LE CUCINE DEL MONDO ’interesse per le cucine di altri paesi esiste da tempo; nelle nostre città, e soprattutto nelle grandi capitali cosmopolite come Londra e Parigi, i ristoranti “etnici” sono una realtà da decenni. Da noi questa moda si è diffusa più lentamente, prima con i ristoranti francesi e spagnoli, poi negli anni Sessanta con i locali cinesi e, più di recente, con il boom della cucina giapponese, messicana, indiana, greca. E questo anche in seguito al fenomeno dell’immigrazione da terre lontane, dalle quali i migranti hanno portato la propria tradizione gastronomica e, di conseguenza, i locali dove degustarla. L Anche nella cucina di casa sono entrati i sapori di queste lontane culture, con l’uso di spezie e verdure esotiche e, anche, di strumenti di cottura tipici di quei paesi, prima su tutti la padella chiamata wok, strumento simbolo di gran parte delle cucine orientali. Per la cucina francese non è il caso di parlare di “cucina del mondo”, tanto è legata alla nostra tradizione gastronomica, mentre qualcosa va detto sulla cucina spagnola che, per quanto a noi vicina, è poco conosciuta in Italia, fatta eccezione per la paella ormai divenuta, come la pizza e il kebab, una sorta di archetipo gastronomico. Nelle diverse cucine del mondo si ritrovano spesso ingredienti, come il peperoncino, che in realtà ci sono familiari da sempre. La cucina spagnola La cucina spagnola in giro per il mondo è essenzialmente cucina catalana e cucina basca, e in questi ultimi anni sta attraversando momenti di gloria grazie a chef rinomati e creativi. Tra terra e mare anche nella cucina, la Catalogna esprime la duplice natura del territorio e per questo viene chiamata mar y montaña. Pollo ai gamberetti (pollastre amb ascarmelans), polpette di carne alla seppia (mandonguilles amb sipia), coniglio all’aragosta, scampi alle salsicce. Il capolavoro di questa cucina barocca si chiama es niu, “il nido”, che lo scrittore Manuel Vázquez Montalbán descrive così: «Comprende merluzzo dissalato, merluzzo detto “aerato”, cioè essiccato all’aria e poi umidificato. Ma bisogna metterci anche un tordo, una seppia, piselli, patate e la maionese all’aglio. C’è anche una parola in castigliano per definire un tale mix, è comistrajo (guazzabuglio)». In fatto di tapas, specialità catalana per eccellenza è il pa amb tomaquet: una fetta di pane strofinata con aglio e pomodoro e irrorata di olio d’oliva. A una cucina così variegata e che mischia sapori di opposta provenienza possiamo pensare di abbinare principalmente vini rossi giovani, di media struttura e corpo, con tannini dolci supportati dalla freschezza dell’acidità e con un bouquet intenso di aromi di frutta rossa fresca e fiori, quale il Dolcetto di Ovada, il Colli Bolognesi Barbera o il Leverano Negroamaro. La cucina indiana In India il rispetto della sacralità della vacca conferisce al suo latte un posto di primo piano nelle preparazioni alimentari. Per questo nella cucina indiana è molto diffuso l’uso di panna, burro chiarificato, latte e yogurt nella preparazione delle pietanze. Insieme a questo, notevole è l’uso delle spezie, che possono essere radici, cortecce o semi, che conferiscono alle preparazioni il loro carattere tipico. Le spezie più comuni sono la cannella, il cumino, la senape nera, i chiodi di garofano, il peperoncino, lo zenzero e il coriandolo. Altro ingrediente che entra spesso in questa cucina è il panir, un formaggio fresco e leggero. Anacardi, pistacchi, mandorle e frutta secca in genere, che spesso si ritrovano nella cucina indiana, rappresentano un succedaneo della carne. Piatti speziati dunque, per la maggior parte accompagnati a diverse varietà di pane: i paratha, per esempio, sono pani molto sottili che si impilano come delle crêpes e si accompagnano con salse allo yogurt o al tamarindo. Pietanze molto diffuse anche nei ristoranti indiani presenti in Occidente sono sicuramente pesci e carni cotti nel tandoori, una sorta di forno, con cui si cucinano piatti cosparsi da una spezia dal colore ramato. Un tipo di preparazione che richiede una lunga marinatura in un mix di yogurt, limone e spezie. In una cucina così speziata, dove il latte e lo yogurt la fanno spesso da padroni, l’abbinamento più indicato sarà allora con vini rossi di buona struttura e corpo, morbidi e ben supportati dai tannini e dalla freschezza dell’acidità, e con un bouquet dagli intensi aromi di frutta rossa matura, fiori appassiti e spezie dolci, quale il Colli Orientali del Friuli Cabernet-Sauvignon, il Morellino di Scansano o il Cannonau di Sardegna. Le cucine esotiche sono in genere caratterizzate dall’uso di spezie che richiedono vini bianchi o rossi di grande identità territoriale, che si distinguono per le loro avvolgenti note eteree e di frutta fresca a bacca rossa, come il Morellino di Scansano DOCG. La cucina ebraica Questa cucina è caratterizzata dai limiti al consumo di certi prodotti imposti dalla religione, oltre che dall’obbligo di seguire precise norme. Oltre al divieto del consumo di carne di maiale e di altri animali, la cucina ebraica non può mischiare la carne al latte, deve utilizzare solo carne macellata con un taglio speciale, può impiegare solo pesci che abbiano pinne e squame. Entro tali prescrizioni la cucina ebraica si è sviluppata adattandosi agli usi locali di regioni assai lontane tra loro, tanto che sembra quasi impossibile parlare di caratteri tipici della cucina ebraica. Si possono individuare due filoni principali, che dividono gli ebrei in cucina tra Nord e Sud, quindi piatti askenaziti tipici del Nord Europa, e piatti sefarditi più caratteristici degli ebrei del Sud Europa. In Italia la cucina ebraica ha sviluppato un suo carattere specifico con consumo, soprattutto durante le festività, di piatti fritti, come carciofi fritti, melanzane fritte, spinaci fritti con i capperi, cardi fritti, pollo fritto e poi cappone con il melograno, lingua di vitello con le olive. Alimento principe delle comunità ebraiche della Pianura Padana provenienti dal Nord Europa sono poi le oche e gli insaccati d’oca, mentre caratteristici piatti delle comunità ebraiche di Roma e di Livorno sono la cervella saltata con i carciofi e i carciofi saltati con l’indivia. Diffuso anche il consumo della zuppa di lenticchie, condita con cumino, olio di oliva e limone, e quello della pasta secca o vermicelli che la comunità askenazita giunta nella piana del Po dalle valli del Reno e del Meno consumava con una salsa a base di aglio battuto. Si finisce con la cotognata, composta di mele cotogne, e il marzapane. Piatti tipici della cucina askenazita rinvenibili soprattutto nel Nord ed Est Europa sono il paté di fegato e il gefilte fish, la carpa ripiena stufata e aromatizzata con le mandorle, immancabile in ogni buon ristorante ebraico dell’Est. Una cucina quindi estremamente saporita cui possiamo abbinare vini bianchi di grande struttura e corpo, molto morbidi e freschi di acidità e con un bouquet dagli intensi aromi di frutta gialla, fiori di campo e vegetali, quale il Lugana Superiore, il Bosco Eliceo Sauvignon o il Contea di Sclafani Grecanico. La cucina del Maghreb Prescrizioni alimentari simili a quelle ebraiche si trovano nel Corano, che appunto vieta il consumo della carne di maiale e di altri animali. Inoltre la carne può essere consumata solo a patto che sia preventivamente sottoposta a un taglio rituale. L’importanza che la festa di Ramadan, o del “digiuno”, riveste per l’Islam è tale da influenzare la tavola musulmana nel suo complesso. Durante il Ramadan vi è la consuetudine di consumare la harira, una zuppa a base di lenticchie insaporita con cannella, zafferano e coriandolo, mentre alla fine del Ramadan piatto di consumo diffuso è il pollo con le mandorle o tajin t’faia che viene cotto con lo zenzero e decorato con uova allo zafferano. Altra pietanza che si lega a una festività, in particolare al giorno dell’Assunzione, e che per altro ritroviamo facilmente nei ristoranti nordafricani del mondo, è l’harissa, la minestra di frumento frullato con polpa di agnello, insaporita con cannella, sale e pepe, nero o bianco, e condita con olio. Sempre carne d’agnello anche alla base della zuppa di pane, o shurba al fata, che prevede l’aggiunta di riso al brodo di agnello e alla carne e fette di pane sul fondo fatte insaporire con burro fuso e battuto d’aglio. Diffusi nei relativi ristoranti etnici sono inoltre i taijne, piatti di carne in umido cotta nella tipica pentola conica di terracotta, e i couscous. In Algeria, Tunisia e Marocco, il couscous viene generalmente servito con verdure (carote, rape, ceci ecc.) lessate in un brodo più o meno piccante, e qualche tipo di carne o pesce in salsa agrodolce con uvetta e cipolle. Il tajine di agnello con prugne e mandorle e couscous aromatico è un piatto di origine araba, diffuso in Nord Africa e in particolare in Marocco. Deve il suo nome al tegame di terracotta in cui viene cotta la carne. Esso è composto da una parte inferiore piatta con bordi bassi e un coperchio a forma di cono: la forma del tajine è ideale per cotture lunghe e a fuoco basso, proprio perché il vapore che si forma al suo interno esalta i sapori degli ingredienti, donando alla carne un gusto intenso e caratteristico. In questa ricetta, i bocconcini di agnello ricavati dalla coscia vengono insaporiti con varie spezie: cannella, zafferano, curcuma e zenzero fresco. Le prugne vengono marinate nel succo d’arancia e conferiscono una piacevole nota agrodolce resa ancora più irresistibile dal gusto tostato dei filetti di mandorla. Per accompagnare questo piatto a base di carne dal sapore deciso, preparate un couscous aromatizzato da un mix di spezie tostate e un trito di prezzemolo e menta. Irrorate il couscous con il brodo vegetale e aggiungete una spolverata di scorza di limone. Con il tajine di agnello con prugne e mandorle e couscous aromatico porterete in tavola un tripudio di colori, odori e sapori mediterranei direttamente da casa vostra. Per esaltare ancora di più il gusto di questo piatto, servitelo con dell’ottimo tè verde! Il tajine è una pentola composta da un piatto e un cono: uno strumento di cottura di origine antichissima che possiamo trovare in terracotta smaltata, in ghisa e in porcellana. Il segreto della cottura del tajine è l’umidità che la pentola trattiene e che viene utilizzata per cuocere gli ingredienti. La cucina messicana Cucina coloratissima quella messicana, dominata dal rosso di pomodoro, peperoni e peperoncini vari. Si dice che si basi su tradizioni pre-ispaniche, combinate con lo stile culinario introdotto successivamente dai coloni spagnoli. Culla di pomodori, patate, mais e anche cacao, che da qui furono esportati in Occidente, il Messico porta alla massima espressione il gusto di tali ingredienti primari senza i quali forse anche la nostra cucina non avrebbe avuto futuro. Il piatto nazionale più famoso è il mole poblano, a base di tacchino e crema di cioccolato, più che altro una salsa aromatica preparata con diversi tipi di peperoncini tritati insieme a mandorle, pomodori, grani di sesamo, zucchero, uvetta secca, burro di arachidi. Vi sono poi le classiche tortillas, cibo ormai più internazionale della pizza, che si possono accompagnare a chili con carne, la carne tritata cucinata con cipolla, fagioli, pomodoro e peperoncino, e insaporite con il guacamole, immancabile crema di avocado. Il piccante in ogni modo è il tema dominante e nessun messicano anche fuori dal suo paese rinuncerebbe mai a insaporire qualsiasi piatto con una coda di peperoncino. Eppure non solo di piccante si tratta, visto che nel mole poblano il cioccolato viene utilizzato per temperare il pizzicore del peperoncino. E poi ci sono piatti agrodolci come il chile in Noagada, un grosso peperone piccante ripieno di carne trita cosparso di panna acida e melograno. Verso il Pacifico la cucina diventa di pesce con alcune ricette eccellenti come il pescado al mojo de ajo, a base di filetti di pesce grigliati con aglio e insaporiti con una salsa a base di aglio, olio e filetti di acciughe; oppure il pesce lasciato a marinare nel succo di pompelmo, impanato e poi fritto (pescado a la toronja). A una cucina così ricca e saporita possiamo pensare di abbinare vini rossi di buona struttura e corpo, morbidi e con tannini delicati, molto freschi di acidità e con un bouquet ricco di aromi intensi di frutta rossa matura, fiori e spezie, come il Trentino Cabernet-Sauvignon, il Montepulciano d’Abruzzo o il Costa d’Amalfi Ravello Rosso. La cucina messicana, piccante e saporita, in genere viene accompagnata dalla leggera birra locale, ma non disdegna un vino rosso dal profumo molto intenso con note di ciliegia e spezie dolci come il Barbera d’Alba Superiore. Brasile e Perù Carni, fagioli, peperoncini, pomodori, riso e patate sono ingredienti che caratterizzano tutta la cucina del Sudamerica, quindi anche Brasile e Perù. Piatto tipico del Brasile è la feijoada, riso e fagioli neri a cui si aggiunge carne di maiale e di manzo, fatta stufare a fuoco molto lento in pentole di argilla e accompagnata con pancetta. Nelle tipiche churrascarie si comincia con antipasti freddi e caldi al buffet per finire al tavolo con carne di tagli e provenienze diverse cotta alla brace e servita su uno spiedo che il cameriere affetta al momento direttamente nel piatto. Una cucina di questo tipo amerà vini rossi di corpo pieno e robusto, molto morbidi e caldi di alcol, un poco tannici e freschi di acidità e con un bouquet molto intenso di aromi di frutta rossa matura, fiori e spezie, quale il Colli Berici Merlot, il Torgiano Rosso o il San Vito di Luzzi Rosso. Piatto nazionale peruviano è invece il cheviche a base di filetto di pesce freschissimo marinato con il succo del lime, cipolla tagliata sottilissima e un pizzico di ajì, nome di un particolare e potentissimo peperoncino peruviano. Possiamo tentare di abbinare a questo piatto un vino bianco giovane, non affinato in barrique, molto morbido quale ad esempio l’Alto Adige Chardonnay, ma nessun vino potrà sostituire in abbinamento al cheviche la bevanda nazionale, il Pisco. La cucina giapponese Culla di una visione estetizzante del mondo, anche sulla tavola il Giappone non si smentisce. Gli ingredienti di base della cucina giapponese, che è assolutamente unica nel panorama delle cucine orientali, sono assai semplici: riso, pesce, frutti di mare, verdure, carne di pollo e maiale. A dominare sono le salse come il soyu e il miso, mentre la tempura, il leggerissimo fritto di gamberi e verdure, accompagna un mix elaborato a partire da brodo di pesce, mirin – sorta di sake dolce da cucina – soyu, rafano, zenzero e zucchero. Altro piatto tipico è il pesce crudo, le cui combinazioni più famose sono il sushi, pesce crudo di diverse qualità tagliato abbastanza finemente e adagiato sul riso bollito condito con l’aceto, e il sashimi, cioè tagli di pesce crudo più spessi serviti con soyu, ma anche wasabi, la salsa di rafano. Altra specialità sono le zuppe che vengono servite in ciotole laccate con il coperchio: tra le più famose quella a base di miso (una pasta a base di soia, orzo e riso) e la dashi a base di alghe kombu e fiocchi di pesce secco. A una cucina così caratteristica e delicata, oltre al classico tè, si può pensare di accompagnare un vino bianco di media struttura e corpo, molto morbido e di adeguata freschezza e con un bouquet ricco di aromi fragranti di frutta fresca e fiori, quale il Collio Ribolla, l’Orvieto o il Monreale Grillo. La cucina vietnamita La cucina del Vietnam riflette non solo la sua posizione geografica, ma anche i contatti del paese con altre culture nel corso dei secoli. Dalla Cina del Nord arrivarono l’uso delle bacchette, l’arte di saltare in padella nel wok caldo e il consumo diffuso di tagliatelle. Dalle strade di Parigi arrivavano baguette (banh mi) e paté appena sfornati oltre all’arte del soffritto e all’uso di carni sostanziose come il manzo. Nonostante queste influenze, la cucina vietnamita ha mantenuto un proprio carattere distintivo. E grazie all’abbondanza di ingredienti freschi locali, ha formato il proprio sapore e sfumature con sapori e colori meravigliosamente contrastanti. In sintesi, la cucina vietnamita cerca di combinare fragranze, sapori e colori, basandosi sulla filosofia dei cinque elementi. Molti piatti hanno in sé i cinque sapori fondamentali (ngũ vi.): piccante (metallo), aspro (legno), amaro (fuoco), salato (acqua) e dolce (terra), che corrispondono ai cinque organi (ngũ ta.ng): cistifellea, intestino tenue, intestino crasso, stomaco e vescica urinaria. Comprende poi cinque tipi di nutrienti (ngũ chât ): polvere, acqua, elementi minerali, proteine e grasso. Infine nei piatti cerca di mostrare cinque colori (ngũ săc): bianco (metallo), verde (legno), giallo (terra), rosso (fuoco) e nero (acqua). Il pho è una zuppa di spaghetti vietnamita. Viene servito in una ciotola piuttosto grande e si utilizzano noodle/spaghetti di riso cotti di solito in brodo di manzo, con piccoli pezzi di manzo, meno frequente è il pho con pollo. In tavola il pho viene servito con una serie di verdure crude da mangiare con la zuppa e salse varie. Tra le verdure vi sono basilico thai, peperoncino thai, cipollotti, cipolle bianche, coriandolo, germogli di soia o di vigna radiata, oltre a limone o lime tagliato a metà da spremere sulla zuppa. Tra le salse vi sono quella di pesce, la piccante sriracha, salsa o olio con peperoncino, salsa hoisin. Questa zuppa non richiede l’abbinamento con il vino né con altre bevande. Il pho, zuppa vietnamita di spaghetti di riso, di solito cotti in brodo di manzo. La cucina cinese Innanzitutto occorre precisare che non esiste una sola cucina cinese. Basti pensare alla vastità della Cina e alla diversificazione territoriale. Una cosa piuttosto curiosa è che la cucina cinese, a differenza di altre cucine orientali, è priva di restrizioni a carattere religioso. Le varie scuole di cucina si possono suddividere in quattro correnti principali: cucina del Nord, cucina del Sud, cucina dell’Est e cucina dell’Ovest. Prenderemo in considerazione un solo tipo di cucina, quella del Nord, detta anche cucina pechinese, che si contraddistingue per l’influenza mongola privilegiando la carne di montone e di capra speziate rispetto a quella di maiale; stranamente usa poco il riso. Il piatto tipico può essere considerato l’Anatra laccata alla pechinese. Altro piatto famoso di questa vasta zona è l’hot pot, un piatto preparato con fette molto sottili di vari tipi di carne che vengono posti in acqua bollente insieme a molti tipi di verdure fino a quando non raggiungono la cottura; vengono poi mangiate insieme a salse molto particolari. L’Anatra laccata alla Pechinese è uno dei piatti più famosi di Pechino: si usa la legna di giuggiola per arrostire l’anatra ad alta temperatura per 70 minuti. Lo chef affetta l’anatra arrosto davanti al tavolo del cliente. La pelle d’anatra croccante, tradizionalmente, la si può mangiare con zucchero bianco arrotolando la carne con una frittella molto sottile, ripiena all’interno di piccoli condimenti, come una salsa dolce a base di farina fermentata, cipolla verde cinese affettata, cetriolo fresco affettato e strisce di haw (frutto dal sapore dolce-acido). Tra gli ingredienti fondamentali dell’Anatra alla pechinese ci sono le cinque spezie. Questo tradizionale miscuglio della cucina cinese – ma presente anche in altre culture gastronomiche, come quella vietnamita – è normalmente composto di anice stellato, pepe di Sichuan, chiodi di garofano, cassia e semi di finocchio. I migliori abbinamenti per l’Anatra alla pechinese sono il Pinot Nero dell’Alto Adige e alcuni vini rossi molto fruttati quali il Nero d’Avola prodotto nelle numerose denominazioni siciliane. La cucina thailandese La cucina thailandese viene considerata una delle migliori del mondo e anche una delle più variegate e raffinate d’Asia. Il suo cibo è conosciuto per l’equilibrio dei quattro sapori fondamentali, aspro, dolce, salato e amaro, che si trovano in ciascun piatto o, in generale, per l’intero pasto. Mischiando i diversi elementi delle tradizioni del Sud-Est Asiatico, la cucina thailandese dà enfasi a piatti leggeri con forti componenti aromatiche. La componente principale è il riso, che ha storicamente un ruolo centrale nella cultura del paese e che viene servito in una grande ciotola per accompagnare diverse pietanze, tutte insieme, a eccezione dei dolci. Tra gli ingredienti principali della cucina thailandese c’è il pesce, che al pari del riso rappresenta il pilastro della gastronomia locale. I sapori della cucina thai derivano anche dalle spezie che vengono utilizzate; tra le più caratteristiche vi sono il basilico sacro, il basilico thai, il coriandolo e il peperoncino thai. Altri ingredienti vegetali importanti sono aglio, scalogno, citronella, pandan e taro. Sebbene i piatti di pasta in Thailandia siano stati influenzati dagli immigrati cinesi nel paese dalla metà del XVII secolo, sono stati adattati in modo variabile al palato thailandese. In effetti, il pad thai e altri piatti di pasta saltati in padella come il mi krop potrebbero essere citati come aventi un grado relativamente alto di Thainess nell’uso di salsa di pesce, succo di tamarindo e zucchero di cocco nella salsa di base, e che sono serviti con verdure fresche e condimenti come zucchero, lime, salsa di pesce e peperoncini secchi macinati. Il pad thai è uno dei piatti più famosi. Si prepara esclusivamente con tagliatelle tailandesi (pad), germogli di fagioli, gamberetti di medie dimensioni o aragoste, gamberetti essiccati (piccoli), uova fresche, tofu duro, foglie di erba cipollina, ravanello sottaceto, arachidi tostate macinate, olio di palma, lime, erba cipollina, fiore di banana giovane, zucchero di palma, salsa di pesce, succo di tamarindo e peperoncino rosso secco tostato macinato. Il pad thai, uno dei piatti più famosi della cucina thailandese. La cucina coreana La cucina coreana trova le sue origini nelle tradizioni preistoriche della penisola, evolvendosi attraverso una complessa interazione di accadimenti ambientali, politici e culturali. Essa si basa in gran parte sull’utilizzo di riso, verdure e carne. I pasti coreani tradizionali si distinguono per il gran numero di contorni (banchan) che accompagnano il riso a grano corto cotto al vapore mentre ad ogni pasto è servito il kimchi: cavolo napa e ravanelli coreani fermentati con spezie, peperoncino in polvere, scalogno, aglio e zenzero e frutti di mare salati. Ingredienti comuni della cucina coreana sono l’olio di sesamo, il doenjang (una pasta di soia fermentata), salsa di soia, sale, aglio, zenzero, coriandoli, peperoncino e il gochujang, un condimento a base di peperoncini piccanti fermentati. I piatti e gli ingredienti variano a seconda delle province coreane. Il riso è utilizzato in tutto il paese per la preparazione di diverse pietanze, oltre alla tradizionale scodella di riso in bianco. È abitualmente tritato finemente e utilizzato per fare torte di riso, chiamate tteok, in oltre duecento varianti. Viene anche cotto per ottenere il congee (juk) o una zuppa chiamata mieum e mescolato con altri cereali, carne o pesce. Per via della presenza degli oceani che bagnano la penisola di Corea, il pesce e i frutti di mare sono una componente importante della cucina nazionale. Sia il pesce d’acqua dolce che quello d’acqua salata sono popolari e vengono serviti crudi, grigliati, essiccati o come ingredienti di zuppe e stufati. La carne di manzo è la più pregiata di tutte le carni, e il bestiame occupa un ruolo culturale di rilievo nella famiglia coreana. La carne di manzo è diventata di consumo quotidiano solo nell’ultima parte del XX secolo; viene cucinata in diversi modi e generalmente è arrostita, grigliata (gui) o bollita per preparare le zuppe guk. Viene anche privata del grasso, tagliata a fettine e disidratata per preparare il jerky (yukpo). Uno dei piatti più diffusi è il neobiani, a base di carne di manzo a fette sottili, marinata e grigliata. La cucina coreana fa uso di una grande varietà di verdure, che vengono spesso servite crude sia in insalata che sottaceto, sia cotte in vari stufati che rosolate. L’abbinamento più apprezzato con la cucina locale è il makgeolli, una bevanda alcolica a base di vino di riso crudo. Ha un colore bianco con sfumature grigie, è leggermente frizzante e ha una leggera viscosità. Il sapore è leggermente dolce, piccante, amaro e astringente. Per la sua bassa gradazione alcolica, dal 6 al 9% in volume, è considerata una “bevanda comune” piuttosto che un superalcolico.