Tra il gusto delle parole
e le parole del gusto

Dialogo in Re maggiore tra Gualtiero Marchesi e Giuseppe Vaccarini


Gualtiero Marchesi Quando ho iniziato a lavorare avevo diciassette anni, ero commis (aiutante) in Svizzera e il mio chef de rang (capo cameriere), quando se ne andò, neanche mi salutò. Questo perché io volevo conoscere e lo tempestavo di domande alle quali spesso lui non sapeva rispondere. Così, per prenderlo in giro, gli dicevo che “non sapeva”. Io sono quello dei perché. Per esempio chi sa perché la forchetta ha quattro rebbi lunghi? Perché mangi gli spaghetti, altrimenti a cosa servono quattro rebbi lunghi? Allora ho deciso di fare la forchetta con i quattro rebbi corti.


Giuseppe Vaccarini È lo stesso principio teorico da cui nasce questo libro. La mia idea è quella di cogliere il perché ultimo di certe scelte di abbinamento andando alla radice dei sapori e dei gusti, delle sensazioni gusto-olfattive che motivano la preferenza di un vino piuttosto che di un altro. Per questo a cappello di ogni capitolo del libro mi soffermo su ciò che gusto-olfattivamente a livello generale i diversi alimenti sono capaci di farci sentire. Poi entro nel dettaglio dei singoli prodotti che in base alla loro natura richiederanno altri tipi di abbinamento, più specifici. Ogni scelta ha una sua precisa ragion d’essere e questa non deve rimanere implicita né tanto meno frutto apparente di motivazioni misteriose.


G.M. Dal punto di vista del cuoco posso dire che i piatti subiscono sempre delle interpretazioni, il problema è però riuscire a spiegare le cose. In genere, pochi spiegano perché pochi sanno. E quindi un libro come il tuo, così analitico e puntuale, è molto importante, anzi direi necessario se si vuole cominciare a capire.


G.V. Andare alla radice delle cose, questo è fondamentale in tutto. Anch’ io, a scuola, quando spiego un argomento ai miei studenti dico sempre che devono porsi delle domande su tutto, devono cercare di conoscere il perché delle cose. Per portare i piatti in tavola o stappare una bottiglia di vino non è necessario andare a scuola! Andare a scuola ha molto più a che fare con il processo educativo che a sua volta ha molto più a che fare con un risveglio della curiosità verso tutti gli aspetti della realtà.


G.M. Ci sono tanti quesiti che, sollecitando la nostra curiosità, ci aiutano a comprendere i motivi profondi degli abbinamenti e delle scelte culinarie. Per esempio perché l’Italia è il Paese degli amari? Perché beviamo amaro? E poi, ancora, perché al Nord si preferiscono i caffè più acidi, mentre al Sud vengono commercializzati più tostati? La tostatura toglie l’acido, mentre lascia emergere l’amaro. Così ho scoperto che la cucina del Sud è più dolce di quella del Centro, ma dolce in modo diverso rispetto a quella del Nord dove compare il burro al posto dell’olio, e che è fondamentalmente dolce nel concetto generale. Ho pensato allora che il caffè amaro, che per essere armonico deve venire zuccherato, corrispondesse a un’originaria e tipica esigenza del gusto meridionale.


G.V. Seguendo questa stessa filosofia nel libro racconto che molti abbinamenti hanno un’origine locale, per esempio il pecorino toscano ben maturo vuole il pane insipido di quelle zone, i formaggi a pasta semicotta, molli e ben stagionati come il taleggio, prediligono un pane di buon assorbimento, come la michetta lombarda. C’ è un perché nelle predilezioni del gusto che spesso rintracciamo in sedimentate tradizioni locali.


G.M. Facevamo fatica ad andare d’accordo io e te nel senso che quando io componevo i menu tu mi dicevi “ma se fai i menu così a sbalzi, come faccio a fare gli abbinamenti?”. In effetti ti capisco ed è difficile seguire con il vino. Allora adesso, quando compongo i menu, inserisco anche l’acqua minerale. Il cliente non è sempre obbligato a bere il vino. Se presento un branzino tagliato sottile crudo, e accanto verso una zuppa di finocchi, io non bevo niente… e poi ci sono dei piatti che chiamano l’acqua frizzante, per togliere alcuni grassi e pulirti la bocca, altri l’acqua piatta.


G.V. Oggi il sommelier non solo consiglia i vini che meglio valorizzano i piatti del menu, ma deve anche sapere come abbinare le acque sia alle pietanze sia in funzione dei vini che verranno serviti. La regola del crescendo quando si tratta di bottiglie non ha più un’ imprescindibile ragion d’essere come succedeva un tempo per la vecchia sommellerie, consigliare le bevande è oggi molto di più una questione di sensibilità, di lavoro con il cuoco accanto alle sue creazioni. Per questo è necessario che il sommelier sappia riconoscere che in certi casi si può anche decidere di tralasciare il vino per qualche altra bevanda, un distillato per esempio.


G.M. C’è un esempio bellissimo che viene da Bach che diceva “non è importante come tocchi il tasto perché io ho già fatto tutto nella composizione”. Qui c’è tutto: se tu crei un menu corretto, un contrasto di un piatto dopo l’altro, stimoli il gusto. Se invece servi, per esempio, un risotto e poi un pollo alla crema, capisci quanto diventi monotono, quanto pesante… Quello che voglio è far apprezzare le cose, poi andiamo pure sul vino; intanto devono apprezzare il piatto e poi il vino in maniera che le apprezzino tutte e due vicine ma non contemporaneamente.


G.V. In quello che tu dici c’ è qualcosa che stimola il sommelier a un tipo nuovo di lavoro. Noi sommelier spesso partiamo dall’ idea che le sensazioni del piatto e del vino debbano fondersi in un tutto unico da cui si produce un’ulteriore e più profonda sensazione rispetto a quella che è data dalla scomposizione dei due elementi e questo è vero e succede. Nel libro ogni suggerimento di abbinamento nasce dalla considerazione profonda della complementarità gusto-olfattiva di cibo e vino, ma proprio tutto questo lavoro preventivo sulle sensazioni dice, innanzitutto, che occorre cominciare dalla sinfonia che si desidera ottenere. Da quello che il cuoco vuole comunicare ai suoi commensali. L’ordine della composizione che sta prima di ogni cosa dice al sommelier come deve procedere. Partire quindi da ciò che si ha in mente in cucina è fondamentale.


G.M. E qui torniamo alla ragione delle cose, se c’è un motivo nelle cotture, c’è una ragione per ogni abbinamento. Se tu sai che quando metti una padella sul fuoco c’è un rapporto tra lo spessore della padella e l’intensità del fuoco e individui questo punto cardine, vuol dire che tu conduci le cotture in maniera perfetta. 

Capire partendo dai perché è un fondamentale strumento di libertà, nella vita e in cucina.