IL VINO BUONO egli ultimi anni si è manifestata la tendenza, da parte di molte persone stanche dei ritmi frenetici della città e della vita moderna, di ritornare alla vita e alle abitudini rurali che sono, come si sa, legate al ritmo lento dei mesi e delle stagioni. Tale propensione ha stimolato anche la ricerca di cibi e bevande più sani, legati all’ambiente rurale. Ecco allora che molti, nel proprio orto o giardino, hanno iniziato ad allevare qualche animale da cortile (galline, oche, conigli) e a coltivare per sé e per la propria famiglia ortaggi e alberi da frutto, tra i quali la vite da uva cui si dedicano con la precisa intenzione di produrre, poi, del buon vino “fatto in casa”. Questo manuale è dedicato agli appassionati dell’attività enologica, e in particolare a coloro che, dedicandovisi per occupare piacevolmente e utilmente il proprio tempo libero oppure per semplice soddisfazione personale, non possono essere definiti degli esperti. Gli argomenti verranno pertanto trattati nel modo più semplice possibile, affinché risultino facilmente comprensibili a tutti, evitando di ricorrere a formule o a termini tecnici astrusi o specialistici, ma cercando nel contempo di dare nel modo più corretto possibile tutte le informazioni che sono necessarie al piccolo e piccolissimo produttore. N Farsi il vino, dunque! Ma farlo, anche se con mezzi modesti, buono e sano. E che dia soddisfazione quando lo si beve, con la propria famiglia e con gli amici. Cantine granducali nella villa di Artimino in Toscana. V ITE E VINO TRA STORIA E LEGGENDA La vite è una pianta originaria dell’India che ha trovato larga diffusione in tutta l’Asia, espandendo successivamente la sua presenza fino al bacino del Mediterraneo. Le leggende tramandano versioni discordi riguardo al più antico utilizzo del frutto della vite, l’uva, per ricavarne il vino. Una leggenda arabica attribuisce al primo uomo, Adamo, la conoscenza della vite e la tradizione ebraica sostiene che l’albero proibito del paradiso terrestre fosse una vite anziché un melo. Altre versioni sostengono che l’“inventore” del vino fu Noè, il quale, dopo il diluvio universale, avrebbe ripristinato le pratiche agricole ponendo particolare cura nella coltivazione della vite e nella produzione del vino. Molte altre leggende legate a diverse religioni e culture attribuiscono a vari personaggi e divinità l’invenzione delle pratiche enologiche, primo fra tutti Bacco, nientemeno che il dio del vino, divenutone nei secoli il simbolo. Sembra comunque certo che l’arte di fare il vino sia di origine orientale e che si sia diffusa in Occidente con le migrazioni dei popoli ariani provenienti dall’India (nel 2500 a.C. circa). Tuttavia questi trovarono almeno un Paese, l’Armenia, dove la coltura della vite e la pratica della vinificazione erano conosciute già da molto tempo; in questa regione, situata a sud del mar Nero e comprendente anche parte della Turchia, si trova il monte Ararat dove, secondo la leggenda, l’arca si arenò alla fine del diluvio e dove Noè piantò la vite. Della produzione del vino in Egitto si hanno notizie certe fin da prima del 1600 a.C.; dall’Egitto la pratica si diffuse poi presso gli Ebrei, gli Arabi, i Fenici e i Greci, conservando sempre quell’indissolubile legame tra pratiche religiose e vino, che si è tramandato nei millenni da un culto all’altro. In Sicilia la produzione del vino risale al 2000 a.C., mentre nel resto dell’Italia pare si sia affermata successivamente presso i Sabini e gli Etruschi; questi ultimi, all’epoca della loro massima potenza, dominavano dalla pianura Padana fino alla Campania, e in tutta questa vasta zona diffusero la coltura della vite. Nei primi secoli della storia di Roma non fu data grande importanza alla vite e al vino; ma nel 146 a.C., con la conquista della Grecia, dove la pratica enologica era assai importante, iniziò un’epoca di forte espansione per la coltivazione della vite destinata alla produzione del vino sul modello greco, al punto che nel 90 d.C., per la grande sovrapproduzione, l’imperatore Domiziano vietò l’impianto di nuovi vigneti in Italia e fece estirpare metà di quelli degli altri territori dell’Impero Romano. A partire dal II secolo, con la generale crisi dell’agricoltura prima e con le invasioni barbariche poi, ci fu un progressivo abbandono delle pratiche vinicole. E con l’avvento dei maomettani, ai quali è proibito dalla religione il consumo di bevande alcoliche, si ebbe un abbandono della coltura della vite in ampie zone del Mediterraneo. Nel Medioevo e nell’epoca dei Comuni l’enologia italiana riprese vigore, ma venne praticata esclusivamente nei conventi e nei castelli. Fu solo a partire dal XVI secolo, con il Rinascimento italiano, che iniziò un periodo di grande espansione della coltivazione della vite e della produzione del vino. Ai nostri giorni non c’è regione italiana che non produca vini pregevoli, apprezzati non solo nella Penisola ma anche all’estero. Dipinto parietale egizio risalente al Medio Regno (2065-1781 a.C.) rinvenuto nella tomba di Nakht a Tebe. Le basi della viticoltura moderna La viticoltura moderna è nata verso la fine del secolo scorso per un evento del tutto imprevisto, che indusse a moltiplicare gli studi, le ricerche e i progressi nelle tecniche di coltivazione. Con gli scambi tra continenti, infatti, comparvero in Europa alcuni parassiti di provenienza nordamericana che misero in gravissimo pericolo la viticoltura, minacciando addirittura di farla scomparire se non si fossero trovate idonee soluzioni. Due di questi parassiti, l’ ( ) e la ( ), vengono attualmente combattuti chimicamente, e il loro controllo è un grosso banco di prova per l’agricoltura biologica che, per contrastarli, punta rispettivamente soprattutto sull’uso di zolfo e rame. Il caso della ( ), un piccolo insetto di origine americana della famiglia degli afidi, è stato invece definitivamente risolto con uno dei più brillanti esempi storici di lotta biologica. La fillossera devastò i vigneti di tutta Europa prima che se ne conoscesse con precisione il comportamento e si scoprisse come fosse possibile eliminarne totalmente i danni. Le viti americane hanno radici insensibili all’attacco di questo parassita, perché adattate da millenni di convivenza; tale adattamento consiste in un più spesso strato di sughero sotto la superficie radicale che rende innocue le punture dell’insetto. La vite europea ha invece una costituzione delle foglie non gradita alla fillossera che così non vi si insedia. Dunque, la soluzione: È così nato un ampio settore vivaistico che adotta gli ibridi di viti americane ( ecc.) da utilizzare come portainnesti per le gemme delle nostre viti italiane, produttrici di uva qualitativamente migliore. Esistono anche ibridi americani che fanno direttamente uva, come il Clinton o l’Isabella (uva fragola), ma la legge italiana ne vieta l’impianto. Tale divieto già deliberato nel 1931 e poi ripreso nel dopoguerra ha diverse motivazioni storiche, economiche e agronomiche; in definitiva, persiste a salvaguardia della qualità tradizionale dei nostri vini, anche se talora gli amatori producono vinelli piacevoli a dispetto del divieto. oidio Uncinula necator peronospora Plasmopora viticola fillossera Philloxera vastatrix innestare le varietà europee di grande qualità organolettica sulle resistenti radici americane. Vitis riparia, V. rupestris, V. berlandieri La fillossera causa, sulle foglie della vite americana, delle galle. Qui si trovano le fillossere fogliari, le loro uova e le fillossere appena nate. Le galle riportano sulla superficie un’apertura a forma di nassa, attraverso la quale le fillossere giovani lasciano la galla per insediarsi su altre parti della foglia. Lì formeranno nuove galle, grazie all’apporto nutritivo. Ciclo vitale della fillossera fogliare e della fillossera radicale. In particolare, le fillossere radicali, che vivono nel terreno direttamente a contatto con le radici della vite, succhiandone le sostanze nutritive causano delle nodosità. Ciò comporta un apporto inferiore di acqua e sostanze nutritive, e di conseguenza un indebolimento della vite che può addirittura portare alla morte della pianta. Vigneti del Chianti, una fra le zone di produzione del vino italiano più note nel mondo. Questo vino ha colore rubino vivace tendente al granato con l’invecchiamento; ha odore intensamente vinoso, con profumo di mammola, sapore asciutto, sapido, leggermente tannico che, col tempo, diventa morbido e vellutato. È vino adatto a tutte le pietanze, ma si sposa bene con i secondi di carne e in particolare con gli arrosti. L’ambiente della vite L’Italia è situata in una posizione geografica e climatica molto favorevole alla coltivazione della vite. Tale condizione, che si ripropone in parecchi Paesi del Mediterraneo, nel mondo si ritrova solamente in certe aree quali la California, l’Argentina, il Cile, il Sudafrica, l’Australia e le coste del mar Nero. Questa generale predisposizione del nostro Paese non ci esime però dal dire che uno dei problemi fondamentali per la produzione di uva bella e sana (e perciò adatta a ottenere vini che non necessitano di interventi chimici per essere buoni e conservabili) è proprio quello della individuazione dei terreni maggiormente conformi. L’allargamento della coltivazione della vigna ad aree non adatte e mal esposte è una delle principali cause della cattiva qualità di tanto prodotto che circola sul mercato. Quindi, un primo importante consiglio per chi intende vinificare è proprio quello di procurarsi l’uva di . La legge delle uve DOC è stata fatta per garantire la zona di origine e il corretto impianto del vigneto. Nei disciplinari delle uve DOC sono previsti da non superarsi, e il loro rispetto è importante per la qualità del prodotto. zone di ben nota vocazione viticola massimali di produzione In alto: Qui sopra: i vigneti del comune di Rivaz, sul lago di Ginevra. le vigne del Côte du Rhone in Francia.