LA DISTILLAZIONE CASALINGA olare goccia a goccia: questo è il significato della parola distillare. Un significato che dà l’idea della lentezza di un procedimento antico che trae la sua origine quasi nella notte dei tempi, negli antri degli alchimisti medievali alla perenne ricerca della pietra filosofale. La tecnologia della distillazione è oggi una operazione ampiamente diffusa che viene usata in moltissimi settori del lavoro umano: nella separazione dei vari componenti del petrolio per la produzione di gas, benzine, gasolio, oli minerali ecc.; nella preparazione dell’acqua distillata da usare in casa, nelle batterie delle automobili, o nei laboratori scientifici; nella purificazione dei solventi usati nelle lavanderie; nell’estrazione e concentrazione dell’alcol da prodotti e sottoprodotti delle fermentazioni (vino, vinacce, frutta, melassa ecc.); nell’estrazione di determinati principi (oli essenziali, alcoli, sostanze aromatiche) da erbe e da altre piante aromatiche o parti di esse, principi che poi possono venire utilizzati per la preparazione di liquori, profumi, medicamenti. Una pratica, quella della distillazione, che può essere eseguita anche con una piccola attrezzatura familiare, ma che deve rispondere ad alcune regole precise per fornire dei prodotti sani. Nei capitoli che seguono, oltre ai principi generali che governano l’attività della distillazione, tratteremo dei tipi di distillazione che possono interessare maggiormente le preparazioni e le utilizzazioni familiari: la distillazione alcolica e quella delle erbe aromatiche e officinali. C La pratica della distillazione ha origini antichissime. Secondo alcuni autori risale addirittura alla civiltà egiziana e, all’ epoca di Cleopatra, avrebbe conosciuto un grande splendore. La distillazione alcolica nella storia È difficile, se non impossibile, fissare con buona approssimazione l’epoca nella quale ha avuto origine la pratica della distillazione, almeno come la intendiamo oggi (cioè come separazione per evaporazione di una miscela liquida del componente più volatile, come per esempio l’alcol del vino). Secondo alcuni autori (Sinesio, IV secolo d.C.) nella civiltà egiziana la pratica della distillazione di vino e sidro era già nota quattro millenni prima della nascita di Cristo; all’epoca della regina Cleopatra, nel I secolo d.C., quest’arte avrebbe assunto grande splendore, specie per la produzione di liquori. Risulta strano però che presso i Greci e i Romani, che con gli Egizi ebbero molti scambi culturali e commerciali, non fossero noti liquori e acquaviti. Solo nell’XI secolo alcune cronache parlano della conoscenza di liquori alla corte dell’imperatore di Bisanzio Alessio. Tuttavia, notizie certe e documentate sulla distillazione alcolica si hanno solo intorno al periodo che va dal XII al XIII secolo, in pieno Medioevo. Dopo i secoli di confusione culturale seguiti alla caduta dell’Impero Romano, riprendono e iniziano a fiorire nuove attività speculative, prima fra tutte l’alchimia a opera innanzitutto degli Arabi e poi degli Italiani; fu proprio l’alchimia a dare origine alla pratica della distillazione. Le operazioni distillatorie infatti erano molto usate nella ricerca dell’elisir di lunga vita e della pietra filosofale. Furono gli alchimisti arabi a chiamare (acqua di vita) il prodotto della distillazione del vino, ritenendo che questo avesse proprietà medicamentose straordinarie, in grado di preservare la salute e di prolungare la vita stessa. E sembra ancora che le parole alambicco (l’apparecchio per la distillazione) e alcol (il prodotto di questa distillazione) siano di origine araba. aqua vitae Nel XIII secolo il medico Arnaldo da Villanova dà per primo ampie notizie sull’acquavite di vino, parlandone come di una scoperta avvenuta da non molto tempo e di un avvenimento prodigioso capace di sollevare l’umanità dai suoi mali; così pure si esprimeva un allievo e amico del Villanova, Raimondo Lullo, secondo il quale l’acquavite sarebbe servita in futuro a ringiovanire il genere umano. A molti altri studiosi italiani dello stesso periodo e dei secoli seguenti è da ascrivere poi lo sviluppo delle conoscenze sulla distillazione: da Bernardo da Treviso a Vannoccio Beringuccio da Siena, da Gerolamo Cardano da Pavia a Giovanni Battista della Porta da Napoli a tanti altri. Fu il medico padovano Michele Savonarola nel XVI secolo a ideare e realizzare il primo apparecchio per la produzione di acquavite concentrata. Nel suo trattato distingue tre tipi di distillati di vino: l’acquavite semplice, l’acquavite comune e la quintessenza, quest’ultima ottenuta da sette ridistillazioni del prodotto originario. Gli apparecchi usati dai primi distillatori sono alambicchi in vetro di piccole dimensioni, dai quali si ottengono modeste quantità di distillato. Per caldaia viene usata una specie di cucurbita, in cui è messo il vino; è sormontata da un duomo adattato al collo della cucurbita stessa, mentre con del mastice di argilla sono eseguite le chiusure. La cucurbita è posta su una fonte di calore e la condensazione viene ottenuta raffreddando il duomo con panni impregnati d’acqua fredda e continuamente rinnovati. Il condensato esce dal becco di cui è munito il duomo e si raccoglie in un apposito recipiente. Più tardi, per evitare di dover continuamente sostituire i panni bagnati, si giunge a ideare un primo rudimentale condensatore il quale non è altro che un recipiente di legno pieno d’acqua, attraverso cui passa un tubo che porta i vapori sviluppati nella caldaia. De conficienda aqua vitae In quei secoli ci sono anche altri studiosi stranieri, principalmente francesi e tedeschi, che svolgono ricerche sulla distillazione. L’introduzione e la diffusione in Francia delle conoscenze sull’arte di distillare è opera di Caterina de’ Medici (1519-1589) che, sposando Enrico di Valois divenuto poi re con il nome di Enrico II, conduce con sé alla corte di Parigi scienziati fiorentini abili produttori di acquaviti. Nei secoli seguenti l’arte di distillare progredisce e si diffonde ulteriormente, passando dallo sfruttamento del vino anche a quello di altri prodotti, come le vinacce, fino ad allora mai state prese in considerazione. Nell’Ottocento assume grande importanza la distillazione dell’anice. L’apparecchio destinato alla distillazione, l’alambicco, si va via via modificando grazie all’impiego di materiali derivati dall’industria dei metalli, e si trasforma, se così possiamo dire, in un’apparecchiatura più complessa ed efficiente in grado di consentire capacità di distillazione sempre maggiori: nasce così il primo distillatore con funzionamento continuo. Le innovazioni tecniche di quegli anni sono dovute principalmente a studiosi francesi, fra cui Edoardo Adam, Lorenzo Solimani da Nimes, Isacco Bernard, Cellier Blumenthal. Dal Settecento in poi la distillazione di fermentati ha grande diffusione, sviluppandosi industrialmente con la produzione su larga scala delle acquaviti di vino (cognac, brandy); di sottoprodotti della vinificazione come le vinacce (grappa); di malto, di cereali e altri prodotti (whisky, gin, wodka); di melassa di canna da zucchero (rum); di frutta (calvados, kirsch, slivovitz). I processi di distillazione subiscono di pari passo notevoli mutamenti, passando dalla distillazione a fuoco diretto sotto la caldaia di un semplice alambicco a quella a mezzo di vapore surriscaldato che attraversa alte colonne dalle quali discende il liquido da distillare. I prodotti che si ottengono oggi sono maggiormente perfezionati, qualitativamente e igienicamente superiori grazie anche all’introduzione negli impianti industriali dei deflemmatori e dei rettificatori a colonna. La distillazione delle essenze Per quanto riguarda l’arte di estrarre essenze dalle piante aromatiche si può affermare che la sua origine è assai antica e risale fino alla preistoria, anche se le prime documentazioni di carattere indiretto (sui prodotti ottenuti) sono state reperite soltanto circa 4000 anni fa. In Cina, 2000 anni prima di Cristo sono note le pratiche relative all’estrazione delle essenze, mediante la distillazione, da piante officinali; si ottengono prodotti che vengono usati specie dalle categorie sociali più agiate, nella vita pubblica (manifestazioni religiose) e privata. Nonostante all’epoca siano note anche le bevande alcoliche, la pratica distillatoria non si diffonde a questi prodotti; non si hanno notizie infatti riguardo la produzione di liquori. In epoche relativamente più recenti la distillazione delle piante aromatiche si ritrova presso i Persiani, gli Egizi, i Greci e i Romani e, successivamente, presso gli Arabi che ne conservano e sviluppano la pratica in un percorso che si sovrappone a quello della distillazione dei prodotti alcolici. Durante il periodo dell’Impero Romano sono largamente prodotti e commercializzati essenze e profumi provenienti spesso dalle province orientali, dalla Grecia, dal Medio Oriente, dall’Egitto. Plinio (I sec. d.C.) nei suoi scritti ricorda varie composizioni ottenute mescolando essenze di rosa, giglio, violetta, menta, iris; e riferisce che tali sostanze sono largamente usate sotto forma di profumi e unguenti dai Romani. Originariamente, l’estrazione delle essenze dalle piante aromatiche dev’essere una pratica molto semplice nella quale non viene impiegato l’alambicco. Come si può presumere dalle cronache del medico greco Nicandro (II sec. a.C.), di Plinio e di Galeno (I e II sec. d.C.), l’estrazione dei profumi dai fiori avviene per imbibizione in panni di lana posti sopra le corolle e poi spremuti. È certo però che contemporaneamente va pure sviluppandosi l’impiego dell’alambicco, grazie alle conoscenze provenienti specialmente dall’Egitto: un uso destinato a mantenersi fino ai giorni nostri. Qui sotto da sinistra: alcuni esempi di piccoli distillatori e alambicchi adatti alla distillazione casalinga. distillatore con tubo aduttore e refrigerante in un solo pezzo; (A) distillatore per solventi infiammabili con pallone, refrigerante, termometro e bottiglia di raccolta a smerigliature normalizzate; (B) distillatore a testa di riflusso, colonna ripiena di palline con termometro, refrigerante a serpentino con cono normalizzato. (C) L’evoluzione dell’alambicco La storia dell’alambicco segue con fasi alterne quella della distillazione; agli albori, si opera con apparecchiature piuttosto rudimentali, o almeno così sembrano oggi, ma scarsi sono i reperti pervenutici, specie dalle epoche egizia, greca e romana, e scarse le notizie fornite dagli antichi autori. In generale, tuttavia, gli apparecchi antichi sono costituiti da due vasi denominati o l’uno, e , o l’altro; quest’ultimo è munito di un canale che fa gocciolare il distillato. Si tratta di attrezzature di terraglia, vetro o metallo, rimaste praticamente inalterate nella loro composizione dall’epoca egiziana fino all’Alto Medioevo. Anzi, gli apparecchi medievali sono forse qualitativamente inferiori a quelli egizi. Il medico greco Dioscoride infatti parla nei suoi scritti di una testa superiore, nella quale i vapori passano attraverso un refrigerante per raffreddarsi: un particolare, questo, quasi sempre assente negli alambicchi medievali. capo cucurbita capitello cappa campana Nei metodi antichi di distillazione (definiti in tre tipi: per discesa, per salita, per lato), il riscaldamento del liquido da distillare può essere effettuato con fuoco di legna, di carbone ecc.; oppure usando il calore del sole o la calce viva bagnata; vengono pure usate ceneri calde, sabbia infuocata, limatura di ferro arroventata, nonché il calore sviluppato dalla fermentazione dello stallatico. Un altro sistema di distillazione è quello cosiddetto per mortaio: la sostanza da distillare è posta in un mortaio che viene coperto con una lastra metallica su cui sono messi dei carboni accesi; il mortaio è poi posto sul fuoco, su sabbia infuocata o su limatura di ferro arroventata, nella convinzione che le diverse fonti di calore diano al distillato qualità differenti. Gli alambicchi che si usano oggi sono essenzialmente formati dalle stesse parti che componevano quelli antichi. Tradizionalmente usati per la distillazione delle acquaviti, sono a funzionamento discontinuo e composti da una caldaia riscaldata a fuoco diretto, sormontata da un duomo (o capitello) che provoca una parziale deflemmazione dei vapori, i quali passano successivamente in un condensatore a serpentino costantemente raffreddato in un bagno d’acqua corrente. Il tubo del vapore, prima di entrare nel bagno d’acqua, traversa un recipiente di alimentazione della caldaia, detto scaldavino, il quale riscalda, appunto, il liquido contenuto prima che venga immesso nella caldaia. Questo or ora descritto è il classico alambicco per cognac. Esistono anche apparecchiature più complesse, nelle quali il recupero del calore e la deflemmazione sono resi più efficienti dalla presenza di un deflemmatore esterno e di un condensatore a fascio tubiero, con caldaia riscaldata a vapore; ma si tratta di apparecchiature che vanno fuori dagli interessi di questo libro, come pure non ci occuperemo dei distillatori continui che riguardano l’industria. Alambicco semplice a fuoco diretto: riscaldatore; 1) caldaia; 2) duomo; 3) ingresso del liquido di raffreddamento; 4) refrigerante; 5) condensatore; 6) uscita del liquido di raffreddamento; 7) uscita del liquido distillato. 8) Acqua di melissa Ingredienti: 1 l d’acquavite a bassa gradazione alcolica, 20 g di foglie fresche di melissa, 15 g di scorza di limone, 3 g di frutti di angelica, 3 g di frutti di coriandolo, 2 g di cannella, 0,5 g di noce moscata, 0,5 g di chiodi di garofano. ponete le droghe a macerare per 15 giorni nell’acquavite, rimestando ogni tanto. Quindi filtrate e conservate in una bottiglia ben chiusa. Consumatene un cucchiaino diluito nell’acqua in caso di bruciori di stomaco. Preparazione: L A DISTILLAZIONE ALCOLICA Un po’ di teoria La distillazione è un’operazione che consente contemporaneamente la separazione e la concentrazione dell’alcol contenuto in quantità ridotte nei fermentati, sfruttando alcune proprietà fisiche tipiche delle miscele di sostanze aventi temperatura di ebollizione diversa. Per esempio, in una sottoposta a riscaldamento, il vapore che si sviluppa è molto più ricco di alcol che non la miscela di partenza; questo , condensato e raccolto in un altro recipiente, dà il . Vediamo meglio come avviene il fenomeno: l’acqua, come è noto, bollendo si trasforma in vapore a 100 °C, mentre l’alcol bolle, e quindi produce vapori, a soli 78,3 °C circa; perciò, se queste due sostanze sono miscelate, come per esempio nel vino, e le vogliamo separare, possiamo riscaldarle e raccogliere i vapori che si sviluppano quando la temperatura raggiunge i 78,3 °C; questi vapori, in teoria, dovrebbero essere solo di alcol e non contenere acqua, la quale invece bollirà quando la temperatura della miscela, nel nostro esempio il vino, raggiungerà i 100 °C. Tuttavia, questo esempio è solo teorico e serve per comprendere il meccanismo di base su cui si fonda il processo distillatorio; in realtà, i meccanismi e le regole che lo governano, pur rispettando questo principio, sono estremamente più complessi e articolati. Innanzitutto bisogna dire che in una miscela di acqua e alcol, come può essere il vino tanto per rimanere nel nostro esempio, i componenti non bollono separatamente: è tutto l’insieme a bollire a una che è intermedia a quelle di ebollizione dei due componenti di cui è formata la miscela, e che è proporzionale al contenuto percentuale dei due componenti stessi; cioè, una miscela col 5% di alcol etilico e il 95% di acqua bolle a circa 93,7 °C, mentre un’altra che di alcol ne contiene il 10% bolle a 92,5 °C. Nella tabella della pagina seguente sono indicate le temperature di ebollizione di alcune miscele acqua-alcol etilico (idroalcoliche); come si noterà maggiore è il contenuto in alcol minore è la temperatura di ebollizione della miscela stessa. miscela acqua-alcol vapore distillato temperatura Nella pratica della distillazione viene sfruttata una proprietà particolare delle miscele di due o più liquidi; si tratta di un fenomeno secondo il quale il liquido più volatile (cioè quello che evapora a temperatura più bassa) si trova in concentrazione maggiore nei vapori che si sviluppano dalla miscela stessa sottoposta a riscaldamento. Possiamo quindi dire che una miscela alcol-acqua, come per esempio il vino, portata a ebollizione svilupperà vapori che avranno un contenuto in alcol, che è più volatile, superiore a quello del vino in partenza. Se abbiamo un vino con una gradazione alcolica di 10 °, cioè contenente il 10% in volume di alcol, e lo sottoponiamo a distillazione, esso bollirà a circa 93 °C, e il vapore che si sprigionerà (che una volta raffreddato e condensato rappresenterà il distillato) conterrà il 50-55% circa di alcol. Se sottoponiamo a riscaldamento a sua volta questa miscela bollirà a circa 83 °C; il vapore che se ne sprigionerà conterrà l’80-85% di alcol e solo il 20-15% di acqua. Questo esemplifica, per sommi capi, come si verifica l’arricchimento in alcol del distillato per . Altri fattori, tuttavia, intervengono a modificare più o meno sensibilmente la temperatura di distillazione; in primo luogo la presenza nella miscela da distillare di più o meno volatili. Nel caso del vino, per esempio, oltre all’acqua e all’alcol sono presenti alcol metilico, alcoli superiori (propilico, butilico ecc.), glicerina, vari acidi, zuccheri, tannini, composti coloranti, minerali, proteine, sostanze odorose (esteri, aldeidi, acetali), vitamine. Tutti questi composti, contenuti in percentuali estremamente variabili e talvolta piccolissime, influiscono sulla temperatura di ebollizione della miscela e fanno variare anche le caratteristiche del distillato entrandovi in certi casi a far parte. successive distillazioni altri composti Analogamente, in tutti i prodotti fermentati destinati alla distillazione sono contenute varie sostanze: simili o molto diverse a quelle del vino, influenzano tutte la temperatura di distillazione della miscela. Un altro fattore che influisce sulla temperatura di ebollizione di una miscela e anche di un liquido singolo e puro è la , cioè la pressione esercitata dall’aria sui corpi. Le temperature di ebollizione che vengono fornite dai manuali per una certa sostanza si riferiscono sempre alla pressione atmosferica normale cioè, convenzionalmente, a quella presente a livello del mare nelle giornate di bel tempo, corrispondente a circa 1013 millibar (equivalenti a 1 atmosfera). Se la pressione si abbassa, si abbassa pure la temperatura di ebollizione, e viceversa. I valori della pressione atmosferica dipendono dal peso dell’aria e dalla sua densità. Con l’aumentare dell’altitudine la pressione diminuisce di poco più di un millibar ogni 10 m; essa varia inoltre in relazione alla presenza di umidità nell’aria (l’aria secca è più pesante); e in relazione alla temperatura (l’aria fredda è più densa e quindi più pesante). pressione atmosferica La distillazione discontinua e la distillazione continua Le tecniche e gli apparecchi per la distillazione possono essere sostanzialmente divisi in due tipi: discontinui e continui. Nel primo caso il processo distillatorio avviene in recipienti di relativamente modeste dimensioni, adatti anche per la produzione familiare di distillati; questi vengono caricati in modo discontinuo, cioè in pratica vengono riempiti di prodotto da distillare e, finché non si è esaurito il processo, non vengono più ricaricati. La distillazione continua, adottata dall’industria, consiste nell’uso di apparecchiature nelle quali il prodotto da distillare viene aggiunto in continuazione; pure in continuazione vengono eliminati gli scarti di lavorazione e raccolti i prodotti della distillazione. I distillatori di tipo discontinuo sono fondamentalmente formati da un recipiente, dove il liquido viene riscaldato fino all’ebollizione, e da un condensatore in cui i vapori che si sviluppano vengono raffreddati ottenendo il liquido distillato. Il recipiente di ebollizione è collegato al condensatore da una condotta di varia forma che provoca un parziale raffreddamento dei vapori, al fine di favorirne la concentrazione e migliorarne la depurazione in fase di vapore. Questo trattamento si chiama . deflemmazione Gli alambicchi, apparecchi di modesta capacità destinati alla produzione di acquaviti, sono a funzionamento discontinuo. Il liquido immesso nelle loro caldaie viene distillato fino a completa separazione dell’alcol; il liquido residuo, detto borlanda, viene scaricato all’esterno; quindi si ricomincia l’operazione introducendo nella caldaia il liquido preriscaldato. Con la distillazione discontinua la concentrazione alcolica aumenta gradatamente, ma non è possibile ottenere direttamente un distillato di alta gradazione; questo può essere ottenuto o con un (cioè raccogliendo separatamente la porzione di distillato più alcolica), o effettuando una del prodotto ottenuto nella prima distillazione, arricchendolo e depurandolo. La distillazione continua è un processo usato per la produzione industriale dell’alcol. Questa consente la separazione diretta dell’alcol a elevata concentrazione, di alimentare l’impianto ininterrottamente con fermentato a bassa gradazione e, infine, di effettuare lo scarico delle borlande in modo continuo. Le apparecchiature destinate a questo tipo di distillazione sono costituite principalmente da una colonna cilindrica riscaldata alla base, contenente all’interno una serie di diaframmi (piatti), e da un condensatore formato da un fascio di tubi raffreddati ad acqua. frazionamento ridistillazione Grazie al riscaldamento del liquido, che si ottiene col passaggio attraverso i piatti della colonna, si ha il progressivo arricchimento in alcol dei vapori; utilizzando due o tre colonne in serie l’industria riesce a ottenere distillati con 90-96° alcolici. Senza entrare nel dettaglio dei meccanismi di questo genere di distillazione tipicamente industriale, si può dire che la distillazione continua si svolge attraverso una serie di stadi, ciascuno dei quali è una distillazione in cui il vapore prodotto da ciascun stadio costituisce l’alimentazione per quello successivo. La temperatura nelle colonne aumenta nella direzione del flusso cadente di condensa, cioè dall’alto verso il basso, e diminuisce nel senso opposto, cioè nella direzione ascendente del flusso di vapore. Rappresentazione schematica di una colonna di distillazione discontinua: piatti; tubi del troppo pieno; tubi di scarico del condensato; vapore; liquido. 1) 2) 3) 4) 5) L’alambicco L’apparecchio più impiegato per le distillazioni di modeste quantità di acquavite è il tradizionale alambicco, che funziona ad alimentazione discontinua. Come abbiamo già visto, l’alambicco è formato essenzialmente da una caldaia riscaldata a fuoco diretto, in cui viene posta la sostanza da distillare; la caldaia è sormontata da una specie di coperchio detto duomo o capitello, dove avviene una parziale deflemmazione dei vapori; esso è munito di un condotto il quale porta all’esterno i vapori che si sviluppano nella caldaia. Il condotto forma un condensatore a serpentino che, passando attraverso un refrigerante, fa condensare i vapori. Nell’alambicco, il prodotto immesso nella caldaia viene distillato fino alla massima separazione possibile dell’alcol; poi si scarica il residuo della lavorazione, detto borlanda, e quindi l’operazione può essere ricominciata. Nell’alambicco per cognac il tubo del vapore che esce dal capitello, prima di passare nel liquido refrigerante, attraversa un recipiente, detto ; in esso è contenuto del vino, pronto per essere immesso nella caldaia, che viene così preriscaldato. Nell’alambicco la distillazione avviene gradualmente e non è possibile ottenere distillati ad alta gradazione come nella distillazione industriale continua. Se si vuole ottenere un distillato molto alcolico, si dovrà procedere a una seconda distillazione usando la frazione del primo distillato più ricca in alcol: . scaldavino il cuore L’alcol Attraverso la distillazione di vari fermentati si ottiene come prodotto principale l’alcol etilico, miscelato in diverse concentrazioni (il cosiddetto grado alcolico) all’acqua e a numerosi altri composti che conferiscono alla bevanda ottenuta il sapore e l’odore tipici di quel distillato. Tali caratteristiche vengono in genere modificate con l’invecchiamento del distillato in fusti di legno che, come per i vini, favoriscono determinati processi chimici e cedono all’acquavite alcuni composti profumati presenti nel legno stesso. L’ o etanolo, comunemente chiamato alcol e commercialmente detto , è un liquido incolore meno denso dell’acqua (quindi pesa anche meno: 1 l di alcol puro pesa circa 0,8 kg, mentre 1 l d’acqua pesa 1 kg); allo stato puro, bolle a 78,3 °C. La sua formula chimica è: C H OH. alcol etilico spirito 2 5 Ha odore e gusto caratteristici e gradevoli. A scopi fiscali, per evitare che l’alcol destinato ad altri usi sia impiegato nella preparazione di bevande, viene addizionato di piccole quantità di prodotti coloranti e maleodoranti (denaturazione). L’alcol è miscibile con acqua e con molti altri solventi in tutte le proporzioni. Brucia all’aria con fiamma azzurra; si trova in natura allo stato libero o combinato in molte essenze di fiori e nella frutta. Oltre che attraverso la distillazione viene ottenuto, principalmente, per via sintetica dall’industria. L’alcol viene impiegato in numerosissimi settori dalle industrie chimiche, farmaceutiche, alimentari, belliche (esplosivi e aggressivi), enologiche, dei profumi e dei coloranti. Negli ultimi anni, un certo interesse ha assunto anche la possibilità di impiego dell’alcol etilico come additivo o sostitutivo dei carburanti per gli autoveicoli. Nella produzione per fermentazione si parte da prodotti agricoli che contengono complessi o amido (uva, cereali, bietole, patate, frutta ecc.) trasformandoli, per mezzo di varie e complesse reazioni chimiche favorite dall’azione di numerosi , in zuccheri semplici che poi a loro volta si trasformano in alcol attraverso la seguente reazione chimica: zuccheri enzimi Ossia: gli zuccheri in presenza di enzimi danno alcol + anidride carbonica. Gli altri prodotti della distillazione Come si è già accennato in precedenza, nella composizione dei vapori che si formano per riscaldamento del liquido fermentato, oltre all’alcol e all’acqua, entrano a far parte numerosi altri componenti che formano le cosiddette “impurezze” le quali conferiscono al distillato il suo caratteristico aroma e sapore. Fra queste impurezze distinguiamo quelle più volatili dell’alcol (cioè quelle il cui punto di ebollizione è inferiore a quello dell’etanolo, e cioè 78,3 °C), che sono: l’ , gli (prodotti di combinazione fra aldeidi e alcoli), o (presente principalmente nei fermentati di frutta e nei vini fermentati a lungo con le vinacce), l’ (un composto che si forma dall’unione di e di durante la fermentazione e per effetto del riscaldamento), l’ (residuo dei trattamenti antisettici ai mosti), il (che deriva dalla caramellizzazione degli zuccheri). aldeide acetica acetali l’alcol metilico metanolo acetato di etile acido acetico alcol etilico anidride solforosa furfurolo Fra le impurezze meno volatili dell’alcol etilico (cioè che bollono a temperature superiori a 78,3 °C) vi sono gli alcoli superiori (l’isopropilico, l’isobutilico, l’amilico, l’isoamilico ecc.) e gli acidi volatili (acetico, lattico ecc.). È importante conoscere questi composti perché, quando si esegue la distillazione con l’alambicco, la prima parte del distillato (detta testa) conterrà in grossa concentrazione prodotti indesiderati, come il temibile , che vanno eliminati; così come pure la parte finale (detta coda), contenente molta acqua, e gli alcoli superiori che hanno basso grado alcolico e che diminuiscono la resa del distillato. alcol metilico La deflemmazione Uno dei problemi maggiori da risolvere durante la distillazione è quello di raggiungere la massima concentrazione di alcol nei vapori che si sviluppano prima di condensarli, per evitare di dover ricorrere a ulteriori distillazioni se si vuole ottenere un’acquavite con una gradazione alcolica sostenuta. La tecnica di concentrazione dei vapori alcolici e di eliminazione delle impurità che li inquinano è detta deflemmazione. Il principio su cui si basa questa tecnica è il seguente: durante la distillazione si sprigiona una miscela di vapori che salgono all’interno della caldaia fino a raggiungere il capitello ancora freddo posto a copertura della stessa. A contatto con un corpo di temperatura inferiore, i vapori si condensano e riprecipitano nella caldaia. In realtà la condensazione è maggiore per i vapori acquosi rispetto ai vapori alcolici; da cui consegue che i vapori che escono dal capitello e raggiungono la serpentina la quale condensa i vapori finali avranno una gradazione alcolica maggiore dei vapori sviluppatisi per effetto del riscaldamento all’interno della caldaia. Se ciò si verificasse per tutto l’arco della distillazione sarebbe l’ideale, in quanto il distillato risulterebbe altamente alcolico; ma questo non è possibile perché, dopo un certo tempo, il coperchio della caldaia (il capitello) si scalda a causa del continuo contatto con i vapori e raggiunge temperature che non gli consentono più di condensare i vapori acquosi. Questi passano così nella serpentina insieme con i vapori alcolici, abbassando il grado del distillato. La soluzione del problema risulta teoricamente facile, in quanto è sufficiente mantenere fresco il coperchio della caldaia per garantire una distillazione con una buona gradazione alcolica. Si tratta certamente di un metodo di deflemmazione piuttosto rudimentale, realizzabile facendo scorrere sul coperchio della caldaia un velo d’acqua corrente, o apponendovi esternamente pezze di tela bagnata che vanno sostituite quando si scaldano. Con questo metodo si possono ottenere concentrazioni alcoliche pari a 50-60° alcolici. In pratica, nei distillatori di consistenti dimensioni sono state adottate svariate soluzioni, tra cui l’applicazione di un particolare apparecchio, detto , sul coperchio della caldaia; esso consente di effettuare l’operazione in modo automatico. La è un deflemmatore che si compone di un disco leggermente ricurvato superiormente, il quale viene attraversato dai vapori di distillazione. Durante il transito attraverso la lente questi vengono a contatto con una lastra ondulata la quale ha il compito di frazionarli. La superficie esterna della lente è mantenuta costantemente umida da una tela imbevuta dell’acqua che pesca da due vaschette concentriche poste in testa alla caldaia di distillazione. La è un tipo di deflemmatore in cui la funzione di raffreddamento viene svolta da una sfera situata superiormente al refrigeratore e composta da due sfere concentriche separate da un’intercapedine. La sfera più piccola è riempita d’acqua corrente; per travaso l’acqua va a inumidire una tela posta a copertura della sfera esterna. I vapori della distillazione, nel transitare per l’intercapedine che separa le due sfere, vengono raffreddati: quelli più ricchi di alcol e più volatili vanno nel serpentino e si condensano, quelli più acquosi si condensano nella sfera stessa e riprecipitano nella caldaia. deflemmatore lente Deroy sfera Egrot Rappresentazione schematica di un coperchio deflemmatore, detto anche lente Deroy, e di una sfera Egrot . (A) (B) Grappa rabarbaro e garofano 1 l di grappa, 2 radici di rabarbaro, la scorza di 1/2 limone, 3 chiodi di garofano, cannella, 3 cucchiai di zucchero. Ingredienti: . pulite bene le radici di rabarbaro e pestatele leggermente in un mortaio. Deponetele quindi in un vaso e copritele con lo zucchero. Lasciate macerare per 2 giorni con il recipiente ben chiuso. Aggiungete i chiodi di garofano, un pezzetto di cannella, la scorza di limone (solo la parte gialla) e versate la grappa. Lasciate in infusione in cantina per 3 settimane, agitando spesso il recipiente. Filtrate e fate stagionare ancora 3 mesi prima di consumare Preparazione: La rettificazione Nella distillazione con l’alambicco, l’operazione di depurazione del distillato dalle impurezze non desiderate, chiamata rettificazione dell’alcol, viene effettuata praticamente scartando la prima parte di prodotto che proviene dalla distillazione, cioè i primi vapori condensati i quali costituiscono la cosiddetta ; essi contengono le frazioni più volatili, come l’alcol metilico, che è tossico, e l’acetato di etile, che conferisce ai distillati mal frazionati un caratteristico odore d’aceto. testa Viene poi eliminata la cosiddetta ; la coda contiene poco alcol etilico e numerose impurezze, che hanno il punto di ebollizione più elevato dell’alcol e sono costituite principalmente da alcoli superiori, esteri pesanti ecc. coda La parte che si deve trattenere e utilizzare è il ; è composto principalmente, oltre che dall’acqua com’è ovvio, da alcol etilico e da tutte quelle sostanze volatili con punto d’ebollizione compreso, grosso modo, fra i 78,4 °C dell’alcol etilico e i 100 °C dell’acqua. In realtà, però, l’inquinamento prodotto sul cuore dalle code inizia già a temperature vicine ai 90 °C, ed è dovuto al fatto che alcuni composti vengono trascinati nel distillato per soluzione nei vapori alcolici caldi. Una ebollizione troppo intensa facilita l’inquinamento del cuore da parte delle code. Nella distillazione artigianale la rettificazione, cioè la separazione di queste tre parti del distillato, deve essere eseguita con molta attenzione. Per separare con certezza la testa, che contiene il pericoloso alcol metilico, è meglio sacrificare anche una piccola parte di cuore; mentre per quanto riguarda la coda bisogna fare attenzione affinché l’ebollizione avvenga non troppo tumultuosamente, perché ciò permetterebbe ad alcuni composti di venire trascinati nel distillato, come per esempio l’acido acetico il quale, benché abbia un punto di ebollizione di 120 °C (ben lontano quindi da quello delle sostanze che compongono il cuore), può essere presente essendo particolarmente solubile nei vapori alcolici caldi. cuore Si dovrà quindi sempre usare un per controllare la temperatura dei vapori che si svolgono durante la distillazione. Fino a 78,3 °C, si formerà la testa del distillato che si dovrà eliminare, come detto più sopra; ma è opportuno andare un po’ oltre, per evitare di avere alcol metilico nella parte che ci interessa, e cioè nel cuore che si ottiene fra i 78,4 e i 100 °C circa. Questa è la parte nobile del distillato, è ricca di alcol etilico e contiene anche altre sostanze volatili di pregio, che conferiscono aromi tipici ai vari distillati. Oltre i 100 °C, viene prodotta la coda che va pure eliminata. termometro Nella distillazione industriale, a funzionamento continuo, non è necessario ricorrere all’eliminazione di teste e code, come nella distillazione discontinua con alambicco. L’operazione distillatoria avviene in colonne a piatti, alte fino a 20 m e disposte in serie, nelle quali la distillazione avviene con un procedimento continuo ed automatico che seleziona ed esclude le impurezze di testa e coda in successivi passaggi all’interno delle colonne stesse. Bilancia per erbe. L’invecchiamento Una grande importanza nella preparazione delle acquaviti riveste la maturazione o invecchiamento, che consiste nella prolungata conservazione del distillato in fusti di legno di . La lenta solubilizzazione dei componenti del legno a contatto dell’acquavite conferisce alla bevanda dei requisiti di colore, sapore e odore caratteristici per ogni tipo di prodotto; inoltre la parete porosa del recipiente di legno dà luogo a fenomeni di evaporazione e di leggera ossidazione atmosferica, con la formazione di composti profumati e aromatici. rovere C OME COSTRUIRE UN ALAMBICCO I materiali e gli elementi del distillatore La scelta dell’apparecchiatura va condotta innanzitutto in base alla spesa che si desidera affrontare, la quale deve essere proporzionale all’uso che si vuol fare del distillatore, nonché alla quantità di prodotto da distillare di cui si dispone, sia esso vino, vinaccia o altri prodotti alcolici, ottenuti dalla fermentazione dei più svariati prodotti agricoli. I materiali da preferire per l’attrezzatura da distillazione sono senz’altro l’ e il , poiché non sono attaccabili (o lo sono molto poco) dagli acidi e dalle altre sostanze contenute nei prodotti della distillazione o in quelli che si possono formare durante la distillazione. Quindi, caldaia e capitello debbono essere costituiti da uno di questi due metalli, mentre il serpentino che esce dal capitello e passa poi attraverso il refrigeratore deve senz’altro essere di rame, perché il rame favorisce un miglior scambio di calore. acciaio inossidabile rame Da escludere nella preparazione dell’alambicco i materiali come ferro e alluminio, che presentano notevoli inconvenienti sia per quanto riguarda la durata, sia per difficoltà di pulizia. La deve avere una forma che ne faciliti la pulizia; ciò significa che dev’essere il più rotondeggiante possibile, e priva di angoli stretti. Normalmente la caldaia è cilindrica, o meglio panciuta; la sua base è bombata, così da distribuire meglio il calore all’interno. La caldaia deve inoltre avere in alto un foro in cui va inserito un apposito , strumento indispensabile per il controllo del regolare procedimento della distillazione. Per calcolare le dimensioni della caldaia bisogna ricordare che, grosso modo, deve esserci un rapporto di 5:3 fra la sua altezza e la sua larghezza; cioè, se la caldaia è alta 50 cm deve essere larga 30. Un recipiente del genere riesce a contenere circa 35 l di prodotto da distillare. caldaia termometro Nel caso si vogliano distillare vinacce, a queste bisogna aggiungere un quantitativo d’acqua pari a circa il 50-60% del loro peso: a 10 kg di vinacce bisogna dunque aggiungere 5-6 l (kg) di acqua. La caldaia è bene che sia munita di una per separare le vinacce dall’acqua. Una caldaia come quella sopra descritta (della capacità di 35 l circa) potrà distillare circa 20 kg di vinacce per volta. Il del prodotto da distillare nella caldaia può avvenire sia a fuoco diretto che a bagnomaria, cioè attraverso il riscaldamento dell’acqua contenuta all’interno di una intercapedine che circonda la caldaia. Soluzione, quest’ultima, preferibile nel caso si distillino vinacce che invece di essere separate con una griglia dall’acqua vi siano immerse: a contatto delle pareti potrebbero “cuocersi” dando cattivo sapore al distillato. griglia riscaldamento Un tempo, la più usata per distillare artigianalmente era la legna: il fuoco veniva mantenuto solo da legna dura, capace di garantire durante la distillazione una temperatura costante, senza fiammate improvvise. Oggigiorno si impiegano i fornelli a gas nelle versioni più disparate; oltre alla facilità d’accensione, essi non pongono problemi d’approvvigionamento e sviluppano una temperatura costante. fonte di calore Il o , che funge da coperchio della caldaia, deve essere costruito in acciaio inossidabile o rame. La sua forma può essere varia a seconda della possibilità di disporre o meno di un , la cui funzione, ricordiamo, è quella di provocare una condensazione dei prodotti meno alcolici che precipitano nella caldaia (deflemmazione). Si può quindi realizzare un capitello a superficie piana se si desidera farvi scorrere sopra un velo d’acqua; se invece si desidera che il raffreddamento dei vapori si attui ad aria, la forma del capitello deve essere più ampia possibile, per favorire il maggior contatto con l’aria. capitello duomo deflemmatore Se si può disporre di un deflemmatore, come la o la , si userà quello, ricordando che la prima va applicata sopra il refrigeratore, mentre la seconda si usa come un coperchio a chiusura della caldaia. È bene inoltre che il coperchio della caldaia sia munito di , per evitare che un eccessivo aumento della pressione interna possa far scoppiare l’apparecchiatura. La chiusura fra capitello e caldaia può essere eseguita con argilla o stucchi resistenti al calore; ma se è presente una valvola di sicurezza la chiusura, può essere eseguita in modo più sicuro ed efficace meccanicamente, con viti e ganci realizzati appositamente dal costruttore. Dal capitello si diparte un tubo in rame, che prende anche il nome di ; il tubo congiunge il capitello con il serpentino del refrigeratore. sfera Ergot lente Deroy valvola di sicurezza collo di cigno Capitello e collo di cigno possono formare un tutt’uno, nel caso in cui non esista un coperchio specificamente predisposto, come in certi alambicchi, in cui il duomo altro non è che un grosso allargamento a forma di pera o di imbuto rovesciato che chiude la caldaia. Il collo di cigno congiunge dunque la caldaia con il o , composto dal serpentino di rame che si immerge nell’acqua refrigerante contenuta in un recipiente. Questo recipiente può anche essere realizzato con materiali diversi da rame o acciaio, in quanto non è a contatto né con il liquido da distillare, né con i vapori del distillato, e perciò non corre alcun rischio di corrosione; è comunque da preferire un contenitore in metallo perché disperde meglio il calore. Le dimensioni del recipiente refrigeratore e la lunghezza del serpentino di rame dipendono dal diametro del serpentino stesso, dalla presenza di alettature (che favoriscono lo scambio di calore), dalla capacità della caldaia e dalla temperatura dell’acqua di raffreddamento. In genere, i costruttori preparano, in base ai citati parametri, un refrigeratore adeguato alle esigenze di ogni utente. All’uscita dal refrigeratore, il condensato può essere raccolto direttamente in un recipiente, oppure transitare prima in quell’utile strumento che è la , la quale serve per controllare costantemente il grado alcolico del distillato. Essa ha una capacità di circa 300 cm cubici; viene riempita dal basso tramite un tubo proveniente dal refrigeratore e si svuota dall’alto, rimanendo costantemente piena durante tutta la distillazione. La provetta di saggio trova pratica applicazione solo in alambicchi di una certa dimensione. Se si distillano vini, vinelli o vinacce è opportuno che questi prodotti siano stati ottenuti senza trattamenti con anidride solforosa (SO ), poiché questa sostanza, che normalmente viene usata nelle pratiche enologiche, può formare durante la distillazione acido solforoso, il quale corrode il rame. L’installazione di uno in rame, che viene attraversato da un tubo recante i vapori della caldaia al refrigeratore, consente un notevole risparmio di calore, in quanto riscalda il vino da distillare prima che questo venga introdotto nella caldaia. refrigeratore condensatore provetta di saggio 2 scaldavino Caldaia di un alambicco per cognac a collo di cigno. Rappresentazione schematica dei possibili metodi di riscaldamento della caldaia di un alambicco artigianale: a fuoco diretto e a bagnomaria . (A) (B) La manutenzione È assai importante mantenere una perfetta dell’alambicco per garantire la sua funzionalità. Infatti, il processo di distillazione è causa di incrostazioni che, aderendo tenacemente alle pareti della caldaia e all’eventuale griglia di separazione per le vinacce, offrono a muffe e microbi un substrato ideale sul quale proliferare, provocando alterazioni della qualità del distillato. Si pone rimedio a questo inconveniente con un’accurata pulizia delle parti interne della caldaia, adoperando e frizionando con . Bisogna evitare per questa operazione sia l’uso di acidi forti, che possono combinarsi col rame formando sali; sia l’impiego di spazzole d’acciaio che intaccano il metallo più debole creando condizioni atte all’insediamento di muffe e ossidi. pulizia soluzioni alcaline apposite spazzole Lo stesso refrigeratore si presta come ricettacolo di incrostazioni. Del resto è risaputo che l’acqua non distillata (come quella usata nel refrigeratore per assicurare il raffreddamento) contiene notevoli quantità di sali; col calore, essi vanno ad aderire alle pareti del serpentino sotto forma di . Con l’andare del tempo, tali incrostazioni limitano il passaggio del distillato e impediscono il passaggio termico tra l’interno del serpentino e l’esterno. La pulizia va effettuata con facilmente reperibili in commercio. carbonato di calcio soluzioni di disincrostanti Come distillare correttamente con l’alambicco artigianale Vediamo ora brevemente le norme generali da seguire per effettuare una , magari con un alambicco di nostra costruzione. corretta distillazione artigianale Innanzitutto bisogna controllare che l’apparecchiatura sia priva di incrostazioni, muffe o residui di precedenti lavorazioni. Nel caso non lo sia, bisogna procedere a un’accurata pulizia, nel modo poco sopra indicato, per evitare di rovinare il sapore e la qualità del distillato. Una volta verificata la pulizia dell’alambicco, si collega il refrigeratore alla tubazione dell’acqua; riempito il refrigeratore, si lascia l’acqua scorrere. Quindi si prepara la caldaia introducendovi il liquido da distillare e le vinacce; queste ultime non vanno compresse ma sorrette dall’apposita griglia, ed è importante che ci sia uno spazio di circa 10 cm tra le vinacce e il coperchio. Una volta caricata la caldaia, si chiude il capitello. Si effettuano quindi i collegamenti tra questo e il refrigeratore e fra il deflemmatore, se è presente, e l’acqua refrigerante. Se è previsto anche uno scaldavino, bisogna ricordarsi di riempirlo di vino che sarà poi pronto per la successiva distillazione. Quindi si accende la fonte di calore che, come già detto, è più opportuno provenga da un fornello a gas, che dà calore costante. Quando dal serpentino comincerà a uscire del distillato, si può aprire la tubazione che dal refrigeratore porta l’acqua al deflemmatore (naturalmente se il nostro alambicco ne è provvisto), badando a non far traboccare l’acqua dalle pareti della caldaia. A questo punto è importante tenere sotto controllo l’andamento della distillazione con gli apparecchi di cui si dispone: il termometro e la provetta di saggio. Con il termometro, come abbiamo già illustrato, bisogna verificare la temperatura dei vapori che si formano all’interno della caldaia: ricordiamo che grosso modo fino a 78,3 °C si producono le teste, fra i 78,4 e i 100 °C si produce il cuore, oltre i 100 °C le code. Ricordiamo ancora che alcuni prodotti indesiderati presenti in teste e code possono anche essere contenuti nel cuore, se la distillazione non è condotta correttamente. Una ebollizione troppo tumultuosa può infatti favorire la presenza nel cuore di sostanze quali l’acido acetico, il quale è normalmente contenuto nelle code e viene trascinato dai vapori alcolici caldi. Inoltre è difficile seguire alla perfezione, con il solo termometro, sia le temperature sia l’andamento della distillazione; per cui è opportuno eliminare, come già raccomandato, anche una parte di cuore (quella che si forma in prossimità dei 78,4 °C e dei 100 °C) per non correre il rischio di rovinare la qualità del cuore stesso, che è e deve restare la parte migliore del distillato. Teste e code, anche di distillazioni successive, si possono riunire e, diluite con metà acqua, ridistillare con la stessa tecnica descritta finora: il prodotto che se ne ricaverà non sarà certo di qualità paragonabile a quello del primo distillato, ma potrà essere usato ugualmente. Se all’alambicco è applicata una provetta di saggio, il controllo dell’andamento della distillazione è più agevole, giacché si può conoscere immediatamente il contenuto alcolico del nostro distillato. Una volta caricata la caldaia, quando la gradazione alcolica, innalzandosi, raggiunge i 50 °C, si deve separare la parte ottenuta fino a quel momento (la testa) e poi abbassare un po’ l’intensità della fiamma sotto la caldaia: si favorisce con ciò lo sviluppo di vapori alcolici; il grado alcolico, misurabile nella provetta di saggio, tenderà a salire e successivamente a scendere, aiutato in questo anche dall’azione dell’operatore il quale dovrà decidere, in base al prodotto da distillare, fino a che grado alcolico arrivare, operando eventualmente anche sul deflemmatore, sempre che sia presente. Quando il distillato, discendendo, arriva ai 50° alcolici, si separa la parte fino a quel punto ottenuta (il cuore) e la distillazione prosegue fino a che l’alcolometro non segna 10-15°; al che si separa un’ultima parte del distillato, la coda. Spento il fornello, si chiude il rubinetto dell’acqua e si attende che la caldaia si sia un po’ raffreddata; quindi la si svuota della borlanda e si prosegue con una nuova distillazione. In caso contrario, si pulisce accuratamente tutta l’apparecchiatura. . Grappa al miele 1 l di grappa, 50 g di miele, 2 g di corteccia di cannella, 3 chiodi di garofano, 1 scorza di limone. lasciate macerare per 10 giorni solo gli aromi con un quarto di grappa in un vaso ermetico, agitando di tanto in tanto. Quindi filtrate, scaldate a bagnomaria il miele facendolo sciogliere nella grappa rimanente e amalgamate il tutto. Imbottigliate tappando con sughero e ceralacca. Aspettate almeno 3 mesi prima di consumare Ingredienti: Preparazione: Melissa. Mortaio per erbe. Quanta grappa si distilla La resa in acquavite dei vari prodotti da distillare varia in funzione di numerosi fattori, quali il grado alcolico del prodotto da distillare, la sua qualità e stato (nel caso delle vinacce, per esempio, se sono sane e sufficientemente umide), l’efficienza dell’alambicco, l’abilità dell’operatore ecc. Grosso modo, da 10 l di vino con una gradazione alcolica di 10-11° si possono ricavare circa 2 l di distillato, di cui il 70% è rappresentato dal cuore e il resto dalla testa e dalla coda. Da 10 kg di vinacce si può ottenere circa 1 l di distillato, di cui 25-30 cl sono costituiti dalla testa e dalla coda. Se si ottiene del distillato con eccessiva gradazione alcolica, questa può essere ricondotta al livello desiderato, aggiungendo al prodotto acqua distillata. L A DISTILLAZIONE DELLE ERBE Le leggi fisiche e chimiche che regolano la distillazione delle piante e delle erbe aromatiche, di quelle officinali o di parti di esse sono le stesse valide per la distillazione dei liquidi alcolici. Anziché fra acqua e alcol, la separazione avviene fra acqua e oli essenziali (o essenze), contenuti nei vegetali. C’è da tenere presente che non tutti i prodotti aromatici sono adatti alla distillazione: vanno scelti quelli in grado di non perdere le loro caratteristiche proprietà a opera dell’acqua o del calore, i due elementi fondamentali della distillazione. Cosa si estrae Sono molte le piante che contengono, in diversa quantità, . Si tratta di liquidi mobili o vischiosi, più o meno volatili, costituiti da mescolanze di composti terpenici, molto variabili da una specie all’altra. A essi si deve il profumo dei fiori e di altre parti della pianta. Gli oli essenziali sono sensibili all’azione dell’ossigeno e della luce, e devono quindi essere conservati lontano dall’aria e in recipienti di vetro scuro, tenuti al buio e in luogo fresco, possibilmente in frigorifero nel comparto meno freddo. Devono essere inoltre usati entro 15-20 giorni dalla loro produzione. Gli oli essenziali sono prodotti dalle piante e raccolti all’interno di particolari organelli contenuti nelle cellule vegetali, detti vacuoli. La liberazione del profumo avviene in genere con l’essiccamento o lo spezzettamento o lo schiacciamento, operazioni che favoriscono la rottura delle pareti della cellula e dei vacuoli, con la conseguente fuoriuscita delle sostanze in essi contenute. Oli essenziali si possono trovare nelle radici (cren), nei rizomi (calamo aromatico, giaggiolo, zenzero), nelle cortecce (cannella), nelle foglie e nei fiori (alloro, basilico, citronella, menta, melissa, origano, rosmarino ecc.). oli essenziali La distillazione col vapore Questa tecnica rientra fra i metodi comuni per la estrazione di oli essenziali; è molto usata a livello industriale, ma è facilmente realizzabile anche in casa con apparecchiature poste in commercio, o costruendo un piccolo alambicco che verrà dotato di parti in vetro acquistate in negozio. Si possono distinguere due metodi di realizzazione: la distillazione vera e propria a fuoco diretto, e l’estrazione in corrente di vapore. Il primo sistema è una distillazione che si esegue con un alambicco in cui viene messo il materiale vegetale assieme all’acqua; questo miscuglio viene riscaldato fino a ebollizione. Il vapore che si sviluppa, e che trascina con sé gli oli essenziali, viene convogliato fino alla serpentina del refrigeratore che attraversa un recipiente d’acqua fredda per favorire la condensazione dei vapori. Il risultato è un miscuglio di acqua e oli essenziali, che poi verranno separati, per decantazione o centrifugazione. Il metodo della corrente di vapore consiste nel produrre vapore d’acqua e nel farlo passare attraverso la massa vegetale. Il vapore, arricchitosi di olio essenziale, viene poi condensato per raffreddamento; infine si separa la parte oleosa da quella acquosa, anche in questo caso per decantazione o centrifugazione. Negli impianti industriali la distillazione in corrente di vapore può essere eseguita anche a pressione ridotta, il che consente di operare a una temperatura più bassa, nel caso che gli oli da estrarre siano particolarmente sensibili al calore. I piccoli distillatori Vi sono alcune ditte specializzate che producono e commercializzano piccoli distillatori adatti all’estrazione di oli essenziali. È anche possibile realizzare in proprio piccoli distillatori, utilizzando attrezzature da laboratorio, reperibili nei negozi specializzati; tali attrezzature permettono di effettuare microdistillazioni di varie erbe ottenendo oli e idrolati, che possono essere utilizzati in casa per la salute, per la bellezza, per uso alimentare, per la preparazione di liquori e profumi. Vediamo di seguito le parti di cui si compone uno di questi distillatori. • : la sorgente di calore è fornita da gas illuminante, da metano o da altri idrocarburi, apprezzati perché hanno una facile accensione e sviluppano un grande potere calorifico. Il mezzo migliore per sfruttare questi combustibili è il , una specie di fornellino composto da un piede metallico, in cui è immesso un tubo adduttore del gas che si conclude con un beccuccio per l’uscita del gas stesso. In alternativa al Bunsen, si può utilizzare un semplice fornellino ad alcol, composto da un serbatoio per il combustibile, nel quale pesca uno stoppino la cui lunghezza viene regolata da una guida. Fonte di calore becco Bunsen • : affinché la fiamma non batta direttamente sul pallone di distillazione, la si rompe interponendo una reticella d’amianto. In questo modo la fiamma scalderà il materiale in modo graduale. La reticella è sostenuta da un semplice treppiede in ferro. Treppiede e reticella d’amianto • : sono due recipienti in vetro speciale a forma sferica, che a una estremità proseguono con un collo. Nell’uno o nell’altra va introdotto il materiale da distillare, separatamente oppure unitamente all’acqua di distillazione. La base del pallone o della storta poggiano sopra la reticella d’amianto sostenuta dal treppiede. Pallone o storta di distillazione • : come è noto spetta al refrigeratore condensare i vapori di distillazione, mediante acqua corrente. Questo si compone di un tubo di vetro, diritto o a bolle, nel quale circola acqua fredda. All’interno del tubo, separati da una camera di vetro, passano i vapori di distillazione i quali, a contatto con le pareti fredde, condensano e precipitano in forma liquida. Lateralmente, il refrigeratore porta alle estremità due bocchette: quella più in basso serve per l’entrata dell’acqua, quella più in alto per l’uscita. Quindi il raffreddamento avviene contro corrente, perché il senso della circolazione dell’acqua refrigerante è opposto a quello del vapore. In tal modo l’acqua più fredda incontra il vapore più freddo e la condensazione avviene nelle migliori condizioni. Refrigeratore • : è un semplice bicchiere di vetro che si pone sotto la parte finale del refrigeratore, per raccogliere le essenze distillate. Bicchiere di raccolta del distillato • : le varie parti che compongono il distillatore devono essere collegate tra loro. Il pallone o la storta di distillazione sono unite al refrigeratore per mezzo di tubetti di vetro saldati da giunture in gomma, mentre l’acqua ed il gas sono trasportati da tubi in gomma. Il refrigeratore è sostenuto da pinze in metallo o legno che sono fissate sopra un’asta metallica. Collegamenti e sostegni • : secondo il tipo di distillazione che si pratica possono essere necessari strumenti come: termometro, tappi in gomma, palline di vetro o sostanze antischiuma; queste ultime servono a impedire la formazione di bolle di anidride carbonica all’interno del pallone di distillazione. Attrezzatura varia Gli alambicchi prodotti da alcune ditte specializzate sono in genere costruiti in rame, e nella loro composizione rispettano fondamentalmente una struttura tipica: sono cioè formati da una caldaia e da un coperchio della stessa, che è collegato da un tubo di raccordo al refrigeratore; nel refrigeratore vengono condensati i vapori prodotti nella caldaia che sono raccolti, poi, in un altro recipiente. La fonte di calore può essere una spiritiera (cioè un fornellino ad alcol), o una resistenza elettrica. Il refrigeratore è più o meno complesso. In certi casi è previsto un cestello di separazione fra le erbe da distillare e l’acqua in ebollizione. Da tutti questi attrezzi si ottengono, in misura variabile e dipendente dall’efficienza dell’alambicco stesso e dalle erbe distillate, degli idrolati cioè delle miscele di acqua e oli essenziali; nel caso di alcune erbe, gli idrolati possono essere successivamente separati in olio essenziale da una parte, e acqua aromatica dall’altra. Modello di distillatore portatile della ditta Cangini di Cesena. Da sinistra: piccolo distillatore per l’estrazione di essenze ; il distillatore per erbe “Alambiccus Alambiccus” della ditta Brevetti Gaggia di Robecco sul Naviglio (MI). termometro; coperchio; pomoli del coperchio; raccordo caldaietta-serpentina; contenitore per solidi da distillare; (A) (B) 1) 2) 3-4-5) 6) 7) pulsante per la messa in funzione del distillatore; tappo del serbatoio dell’acqua; finestrella per il controllo del livello dell’acqua. 8) 9) 10) Come distillare le erbe Innanzitutto il distillatore deve essere ben pulito e non contenere residui di distillazioni precedenti: gli oli essenziali, infatti, per loro natura tendono a rimanere in parte attaccati alle pareti dell’apparecchiatura, così come le eventuali schiume che le erbe formano durante l’ebollizione. Il vegetale da distillare viene tagliato in piccoli pezzi, se fresco, oppure triturato possibilmente in un mortaio, se secco. Il prodotto secco va tenuto a bagnomaria in acqua fredda a macerare per 1 ora prima di distillarlo. Una volta introdotto il prodotto nella caldaia (o nel cestello separatore, se esiste), si aggiunge un po’ d’acqua. È importante non riempire eccessivamente la caldaia, per evitare che durante l’ebollizione si formino schiume che fuoriescano al posto dei vapori, intasando l’apparecchiatura (nel qual caso si deve sospendere la distillazione, vuotare l’apparecchio e ripetere la distillazione con altro materiale). Si deve misurare comunque il quantitativo di acqua introdotto nella caldaia, e vedremo fra un po’ perché. Dopo aver preparato la caldaia, la si chiude accuratamente, la si mette in comunicazione con il refrigeratore, e la si pone sulla fonte di calore che viene accesa (qualora il fornello fosse ad alcol, assicurarsi che sia pieno). Se si ha un refrigeratore a corrente d’acqua, si apre il rubinetto facendo attenzione che il flusso sia contrario a quello dei vapori allorché escono dalla caldaia. Con l’ebollizione, le essenze evaporano assieme all’acqua, passano attraverso il refrigeratore dove si condensano, e vengono raccolte in un apposito recipiente possibilmente graduato, cioè con le indicazioni della quantità di liquido che esce. Tale quantità deve essere inferiore a quella del liquido che è stato introdotto nella caldaia: e ciò per evitare di bruciare l’apparecchio. La quantità d’acqua da introdurre in caldaia è ovviamente in relazione, oltre che al volume della caldaia stessa, alla quantità di vegetale da distillare, al suo stato e alla sua natura (cioè se è secco o fresco; e se si tratta di frutti, fiori, radici ecc.). Con l’esperienza si imparerà per ogni tipo di vegetale a dosare l’acqua. Le quantità di vegetali da distillare negli apparecchi descritti (che in genere hanno capacità, da 1 a 3 l circa) saranno comunque sempre sull’ordine di qualche decina o centinaia di grammi; poco più, se si tratta di semi e di frutti: essendo il loro peso specifico maggiore di quello delle foglie o dei fiori, occupano meno spazio. Ai vegetali si aggiungeranno 300-400 cc d’acqua, o di più se le erbe sono secche e se il quantitativo è superiore alle dosi indicate, purché non si riempia troppo la caldaia. La distillazione proseguirà finché dal refrigeratore non sarà uscita una quantità di distillato pari al massimo a circa l’80% del liquido immesso in caldaia. La parte migliore di idrolato che si ottiene è la prima, e corrisponde all’incirca alla quantità in volume del peso del vegetale da distillare immesso nella caldaia. Per esempio, se mettiamo 100 g di foglie secche i primi 100 cc saranno i più ricchi di olio; nel caso di prodotto fresco, che è molto ricco d’acqua, la quantità di idrolato migliore sarà inferiore; bisogna però tenere presente che i vegetali freschi contengono quantitativi di olio superiori e di migliore qualità rispetto ai vegetali secchi. Durante la distillazione, con un termometro va tenuta controllata la temperatura in caldaia, che non dovrebbe superare i 90 °C. Una volta raggiunta la quantità di distillato desiderata, si spegne la fonte di calore, si chiude il rubinetto dell’acqua per il refrigeratore, e si attende che l’attrezzatura si sia raffreddata; quindi si tolgono i residui, e si pulisce il tutto accuratamente con spazzole, acqua ed eventuali detergenti anche energici, curando poi di risciacquare bene. Infine, si asciuga il tutto. L’apparecchio è ora pronto per una nuova distillazione. Per ottenere una concentrazione maggiore di olio nell’idrolato si può eseguire una ridistillazione aggiungendo nella caldaia, all’idrolato ottenuto, dell’altro vegetale. Consigli utili Ricordiamo che gli idrolati per via interna si assumono a dosi di 2-3 bicchierini al giorno. Per il loro uso esterno (per fare impacchi, per esempio, da applicare su zone congestionate della pelle), vanno imbevute delle bende che si applicano sulla parte da trattare. L’olio essenziale, invece, va assunto nella misura di 2-3 gocce versate su una zolletta di zucchero. Si raccomanda, per gli usi in cucina degli idrolati le cui essenze fossero adatte all’impiego come condimenti, di aggiungerli in dose di qualche cucchiaio, senza scaldare poi la pietanza, onde evitare che l’olio essenziale evapori. Per gli usi cosmetici, si faranno degli impacchi locali con compresse imbevute nell’idrolato. Separazione dell’olio essenziale dall’idrolato su carta da filtro:1) imbuto; 2) carta da filtro; 3) distillato; 4) olio; 5) idrolato. Quali erbe distillare I prodotti vegetali da distillare debbono avere un’origine sicura ed essere stati raccolti nel loro tempo balsamico, cioè nel periodo in cui hanno la maggiore concentrazione del principio attivo che interessa. Conoscere il permette di avere prodotti di migliore qualità e di trarre dalle erbe il massimo rendimento possibile. Se il vegetale è essiccato, è indispensabile che l’essiccazione sia stata eseguita correttamente, cioè all’ombra; se l’essicazione è stata effettuata con riscaldamento artificiale, la temperatura non deve aver superato i 30-35 °C. tempo balsamico Le piante da distillare inoltre, se secche, non devono essere vecchie perché col tempo perdono, per evaporazione spontanea, gran parte del loro contenuto in essenze. È comunque sempre meglio usare vegetali freschi, magari raccolti in giornata, per essere certi della genuinità delle loro essenze. La resa in olio essenziale è molto variabile da specie a specie. Da 1 kg di rosmarino, maggiorana o menta si possono ottenere circa 2 g di essenza, mentre da 1 kg di lavanda fino a 10 g; 1 kg di fiori di rosa o di foglie di basilico dà 1 g di essenza; 1 kg di semi secchi di finocchio 30-40 g di olio, mentre dalla stessa quantità di bacche secche di ginepro (o di foglie secche di lauro, di eucalipto, di salvia; o da fiori secchi di lavanda) se ne possono ricavare fino a 10-20 g. Sempre 1 kg di infiorescenze fresche di rosmarino (o di timo) può dare 5-10 g di essenza (2,5 g, nel caso di foglie di melissa). Le sommità fiorite della camomilla danno, per 1 kg di vegetale, da 1 a 3 g di essenza. Come si vede solo da alcune piante (come finocchio, lavanda, rosmarino, salvia, timo) è possibile ottenere un estratto in grado di dare quantitativi soddisfacenti di olio essenziale. Nel caso in cui la resa in olio sia molto piccola, si ottengono delle miscele di acqua e olio, profumate e di sapore gradevole, dette o . acque aromatiche idrolati Un metodo semplice per separare l’olio dall’acqua è quello di filtrare la miscela che viene prodotta nella distillazione (l’idrolato) con carta da filtro. Su questa rimarranno poche gocce di olio, recuperabili con un contagocce, mentre la parte acquosa, che passa attraverso la carta e che contiene ancora piccole quantità d’olio, formerà un idrolato utilizzabile a sua volta. Per eseguire una corretta operazione si deve bagnare la carta prima di filtrare l’idrolato. Vediamo ora le caratteristiche e le parti usate di alcune piante da distillare. • Erba bienne o trienne, a fusto alto 1-2 m con grandi foglie munite di una vistosa guaina. I fiori, in grandi ombrelle composte, sono giallo-verdastri; i frutti sono oblunghi. Le radici, i frutti e le foglie contengono l’olio essenziale, usato come stimolante, stomachico e carminativo. Angelica . Angelica Angelica. • Erba annuale con foglie a lobi dentati nella parte media. I frutti hanno dimensioni ridotte e sono ovoidi-piriformi. Nei frutti è contenuto l’olio, il cui costituente principale è l’anetolo. L’anice verde ha proprietà carminative e digestive. La sua essenza è usata come aromatizzante e nella preparazione di liquori, caramelle, profumi. Anice verde • Piccola erba annuale molto diffusa negli orti. Oltre a costituire un ottimo condimento in cucina, le foglie contengono un olio essenziale che ha proprietà antispasmodiche, stomachiche e carminative. Basilico Basilico. • Erba perenne molto ramificata con capolini che contengono l’essenza; ha proprietà antispasmodiche, stomachiche e antinfiammatorie. Camomilla • Grande albero sempreverde. L’essenza è contenuta principalmente nelle foglie falciformi dei rami adulti; ha proprietà balsamiche, prosciuganti, antisettiche, anticatarrali, espettoranti, diuretiche e antinfiammatorie. Eucalipto Eucalipto. • Erba perenne che può raggiungere anche i 2 m d’altezza e che cresce spontanea nell’area del Mediterraneo. I frutti contengono un olio essenziale ricco di anetolo. Il finocchio, che è utilizzato fin dall’antichità, ha proprietà stomachiche, carminative, diuretiche e galattogoghe. Finocchio • Pianta erbacea perenne che può raggiungere e superare 1 m d’altezza. Ha fiori gialli raccolti nei fascetti ascellari delle foglie superiori, i quali formano una pannocchia molto vistosa. L’olio essenziale è contenuto nella radice, che si raccoglie dopo il secondo anno di vita; ha azione amaro-tonica, stomachica, stimolante della secrezione salivare e gastrica. Genziana Genziana maggiore. • Arbusto o piccolo albero, alto da 1 a 6 m, diffuso soprattutto nelle zone collinari e montane. L’olio è contenuto nelle bacche, note fin dall’antichità per le loro proprietà stomachiche e diuretiche; sono usate anche nelle infezioni polmonari per le loro proprietà balsamiche; sono inoltre antifermentative e depurative. Ginepro Ginepro. • Piccolo albero sempreverde spesso coltivato come pianta ornamentale nell’area mediterranea. Alle foglie, in cui è contenuto l’olio, si riconoscono proprietà digestive, stomachiche, espettoranti, antisettiche. Lauro • Cespuglio odoroso, con bei fiori bluastri, comune allo stato spontaneo nell’area mediterranea; anche coltivato per ormamento e per l’essenza. Dalle sommità fiorite, per distillazione, si estrae l’olio essenziale; è molto usato in profumeria, ma ha anche proprietà calmanti e antispasmodiche, oltre che coleretiche, antimicrobiche, diuretiche, spasmolitiche, carminative e stomachiche. Lavanda Lavanda. • Pianta perenne alta 20-25 cm dall’odore aromatico, penetrante e gradevole. Dalle sommità fiorite si estrae l’essenza che, oltre a essere come la pianta fresca o essiccata un buon condimento, ha proprietà stomachiche, spasmolitiche, sedative, antimicrobiche ed espettoranti. Maggiorana Maggiorana. • Pianta erbacea perenne, alta 30-80 cm, con penetrante odore di limone (da cui il nome popolare di erba limoncina) e un sapore leggermente amaro. Dalle foglie si estrae l’essenza che ha proprietà stomachiche, antispasmodiche e carminative. Melissa Melissa. • Erba perenne molto diffusa in tutta l’Europa, dal forte e tipico odore e sapore. La menta, dalle cui foglie si estrae l’olio essenziale, è usata per le sue proprietà stimolanti, toniche, antispasmodiche, analgesiche, stomachiche, carminative. Menta Menta. • Pianta erbacea perenne molto comune in tutta l’Europa. Le sommità fiorite contengono l’olio essenziale. A questa pianta si riconoscono proprietà vulnerarie, cicatrizzanti, stomachiche, emmenagoghe, antiemorragiche, toniche e antispasmodiche, oltre che diuretiche. Millefoglie • Esistono diverse specie di rosa, quali la gallica, la canina, la centifolia e la damascena. La rosa gallica (detta anche rosa comune o rosa rossa) è un arbusto molto diffuso, alto da 0,5 a 1,5 m. L’olio essenziale presente nei petali in piccole quantità ha proprietà astringenti, antinfiammatorie e tonico-amare. Analoghe proprietà, anche se in misura inferiore, hanno i petali della rosa canina e della rosa centifolia. La rosa damascena, largamente coltivata in Bulgaria per estrarne l’olio, fornisce l’essenza di rosa usata in farmacia come aromatizzante, nonché in profumeria e in cosmetica. Questa essenza ha proprietà batteriostatiche e battericide. Rosa Rosa selvatica o canina. • Arbusto cespuglioso sempreverde molto ramificato, diffusissimo nell’area mediterranea. L’essenza di rosmarino, che si estrae dalle foglie e dalle sommità fiorite, ha proprietà stimolanti e antispasmodiche, coleretiche, diuretiche, carminative; è usata come condimento così come le foglie allo stato fresco o essiccato. Rosmarino Rosmarino. • Erba perenne che cresce spontaneamente nell’area mediterranea, e che è largamente coltivata negli orti; ha un forte odore balsamico e un sapore aromatico amaro. L’olio essenziale si ricava dalle foglie; ha proprietà stomachiche, antimicrobiche, coleretiche, antisudorali e antidiarroiche. Salvia • Albero che può raggiungere i 20-30 m d’altezza; cresce spontaneo in tutta l’Europa ed è anche estesamente coltivato. Nelle infiorescenze è contenuta una piccola quantità di olio essenziale; le sue proprietà sono sudorifere, sedative, antispasmodiche, emollienti. Tiglio • Arbusto cespuglioso di 20-30 cm, i cui fusti formano dei ciuffi di un verde biancastro; diffuso spontaneamente nell’area mediterranea occidentale, viene anche coltivato. Ha odore penetrante e sapore aromatico. Dalle sue foglie si estrae un olio essenziale che ha un’azione tonica generale e proprietà stomachiche, balsamiche e antisettiche. Timo Timo.