IL MOSTO l mosto che deriva dalla pigiatura è un liquido acquoso in cui sono disciolte, in vario modo, le numerose sostanze contenute negli acini dell’uva. Oltre all’acqua, che rappresenta circa il 70-80%, sono presenti zuccheri, acidi, sali minerali, sostanze azotate (inorganiche e proteiche), polifenoli (coloranti e tannini), sostanze pectiche, vitamine, residui della pigiatura, e naturalmente i lieviti, che sono i microrganismi in grado di far avvenire la fermentazione. Nella tabella della pagina a fianco riportiamo la composizione media del mosto nei suoi principali elementi. La presenza degli acidi conferisce al mosto una reazione acida ottimale (pH 2,73,5), indispensabile per varie ragioni al regolare svolgimento della fermentazione. Gli acidi trasmettono inoltre al mosto, nonché al vino che se ne otterrà, un sapore gradevole. Questi acidi possono anche formare sali, principalmente di potassio e di calcio; il più importante come quantità presente è il cosiddetto cremortartaro (tartrato acido di potassio) che è poco solubile e che, quando la temperatura scende, tende a precipitare formando cristalli facilmente visibili nel vino. Analogo comportamento ha il tartrato di calcio, mentre i sali dell’acido malico e il tartrato neutro di potassio sono più solubili. Le sostanze coloranti e tanniche (entrambe appartenenti al gruppo dei polifenoli) possono essere più o meno presenti nel mosto a seconda che si sia provveduto o meno al diraspamento o all’asportazione totale della vinaccia, perché – lo ripetiamo – è nelle parti solide che sono particolarmente diffuse queste sostanze. Infatti sono polifenoli i pigmenti coloranti rossi e gialli, contenuti quasi esclusivamente nelle bucce, e i tannini, contenuti, oltre che nelle bucce, nei vinaccioli e nei raspi. Sono poi ancora presenti nel mosto vitamine (A, C e del gruppo B), sostanze minerali (potassio, calcio, magnesio, sodio, fosfati, solfati, cloruri, ferro, rame) che regolano la fermentazione conferendo al vino che si ottiene sapidità e limpidezza, e sostanze azotate (presenti soprattutto nelle bucce). Queste ultime sono indispensabili allo sviluppo dei lieviti che svolgono la fermentazione e che si trasformano poi in composti odorosi (alcoli superiori), alcuni dei quali sono importanti per il profumo del vino; un eccesso di sostanze azotate può però essere dannoso per la limpidezza e la stabilità del vino. I In alto: Qui sopra: dopo cinque ore dalla pigiatura dell’uva, i lieviti si sono moltiplicati e quindi il mosto sobbolle. il secondo giorno il mosto si trova in piena fermentazione. La temperatura sale velocemente. L’ ANALISI DEL MOSTO Vediamo ora brevemente i tipi di analisi per zuccheri e acidi, e gli eventuali correttivi delle caratteristiche del mosto che si possono eseguire nella cantina familiare. Innanzitutto (ne avevamo scritto riguardo la scelta del momento ottimale per eseguire la vendemmia)è importante conoscere il contenuto di zuccheri del mosto. Esso può essere determinato rapidamente, anche se in maniera approssimativa, con strumenti semplici come il rifrattometro e il mostimetro; oppure con metodi chimici, che però richiedono attrezzature di una certa complessità. Conoscendo il contenuto zuccherino è possibile calcolare la quantità di alcol che presumibilmente si formerà nel vino: infatti, da una parte (in peso) di zuccheri si ricavano circa 0,6 parti (in volume) di alcol. Quindi moltiplicando il dato che si ottiene dall’esame del contenuto di zuccheri per 0,6 si ricava il presumibile contenuto di alcol (grado alcolico) del futuro vino. Composizione media del mosto COMPOSTI CONTENUTO (G/L) % o % ACQUA 700-800 70-80% ZUCCHERI 150-250 15-25% ACIDI 7-14 7-14% SALI MINERALI (potassio, calcio, magnesio, sodio ecc.) 1-3 1-3% SOSTANZE AZOTATE (inorganiche, proteine e amminoacidi) 0,2-1,5 0,2-1,5% Il tipo di mosto Si possono avere vari tipi di mosto; in particolare, oltre a quello semplice, ottenuto dalla normale pigiatura, abbiamo il mosto concentrato (con un alto contenuto zuccherino), il filtrato dolce e il mosto muto. Il è ottenuto con un processo industriale attraverso il quale viene eliminata l’acqua portando la concentrazione di zuccheri fino al 50-70%. Esso viene usato per la correzione di mosti poveri di zucchero. MOSTO CONCENTRATO Il è un mosto dal quale sono state tolte, con particolari processi di filtrazione, le sostanze azotate indispensabili ai microrganismi della fermentazione, per cui si creano le condizioni perché questa non avvenga. Il filtrato dolce si può usare per tagli e rifermentazioni. FILTRATO DOLCE Anche nel la fermentazione viene bloccata, ma in questo caso per l’aggiunta di una forte dose di anidride solforosa. Prima di usare il mosto muto, per taglio, rifermentazioni o concentrazioni, si deve eliminare l’anidride solforosa in esso contenuta. MOSTO MUTO La misurazione del contenuto zuccherino Lo strumento più usato e che dà i risultati più attendibili è il , al quale abbiamo già accennato a proposito del calcolo dell’indice di maturazione dell’uva. Il mostimetro Babo è composto da una specie di asta graduata che galleggia restando verticale nel mosto. L’operazione da eseguire è molto semplice, in quanto basta leggere sulla scala graduata – una volta immerso lo strumento nel mosto – il valore corrispondente al livello del liquido; questo valore rappresenta la percentuale di zuccheri presenti (kg di zuccheri/q di mosto). Se si vuole conoscere quanto alcol verrà prodotto, bisogna tenere presente che l’analisi andrebbe eseguita a una determinata temperatura ideale (15 °C): per ogni grado di differenza, bisogna applicare un fattore di correzione (che è 0,2), in più o in meno a seconda che la temperatura del mosto sia superiore o inferiore a quella adatta allo strumento. Per questo nel bulbo dei mostimetri è spesso incorporato un termometro: esso determina la temperatura del mosto. Ciò fatto, si moltiplica per il peso specifico del mosto, sempre alla temperatura d’uso del mostimetro, e quindi per il fattore 0,6; il risultato è il grado alcolico presunto che si otterrà dal vino. Nella tabella di pagina seguente riportiamo alcuni dati relativi a questi calcoli. mostimetro Babo Esistono anche altri tipi di mostimetri che utilizzano lo stesso principio: mostimetro Guyot, Oechsle, saccarimetro Balling per la misurazione dei gradi Brix, densimetro Baumé che dà le misure in gradi Baumé o Bé. Un altro metodo semplice per il calcolo del contenuto zuccherino del mosto è quello che si avvale dell’uso del , il quale fornisce un’attendibilità del risultato superiore a quella dei mostimetri. Lo strumento è una specie di piccolo cannocchiale che, a una delle estremità, porta un prisma su cui vengono poste alcune gocce di mosto. Osservando dall’estremità opposta, in controluce, si può vedere una scala graduata divisa in due: una parte in ombra e una illuminata; la linea di separazione indica, sulla scala, il tenore zuccherino del mosto; moltiplicando per il fattore 0,6, questo valore ci dà il probabile grado alcolico del vino che otterremo. rifrattometro Analisi del mosto con il mostimetro, strumento utile a misurare in percentuale il contenuto zuccherino. La misurazione dell’acidità Conoscere il contenuto di acidi del mosto può essere importante, sia per il ruolo che essi svolgono per il buon andamento della fermentazione, sia per la determinazione, come abbiamo visto precedentemente, del momento ottimale della vendemmia, con l’indice di maturazione dato dal rapporto tra zuccheri e acidi. Il metodo per misurare l’acidità totale del mosto (cioè l’insieme delle sostanze acide in esso contenute) è un po’ laborioso, ma non difficile, e richiede una certa attrezzatura. Vediamo di descriverlo ugualmente, anche se non risulterà a tutti chiaro; si tratta comunque di un’analisi che, con un po’ di pratica, può essere eseguita anche in una piccola cantina familiare. Innanzitutto bisogna procurarsi la necessaria attrezzatura da laboratorio chimico; in commercio esistono anche gli strumenti adatti con le relative istruzioni. L’acidità totale (espressa in g/l di acido tartarico) si determina neutralizzando un volume noto di mosto con NaOH (idrato di sodio) 0,1 N (normaldecimo), usando come indicatore il blu di bromotimolo. In pratica, si prendono con uno strumento graduato (una pipetta) 7,5 ml (cm 3) di mosto e si pongono in un bicchiere di vetro da laboratorio (Becher); si versano 40 ml d’acqua distillata e alcune gocce di indicatore (blu di bromotimolo); si aggiunge, poi, l’idrato di sodio NaOH 0,1 N con una buretta (un apposito recipiente graduato munito di rubinetto nella parte inferiore), tenendo conto che l’idrato di sodio va incorporato lentamente e accuratamente mescolato. Si prosegue nell’operazione fino alla comparsa della colorazione blu, stabile per 10 secondi circa; nel caso di vini molto rossi si noterà un forte incupimento. A questo punto si legge sulla buretta quanti millilitri (cm 3) di NaOH 0,1 N sono stati necessari per neutralizzare gli acidi del mosto; questo valore ci dà l’acidità totale del mosto espressa in grammi di acido tartarico/litri. Si può usare lo stesso metodo per misurare l’acidità del vino. Composizione media del mosto ( ) GRADI DEL MOSTIMETROBABO A 15 °C ( ) PESO SPECIFICO A 15 °C ALCOL CORRISPONDENTE(GRADI) 14,2 1,069 9,1 14,4 1,070 9,2 14,6 1,071 9,3 14,8 1,072 9,5 15,0 1,073 9,6 15,2 1,074 9,7 15,4 1,075 9,9 15,6 1,076 10,0 15,8 1,077 10,1 15,9 1,078 10,3 16,1 1,079 10,4 16,3 1,080 10,5 16,5 1,081 10,6 16,7 1,082 10,8 16,9 1,083 10,9 17,1 1,084 11,1 17,3 1,085 11,2 17,5 1,086 11,3 17,7 1,087 11,4 17,9 1,088 11,6 18,0 1,089 11,7 18,2 1,090 11,8 18,4 1,091 12,0 18,6 1,092 12,1 18,8 1,093 12,2 19,0 1,094 12,4 19,2 1,095 12,5 19,4 1,096 12,6 19,6 1,097 12,8 19,7 1,098 12,9 19,9 1,099 13,0 20,1 1,100 13,2 20,3 1,101 13,3 20,5 1,102 13,4 20,7 1,103 13,6 20,8 1,104 13,7 21,0 1,105 13,8 21,2 1,106 14,0 21,3 1,107 14,1 21,4 1,108 14,2 21,8 1,109 14,4 21,9 1,110 14,5 22,1 1,111 14,6 22,3 1,112 14,7 L E CORREZIONI DEL MOSTO Diciamo subito che in una piccola cantina familiare, generalmente, non c’è la possibilità di eseguire grosse correzioni delle caratteristiche del mosto. Tuttavia se per varie cause, come per esempio un andamento climatico sfavorevole, ci si trovasse con un mosto povero di zucchero, o con un contenuto di acidi troppo elevato oppure troppo basso, si può intervenire cercando di modificare il contenuto del mosto. L’aumento del grado zuccherino del mosto (la diminuzione, in genere, non è una pratica diffusa) si opera quando il contenuto di zuccheri è talmente basso da non consentire al vino che si otterrà un conveniente grado alcolico. Ricordiamo che la semplice aggiunta di normalissimo zucchero provoca l’aumento dei gradi alcolici nel vino che si otterrà. Ma la legge italiana consente di apportare gli zuccheri necessari al mosto povero solo mediante il taglio, che consiste nell’aggiunta di mosti concentrati, mosti muti o filtrati dolci. È perciò proibito il metodo più semplice, quello dell’aggiunta diretta nel mosto del comune zucchero. Esiste una regola, la , per il calcolo delle opportune quantità di mosti da usare per ottenere un prodotto adatto alle nostre esigenze. È necessario applicare la formula (della croce di sant’Andrea) qui raffigurata nello schema a sinistra, dove A è il grado zuccherino del mosto da correggere, B è il grado zuccherino del mosto concentrato, C è il grado zuccherino che si vuole raggiungere, (B–C) sono le parti di mosto da correggere, (C–A) sono le parti di mosto concentrato. Vediamo un esempio; supponiamo di avere un mosto con il 16% di zucchero (troppo basso per confezionare un vino con un buon contenuto di alcol), di volerlo correggere con un mosto concentrato contenente il 60% di zuccheri, e di volerne ottenere uno col 20% di zuccheri. Applicando al nostro caso la formula indicata (si veda lo schema qui a sinistra) si dovranno pertanto usare (60–20)=40 parti (es. litri) del nostro mosto e (20–16)=4 (es. litri) del mosto concentrato, che daranno 44 parti di mosto col 20% di zuccheri. Volendo avere i valori percentuali, si fa una semplice proporzione; per conoscere la percentuale (y) di mosto da correggere è quindi necessario seguire le indicazioni (qui a sinistra). Il restante 9,1% è quindi di mosto concentrato. Anche per l’acidità, generalmente, si pratica solo la correzione aumentativa in quanto, durante la fermentazione e anche successivamente nel vino, si ha una naturale diminuzione dell’acidità totale su livelli normali. Un eventuale intervento diminutivo è preferibile farlo sul vino. Tuttavia se il mosto provenisse da uve molto immature, e il suo contenuto di acidi fosse troppo elevato, nonché accompagnato da una bassa percentuale di zuccheri, sarebbe decisamente opportuno tagliare il mosto da correggere con un altro povero di acidi e ricco di zuccheri. L’aumento dell’acidità risulta utile specialmente in zone calde, allorché il contenuto di acidi nel mosto è insufficiente a garantire una buona fermentazione. Ricordiamo che in ambiente acido i lieviti, cioè i fautori della fermentazione alcolica, si sviluppano meglio rispetto ai microrganismi delle malattie (batteri). Se nel mosto il contenuto di acidi fosse basso (4-6%), si può aggiungere direttamente acido tartarico, ricordando che parte dell’acido aggiunto viene trasformata in sali; quindi, per provocare un aumento di 1 g/l nell’acidità del mosto bisogna aggiungere una dose superiore di acido tartarico, pari a circa il doppio, cioè approssimativamente 2 g/l di mosto (200 g/hl). Per favorire l’aumento dell’acidità è possibile usare anche l’acido citrico; ma le norme della Comunità Europea consentono il suo utilizzo solo nel vino e solo come stabilizzante. regola del taglio D AL MOSTO AL VINO La fermentazione tumultuosa Il mosto, a poche ore dalla pigiatura dell’uva, inizia a fermentare spontaneamente, se l’ambiente è adatto, con la trasformazione degli zuccheri principalmente in alcol etilico e anidride carbonica. Quest’ultima si libera sotto forma di bollicine che gorgogliano all’interno del mosto come in un liquido che sobbolle. La parola fermentazione, infatti, deriva dal latino che significa proprio “bollire, ribollire”. fervere La prima fase dell’attività fermentativa, per la vivacità con cui avviene, è detta fermentazione tumultuosa e dura approssimativamente dai 5 ai 15 giorni, con manifestazioni molto evidenti, per cui è possibile individuarne senza difficoltà l’inizio e la fine. La trasformazione è opera di piccolissimi microrganismi, i lieviti, presenti naturalmente a centinaia di milioni sulla buccia di ogni acino di uva. Quando si trovano nel mosto, a seguito della pigiatura, cominciano a moltiplicarsi usando come alimento gli zuccheri e le sostanze azotate del mosto stesso, “respirando” l’ossigeno presente nella massa. Allorché questo si esaurisce, i lieviti sopravvivono prendendo l’energia necessaria dalla trasformazione dello zucchero in alcol etilico e anidride carbonica. Durante la fermentazione si libera anche una certa quantità di calore. Il processo di trasformazione degli zuccheri in alcol etilico e anidride carbonica, in realtà, non è così semplice come potrebbe sembrare da questa sommaria descrizione, e il percorso che porta ai due principali composti si snoda attraverso numerosi passaggi, con la formazione di molti altri composti intermedi, alcuni dei quali rimangono in piccole o piccolissime quantità nel vino che si ottiene (glicerina, alcoli diversi dall’alcol etilico detti alcoli superiori, acidi, esteri, aldeidi ecc.); tali sostanze contribuiscono, a volte in modo deciso, alla formazione del sapore e del profumo del vino. La quantità di questi prodotti secondari che si formano durante la fermentazione dipende dalle caratteristiche delle diverse specie di lieviti presenti nel mosto e dalle condizioni in cui avviene la fermentazione (acidità, arieggiamento ecc.). Indicativamente possiamo dire che dalla fermentazione di 100 parti di zucchero si ottengono: il 48-49% in peso di alcol etilico (60-61% in volume); il 45-47% di anidride carbonica (22 l di gas); il 2-4% di glicerina; l’1-2% di prodotti secondari. Qui sotto: In basso: il mosto inizia a fermentare già tre ore dopo la pigiatura dell’uva. La schiuma che si vede nelle foto è provocata dall’anidride carbonica. mosto in fermentazione. I lieviti I lieviti sono dei particolari microrganismi formati da una sola cellula. Come si è visto, sulle bucce degli acini dell’uva matura i lieviti sono presenti in gran quantità e si ritrovano perciò nel mosto dopo la pigiatura. Ne esistono diverse specie, che variano di numero e di tipo, a seconda del clima e dell’ambiente. Oltre ai lieviti sono presenti altri microrganismi, come batteri e muffe, che spesso diventano responsabili delle alterazioni e delle malattie del vino. I lieviti importanti sono denominati, per via della loro forma, lieviti (iniziano la fermentazione, ma producono poco alcol e molti prodotti secondari non graditi, tra cui l’acido acetico) e lieviti (si sviluppano in un secondo tempo e sono ottimi produttori di alcol). Tra i lieviti ellittici, quello che presenta le migliori caratteristiche è il . All’inizio del processo di fermentazione naturale, regolato solo dalla solfitazione (cioè dall’aggiunta di anidride solforosa) e dal controllo della temperatura, sono presenti nel mosto in assoluta predominanza i lieviti apiculati; essi iniziano a far fermentare gli zuccheri, usando l’ossigeno e producendo anidride carbonica, poco alcol e molti prodotti secondari. Questa prima fase crea una situazione di mancanza di ossigeno, sfavorevole all’ulteriore sviluppo degli apiculati; inoltre, essi sono bloccati nel loro sviluppo dalla presenza dell’alcol: quando l’alcol raggiunge i 4°, la moltiplicazione e l’attività dei lieviti apiculati vengono bloccate. Man mano che la presenza e l’attività degli apiculati vanno calando, cominciano a entrare in attività i lieviti ellittici, che non trovano competizione da parte di altri microrganismi. Anche la loro moltiplicazione e la loro attività vengono però rallentate dalla concentrazione alcolica, e già a circa 8° la loro trasformazione è più lenta, ma prosegue ugualmente fino alla scomparsa di quasi tutti gli zuccheri. apiculati ellittici Saccharomyces cerevisiae I lieviti ellittici resistono fino a concentrazioni di 13-14° alcolici. A questo punto i lieviti si depositano sul fondo del recipiente di fermentazione, andando a formare, assieme ad altre sostanze, la feccia, la quale è successivamente eliminata. Esiste la possibilità di addizionare ai lieviti già presenti nel mosto dei lieviti selezionati preparati industrialmente: essi hanno ottime caratteristiche fermentative e si trovano facilmente in commercio. Per le piccole produzioni familiari è invece sufficiente fare in modo che avvenga una buona fermentazione naturale. Cellule di lieviti del vino al microscopio. Per fare un buon vino le dimensioni delle botti sono determinanti. In quelle più piccole il vino si trova maggiormente a contatto con il legno rispetto a quelle grandi. Le botti più piccole normalmente usate sono le barriques, originarie di Bordeaux, in Francia, che contengono 225 litri. Lo scopritore dei lieviti del vino Fu il celebre ad analizzare e descrivere in modo dettagliato il processo che sta alla base del vino: la . Da tempo si sapeva che nel mosto lo zucchero si trasforma in alcol, ma nessuno conosceva i “protagonisti” di questo processo. Fu Pasteur a scoprire che erano i . E tutto questo anche grazie al microscopio. I lieviti del vino hanno un’origine naturale oppure, oggi, sono prodotti in laboratorio e sono disponibili in commercio. In genere arrivano in cantina insieme al vino. I lieviti non sono certo visibili ad occhio nudo, ma si possono vedere in modo chiaro con un microscopio a 600 ingrandimenti. Quando il mosto è in fermentazione si attivano velocemente e si moltiplicano in modo rapidissimo. In appena un centimetro cubo di mosto, ad esempio, al culmine della fermentazione, sono presenti tra 80 e 120 milioni di cellule di lievito. All’inizio del processo fermentativo il succo ne conteneva soltanto 260000 e ancor prima, nel vigneto, esse non erano che 120000. L P CHIMICO FRANCESE OUIS ASTEUR FERMENTAZIONE ALCOLICA LIEVITI GLI ATTIVATORI DELLA FERMENTAZIONE L’anidride solforosa L’uso dell’anidride solforosa (SO ), per le sue molteplici azioni positive sull’andamento della fermentazione, è senza dubbio una pratica da consigliare. L’impiego di questa sostanza, nelle dosi previste in enologia, è relativamente sicuro per quanto riguarda la salute dell’uomo, e non ha effetti indesiderati sul vino. L’anidride solforosa è un gas che si forma quando si brucia lo zolfo; ha un odore sgradevole e soffocante; è più pesante dell’aria e ha la caratteristica di potersi sciogliere in acqua. Per gli impieghi enologici si può usare sottoforma di gas, o di soluzione liquida, oppure di sali. Quest’ultimo tipo è il più pratico da utilizzare nella cantina familiare. In particolare, viene generalmente adottato il metabisolfito di potassio: questo sale dell’anidride solforosa si usa in dose variabile da 5 a 30 g/hl di mosto, tenendo presente che le dosi più basse (5-10 g) si usano con le uve sane, mentre le dosi più alte (20-30 g) si usano quando le uve sono alterate, affette cioè da muffe o marciumi vari. In condizioni normali una dose di 10-15 g/hl di metabisolfito è sufficiente a garantire una buona fermentazione. È consigliabile sciogliere il metabisolfito in un po’ d’acqua e aggiungere poi questo miscuglio alla massa, mescolando bene. Dosi molto elevate di anidride solforosa (50-60 g/hl) impediscono al mosto di fermentare, poiché hanno la caratteristica di eliminare tutti i microrganismi presenti, compresi i lieviti. 2 Questa tecnica sta alla base della preparazione di , che prima di essere impiegati devono essere desolfitati eliminando cioè gran parte dell’anidride solforosa presente, cosa che si può ottenere semplicemente arieggiando il mosto. Per esempio facendolo cadere da un recipiente all’altro, favorendo così la volatilizzazione dell’anidride solforosa. Per svolgere in modo ottimale la sua funzione, l’anidride solforosa deve essere aggiunta all’uva ammostata subito dopo la pigiatura, prima che inizi la fermentazione, e deve essere ben mescolata con la massa, operazione che si può effettuare con attrezzi semplici in grado di rimestare l’uva schiacciata, oppure con dei rimontaggi che consistono nel prelevare il mosto dal basso e riversarlo con una pompa dall’alto. L’anidride solforosa ha molte proprietà positive: vediamole. mosti muti • : l’anidride solforosa è in grado di esercitare una vera e propria selezione dei microrganismi presenti nel mosto, favorendo e stimolando l’azione di quelli utili, cioè i lieviti e in particolare quelli ellittici, e inibendo contemporaneamente la moltiplicazione di quelli dannosi (come i batteri, le muffe e i lieviti apiculati che producono poco alcol); questa azione selettiva è compiuta anche dall’acidità stessa del mosto, per cui più un mosto è acido e meno anidride solforosa si dovrà usare; al contrario, se il mosto si rivela poco acido, l’apporto di anidride solforosa va potenziato. Azione antisettica e disinfettante • : l’anidride solforosa svolge un’azione protettiva sulle sostanze coloranti del mosto che sono facilmente ossidabili; la loro ossidazione provoca, anche nei vini giovani, alterazioni del colore del vino. Azione antiossidante • : l’anidride solforosa facilita la dissoluzione delle sostanze coloranti e, grazie alla sua azione, il vino risulta più colorato e brillante. Azione solubilizzante • : l’anidride solforosa distrugge gli enzimi responsabili della casse ossidasica. Azione antiossidasica • : l’anidride solforosa ha la capacità di coagulare (cioè raggrumare) e di far depositare numerose sostanze che si trovano nel mosto e che lo intorbidiscono; queste potranno essere separate successivamente con i travasi, e il vino che si otterrà risulterà più limpido. Azione coagulante Temperatura e ossigeno Sono entrambi fattori in grado di influire anche in modo determinante sull’andamento della fermentazione. Come ricordato, durante il processo fermentativo si ha una certa produzione di calore che va a innalzare la temperatura del mosto; se questo innalzamento è eccessivo, si può interrompere la fermentazione, con residui di zuccheri, oltre alla possibilità di sviluppo di malattie favorite dalle alte temperature. La temperatura ottimale è attorno ai 20 °C, e già a 25 °C si hanno i primi inconvenienti. D’altra parte anche le basse temperature creano problemi; infatti, a 10 °C la fermentazione è lentissima e, scendendo ancora, si arresta. Nel caso di temperatura troppo elevata, bisogna raffreddare il recipiente di fermentazione, per esempio facendo scorrere sulle pareti dell’acqua fresca; nel caso contrario, si riscalderà l’ambiente finché il mosto non abbia raggiunto circa i 18-22 °C. Le migliori fermentazioni tuttavia sono quelle lente, che avvengono a bassa temperatura e cioè . La presenza di ossigeno nella prima fase della fermentazione è indispensabile in quanto esso favorisce la moltiplicazione dei lieviti. Tuttavia, se il contatto con l’ossigeno è stato prolungato eccessivamente, oltre all’ossidazione del prodotto si ha un continuo sviluppo dei lieviti a scapito della produzione di alcol che, lo ricordiamo, avviene prevalentemente in ambiente privo di ossigeno. tra i 15 e i 18 °C L’ , operazione da eseguire preferibilmente verso il secondo giorno di fermentazione, si può fare con un rimontaggio se si dispone di una pompa, oppure con una vigorosa rimescolata della massa. aerazione del mosto La fermentazione lenta Terminata la fermentazione tumultuosa, rimane ancora nel mosto-vino (in questa fase intermedia la massa non si può più definire mosto ma neppure vino) qualche residuo di zuccheri (1-2%): essi verranno trasformati in alcol e anidride carbonica durante la cosiddetta fermentazione lenta, la quale inizia dopo la svinatura, cioè dopo che il mosto-vino è stato trasferito dal recipiente di fermentazione a quello di conservazione. In pratica il mosto-vino, arieggiato un po’ per favorire e rilanciare lo sviluppo dei lieviti presenti, viene travasato in nuovi recipienti (botte, damigiana, vasca di cemento), dove si completerà la trasformazione degli zuccheri in alcol e anidride carbonica. Per permettere il regolare svolgimento della fermentazione lenta bisogna fare attenzione che la temperatura non scenda sotto i 15 °C circa. Il recipiente di conservazione dev’essere provvisto di un , cioè di una valvola che permetta l’uscita dell’anidride carbonica impedendo l’entrata dell’aria. In effetti in questa fase la presenza di aria è dannosa, perché può favorire l’insorgere di malattie causate da microrganismi che si moltiplicano in presenza di ossigeno. Il gorgogliatore è un apparecchio molto semplice, che si trova in commercio, ma può anche essere realizzato in casa. Durante la fermentazione lenta si ha una separazione delle parti solide sciolte nel mosto-vino, le quali si depositano formando la feccia. gorgogliatore Il tappo gorgogliatore viene infilato al cocchiume della botte durante la fermentazione lenta. Il liquido che funge da chiusura è una soluzione di metabisolfito di potassio al 10%. Il gas che si forma all’interno può uscire facilmente, mentre viene impedito l’ingresso dell’aria. La fermentazione malolattica La fermentazione malolattica consiste nella naturale trasformazione di parte dell’acido malico in acido lattico e anidride carbonica. Il lattico è un acido assai più debole del malico, per cui si hanno una diminuzione dell’acidità del vino e un miglioramento delle caratteristiche organolettiche (sapore, odore, colore). La fermentazione malolattica è particolarmente consigliata per i rossi tradizionali (Barolo, Amarone, Chianti ecc.), mentre è poco indicata per i vini bianchi e rossi in cui si desidera una certa vivacità. La fermentazione malolattica è un processo naturale determinato da microrganismi specifici (batteri malolattici di varie specie) con formazione anche di prodotti secondari. Essendo favorita da un aumento della temperatura, avviene spesso in primavera o qualche mese dopo la svinatura; talvolta, se si verificano condizioni particolarmente favorevoli, può realizzarsi alla fine della fermentazione principale. Se la fermentazione malolattica avviene subito dopo la svinatura o, comunque, prima dell’inizio dei freddi, si possono avere vini pronti, o comunque nelle migliori condizioni, con vari mesi di anticipo rispetto a quelli in cui la fermentazione malolattica avviene in primavera. Va qui precisato che l’anidride solforosa, la quale, come abbiamo visto, ostacola lo sviluppo dei microrganismi, può inibire lo sviluppo dei batteri malolattici se usata in dosi eccessive. Perciò questo prodotto può essere usato come strumento di controllo della fermentazione malolattica, a seconda che si voglia o meno la sua realizzazione. LE TECNICHE DI VINIFICAZIONE La vinificazione, cioè la trasformazione del mosto in vino, può essere realizzata usando metodi diversi. Come abbiamo visto nella parte riguardante la pigiatura, a seconda del tipo di pigiatrice è possibile ottenere un mosto con diversi contenuti: con una pigiatrice semplice, il mosto conterrà tutta la vinaccia, e cioè raspi, bucce e semi; se usiamo una diraspatrice, solo bucce e semi; se si usa invece uno sgrondatore o si ammosta con un torchio, si otterrà un mosto senza parti solide. A seconda del tipo di mosto che si fa fermentare, si adottano tecniche diverse di vinificazione, che possiamo così sintetizzare: vinificazione con la vinaccia, con o senza raspi, detta anche o con macerazione; vinificazione senza vinaccia, detta anche . vinificazione in rosso vinificazione in bianco Vinificazione in rosso La prima tecnica (detta vinificazione in rosso perché si usa generalmente per i vini rossi, ma naturalmente può essere usata anche per preparare vini bianchi da uve bianche) consente di estrarre dalle parti solide del mosto, specialmente dalle bucce, i numerosi costituenti solubili che conferiscono al vino colore e sapore particolari, come coloranti, tannini e sostanze aromatiche. La durata del contatto della parte liquida con la vinaccia dipende dal tipo di uva e dal tipo di vino che si vuole ottenere; per esempio, per un vino rosato il contatto deve durare solo poche ore, mentre per vini più ricchi di colore e di aroma può essere di vari giorni. La fermentazione con la vinaccia è molto più attiva di quella in bianco, perché il mosto è più ricco di lieviti, di ossigeno e di sostanze azotate, particolarmente presenti nelle parti solide. Nell’introdurre l’uva pigiata nel recipiente di fermentazione (botte, tino, vasca di cemento o di vetroresina), si farà attenzione a riempire il contenitore solo parzialmente (circa 3/4 del volume), onde evitare che durante la fermentazione, sotto la spinta del gas che si sprigiona, parte del mosto e della vinaccia trabocchino. Nella cantina familiare, la vinificazione in rosso può essere condotta in due modi: con vinaccia galleggiante o con vinaccia sommersa. Col metodo a (detto anche ) la massa delle parti solide viene spinta liberamente verso la superficie dall’anidride carbonica che si forma durante la fermentazione. Questo fatto comporta il pericolo che la vinaccia, essendo esposta all’aria, possa prendere odore di aceto. Nella vinificazione in rosso con vinaccia galleggiante si rivela necessario rimescolare la massa per favorire il contatto del mosto in fermentazione con la vinaccia, consentendo così alle sostanze coloranti di poter entrare in soluzione. Quest’azione di mescolamento permette tra l’altro un certo arieggiamento della massa, con benefici effetti sulla riproduzione dei lieviti. vinaccia galleggiante a cappello galleggiante Il rimescolamento della vinaccia all’interno del mosto può essere eseguito con un , cioè prelevando con una pompa il mosto dalla parte bassa del recipiente di fermentazione e facendolo successivamente cadere sulla vinaccia in superficie; oppure mediante la cosiddetta , che consiste nel frantumare e respingere la massa solida presente nel liquido con appositi attrezzi (detti ). Il follatore può anche essere costruito in casa: si tratta di un’asta di legno (non si devono mai usare utensili di metallo), a una estremità della quale sono applicati dei pioli su piani diversi; tali pioli servono per fare presa sulla massa della vinaccia. Si eseguiranno da una a tre operazioni di follatura al giorno a seconda che si desideri un vino più o meno ricco di colore. La vinificazione in rosso con (o ) consiste nel trattenere nel recipiente di fermentazione, con falsi fondi, la vinaccia all’interno del mosto. Con questo metodo si evitano rimontaggi o follature, però non si hanno gli effetti positivi che offre il mescolamento in fatto di arieggiamento e contatto della vinaccia col mosto. Quando il mosto-vino si sarà sufficientemente, secondo il vostro giudizio, arricchito di colore, si effettuerà la svinatura, che consiste nello svuotare il recipiente di fermentazione facendo uscire il prodotto (detto anche ) dalla bocca inferiore; il mosto-vino va raccolto in una tinozza e da questa travasato, per esempio con una pompa o con secchi e imbuti, in una botte o in un altro contenitore (damigiana, vasca di cemento, di vetroresina ecc.). rimontaggio follatura follatori vinaccia sommersa a cappello sommerso vino fiore Per evitare che il vino da consumare in famiglia divenga troppo ricco di colore e tannino, con conseguenze negative sul sapore, è bene non prolungare il contatto della vinaccia col mosto in fermentazione, fino al completo esaurimento degli zuccheri. Si procederà quindi alla svinatura qualche giorno prima del termine della fermentazione. Sequenza di vinificazione a cappello emerso e sommerso. La fermentazione in rosso può avvenire sia con la preventiva diraspatura, sia con raspi compresi (A) . Nel tino o vasca di fermentazione le vinacce si raccolgono in superficie (B) formando uno spesso strato (“cappello”) che deve continuamente essere riaffondato nel mosto per evitare che inacetisca. L’operazione della follatura (o rimontaggio) può essere eseguita sia con l’uso di una pompa che dal basso porti il vino nella parte superiore del tino (C) , sia con particolari attrezzi. Per evitare questa operazione (e il rischio di inacidimento), è possibile adottare la fermentazione a cappello sommerso (D) , che consiste nell’uso del falsofondo. Ciò evita l’emersione delle vinacce, e quindi il loro contatto Vinificazione in bianco Questo metodo, così definito poiché impiegato per preparare i vini bianchi, consiste nel far fermentare il solo mosto dopo averlo separato dalle parti solide: raspi, vinaccioli e bucce. Si ottengono così vini di poco colore e di sapore più delicato rispetto a quelli preparati con la macerazione. Con questo metodo vengono preparati anche vini di qualità superiore (per esempio gli spumanti). La vinificazione in bianco è un sistema molto delicato e che richiede qualche precauzione, perché i vini così ottenuti sono più sensibili alle malattie causate dai microrganismi e all’azione dell’ossigeno, che può provocare cambiamenti nelle loro principali caratteristiche (colore e sapore). La fermentazione in bianco è sempre più lenta di quella con le vinacce, per cui bisogna prestare particolari attenzioni per favorirla e per impedire che si arresti, usando dosi relativamente basse di anidride solforosa e arieggiando con travasi nella prima fase per favorire la moltiplicazione dei lieviti. La fermentazione può essere preceduta da una “pulizia” del mosto (per sedimentazione naturale o con chiarificanti facilmente reperibili, come per esempio la gelatina alla dose di 10 g/hl di mosto); la pulizia garantisce al futuro vino doti di particolare pregio. Anche per la vinificazione in bianco bisogna ricordare di non riempire eccessivamente il recipiente di fermentazione, per evitare che durante la fermentazione le schiume che si producono trabocchino all’esterno. La torchiatura Le vinacce che si raccolgono sul fondo del recipiente di fermentazione vanno torchiate per estrarre la parte liquida che trattengono (circa il 15% del vino totale ottenibile dall’uva). Dalla torchiatura si ottiene un mosto-vino con composizione anomala rispetto al vino fiore, e con un sapore più aspro; per questo, generalmente, è bene che i due diversi vini non vengano mescolati. La torchiatura si esegue in due fasi, una a più bassa pressione dell’altra, ottenendo due tipi di vino torchiato, il primo dei quali può anche essere mescolato al vino fiore. Il secondo deve essere lavorato a parte per il suo sapore molto astringente; potrà essere destinato alla distillazione, alla produzione di , oppure al consumo, se mescolato con altro vino o corretto. La vinaccia spremuta può essere destinata alla distillazione della . ACETO GRAPPA