Una storia tormentata, un continuo oscillare tra grandi speranze e catastrofi imminenti, persone straordinarie e circostanze irripetibili. Ma diciamolo, lo Champagne, alla fine, vogliamo berlo e, se tutta la sua storia dà alle nostre libagioni qualcosa che nessun altro vino può dare, è anche vero che poi è il gusto quello che conta. Sappiate che il gusto, in 300 anni di storia, è cambiato moltissimo e, in queste righe, vogliamo provare a degustare gli Champagne del passato, come un viaggio nel tempo.
Il primo
Prima tappa nel 1670 o giù di lì; lo Champagne era ancora un vino misterioso e bizzarro, che pochissimi potevano e volevano bere, le bollicine mettevano
paura e dovevano essere particolari, probabilmente non avevano nulla a che vedere con quelle di oggi. Le bottiglie non si usavano, il vetro soffiato non
poteva reggere alcuna pressione e la fermentazione avveniva in barili di legno chiusi. Le uve, rosse e bianche senza distinzione, fermentavano
liberamente, filtrazione e travasi erano concetti aleatori. L’igiene non era proprio una priorità, i lieviti (trasformavano lo zucchero in alcool e
anidride carbonica) erano delle più diverse etnie e le temperature erano totalmente incontrollate.
Non è, credetemi, un panorama così tragico, molti ottimi vini biodinamici dei nostri giorni vengono prodotti in modo simile, ma oggi sappiamo
esattamente cosa succede e possiamo controllare i risultati e replicarli. Il risultato, quasi sempre, era un vino marroncino, torbido, con
l’effervescenza di un acqua gasata aperta da due giorni, dall’acidità roboante e secchissimo. Che non incontrasse i favori del pubblico era
comprensibile.