettico, è l’indagine sulle caratteristiche di un vino attraverso i sensi. È difficile pretendere dalla degustazione un verdetto assolutamente attendibile: degustare resta sempre un’arte soggettiva; ma un’applicazione costante e prolungata, unitamente allo scambio di opinioni con altri assaggiatori, può portare chi possiede una naturale attitudine a diventare veramente preciso ed esperto. Il vino è un prodotto dai gusti variabili, e tutti coloro che lo consumano dovrebbero avere qualche nozione di degustazione per poterlo meglio apprezzare. Oltre che al piacere vero e proprio dell’assaggio, la degustazione serve per esercitare un giudizio periodico durante le fasi di elaborazione, per giudicare il momento più propizio al consumo, per rilevare sommariamente i componenti chimici essenziali e, infine, per formulare giudizi di idoneità o di merito. Esistono innanzitutto delle condizioni esterne al vino che vanno rispettate, perché possono fortemente influenzare la valutazione. Tra queste ricordiamo: il locale dove ci si trova, che deve essere luminoso, sobrio ed esente da odori particolari; i contenitori , cioè le bottiglie e i bicchieri, che devono prestarsi ai diversi generi di prodotti; la temperatura di servizio del vino che, se alterata, può modificare fortemente l’impressione finale. Per ciò che riguarda la temperatura, un rosso sarà assaggiato intorno ai 15 °C, se giovane, e ai 18-20 °C, se invecchiato; mentre un bianco dovrà essere servito intorno ai 12 °C, e uno spumante a una temperatura ancora inferiore. In generale, le temperature basse fanno risaltare il dolce e l’aromatico, mentre diminuiscono l’impressione di acidità e i sapori estranei; le temperature alte sviluppano meglio le sensazioni dovute ad alcoli, eteri, esteri, e più in generale i profumi; ma esaltano eventuali caratteri aspri del vino. In alto: Qui sopra: bottiglie conservate in una teca. termometro per vino. Si tratta di un oggetto indispensabile per l’amatore che voglia servire il vino sempre alla giusta temperatura. Termometri per misurare la temperatura del vino. Questo utensile va inserito nel bicchiere: però, secondo le regole del bon ton, non va mai presentato a tavola o al ristorante. Cavatappi d’epoca in mostra all’enoteca “Cantine di Greve” a Siena, in Toscana. Di cavatappi ce ne sono di tutti i colori e modelli e per tutti i gusti, dal più sobrio e funzionale (per chi preferisce la praticità), al più originale e perfino un po’ kitsch (per chi ama oggetti all’avanguardia nel design domestico). I sensi per la degustazione Il primo organo di senso che si utilizza durante la degustazione del vino è la ; con questa valutiamo la limpidezza o gli eventuali intorbidamenti, il colore, l’effervescenza dovuta a CO (perlage e spuma), la fluidità. Dalla maggiore o minore evidenza dei famosi “archetti”, determinati nel bicchiere dal contrasto alcol-glicerina, si deduce se il vino presenta un buon estratto ed è quindi di giusta robustezza. Con l’ analizziamo gli aromi, gli odori e i profumi. Gli aromi sono caratteri tipici delle uve, trasmessi anche al vino. L’odore del vino (vinoso, di lievito, di violetta, di frutta, di lampone ecc.) si forma durante la fermentazione; il profumo, invece, si origina durante l’invecchiamento. Nell’insieme, le sensazioni olfattive costituiscono il bouquet del vino. Dopo si passa al , con cui si percepiscono quattro sapori fondamentali (dolce, acido, salato, amaro), con diversa intensità a seconda delle varie zone della lingua: il dolce si sente meglio sulla punta, l’acido ai bordi, il salato su punta e bordi, l’amaro sulla parte posteriore. Questi elementi, combinati fra loro, offrono una meravigliosa serie di sensazioni, che in genere vengono descritte dai degustatori con termini originali, tendenti a puntualizzare anche informazioni di tipo diverso, come la corposità o il tipo di tannicità presente. L’analisi del gusto si effettua facendo gorgogliare in bocca un po’ di vino misto ad aria; evidenziati i caratteri, se ne valuta la persistenza attendendo l’emergere dei retrogusti. Si ritiene che anche il sia coinvolto nella pratica della degustazione, perché molte sensazioni che si sentono in bocca sono collegate all’eccitamento di papille tattili: ciò accade, per esempio, nel valutare se un vino è morbido o ruvido. Il giudizio complessivo sull’armonia di un vino comprenderà un’impressione generale, ottenuta dalla mescolanza dei vari elementi percepiti. Nelle schede degustative viene data particolare importanza all’elemento della , cioè alla rispondenza o meno del vino ai caratteri generali e tradizionali del suo vitigno, considerata l’area di provenienza. Nelle osservazioni generali, si mettono pure in evidenza eventuali manchevolezze o difetti. Nel presentare per la degustazione un vino biologico, questo suo aspetto andrebbe ben evidenziato e, l’approccio alle caratteristiche del prodotto dovrebbe essere diverso. vista 2 olfatto gusto tatto tipicità La degustazione richiede molta attitudine comparativa e la capacità di non lasciarsi suggestionare (capita di dare giudizi diversi sul medesimo vino in prove alla cieca). È necessaria nel caso di vini DOCG, che possono entrare in commercio solo dopo la dichiarazione di idoneità fornita da una preposta commissione di assaggio. Esistono corsi specifici di degustazione nelle scuole tecniche specializzate per l’enologia; e corsi promossi dall’AIS (Associazione italiana sommelier), dall’ONAV (Ordine nazionale assaggiatori vino), nonché da altre associazioni sparse in tutta Italia. Da sinistra verso destra: bicchiere per vini rossi con poco tannino: Barbera, Pinot, Pinotage; bicchiere per vini rossi complessi: l’ampio diametro favorisce l’ossigenazione del vino e l’evaporazione dell’alcol; bicchiere per vini rossi giovani: Chianti, giovani Bordeaux e Rioja; bicchiere per Champagne e spumanti; bicchiere per passiti e vini liquorosi. In alto: In basso: una scheda di degustazione a punti. la ruota degli aromi, un utile strumento per ordinare e catalogare le sensazioni olfattive percepite durante le degustazioni. Ai sommelier niente tabacco Per degustare il vino i sensi devono essere tutti concentrati e attivi. Durante una degustazione è quindi una buonissima regola . E questo è opportuno anche quando i vini vengono assaporati durante i pasti. Il fumo in realtà, al di là dei luoghi comuni, non influisce sulla capacità di degustare un vino, però disturba gli altri partecipanti. La capacità degustativa impiega, infatti, almeno quindici minuti per rigenerarsi dopo aver fumato una sigaretta. Chi partecipa ad una prova di degustazione dovrebbe seguire anche altre regole: o profumi perché disturberebbero e confonderebbero gli aromi del vino. Un altro elemento bandito ai sommelier è il che “rovina” la lingua - chi lo direbbe? - più del tabacco. Se proprio non se ne può fare a meno, berlo subito dopo la degustazione. I sono un piacere per gli occhi, ma disturbano il sentore del vino. In generale le persone sottoposte a un contatto continuato con odori forti (tabacco, inquinamento) non sono più in grado di percepirli. La capacità olfattiva sembra legata anche all’età forse perché con l’avanzare della vecchiaia, diminuisce la concentrazione. Quel che è certo è che la capacità olfattiva muta anche nel corso di una stessa giornata. Dopo i pasti è bassa, a digiuno è al massimo. NON ACCENDERSI UNA SIGARETTA MAI COSPARGERSI DI DOPOBARBA CAFFÉ FIORI La decantazione Quando travasiamo un vino in una caraffa lo stiamo decantando. La è necessaria e opportuna solo nel caso di che nel tempo hanno formato un deposito, oppure con i vini rossi pesanti ma ancora giovani che necessitano del contatto con l’ossigeno prima di essere serviti. Nei vini vecchi, grazie alla decantazione, il deposito rimane nella bottiglia e così si evita che finisca nei bicchieri durante la mescita. Il deposito si è raccolto sul fondo negli anni e in genere è costituito da residui di fermenti. Questo non danneggia il gusto del vino, ma di per sé ha un sapore amaro e non troppo piacevole. I vecchi Pinot fanno però eccezione: il loro deposito ha un buon sapore e può essere bevuto con il vino. Per questo motivo non hanno bisogno di essere decantati. Per la decantazione dei sono particolarmente adatti i , caraffe panciute e dal collo lungo. In questo modo il vino viene fatto mulinare già durante il travaso. Attenzione solo con i vini molto vecchi: lo choc d’aria può provocare l’ossidazione improvvisa e renderli imbevibili. DECANTAZIONE VINI ROSSI VECCHI VINI GIOVANI DECANTER