Gli abbinamenti...Intreccio di emozioni La degustazione LO CHAMPAGNE SIMBOLO DI DIVERSITÀ Apprezzare lo Champagne Ciò che rende lo Champagne differente da tutti gli altri vini è l’assemblaggio, pensate che otto bottiglie su dieci sono “Brut sans année”, cioè ottenute assemblando vini ricavati da uve, territori e annate differenti. Detto in altre parole, nella stessa bottiglia sono assemblati decine di vini che differiscono per vitigno, zona e annata. Se consideriamo che in Champagne esistono 329 cru (o comuni) e che in ognuno di essi si coltivano tutte e tre le uve di Champagne, che si vinificano separatamente non solo i cru, ma anche i più preziosi tra le migliaia di appezzamenti, chiamati “lieu dits”, si capisce facilmente che le combinazioni sono illimitate. L’assemblaggio è necessario a tuti i livelli: grandi Maison, cooperative e recoltant non possono farne a meno. Vediamo in pratica cosa succede immaginando, per un attimo, di essere uno Chef de Cave; dobbiamo creare uno Champagne partendo dai vini fermi dell’ultima annata presenti in cantina che andranno assemblati per creare la cuvée. Poi imbottiglieremo il nuovo vino ottenuto con zucchero e lievito e attenderemo almeno 2 anni affinché si sviluppi la seconda fermentazione cosicché tutti gli elementi riescano ad amalgamarsi alla perfezione. Iniziamo con una base di Chardonnay di Avize, la cui caratteristica principale è di essere teso e minerale, giusto per dare un’impronta dinamica al nostro prodotto. Ma, pur essendo Avize un grand cru tra i più pregiati, la spumantizzazione dei suoi vini da soli, almeno in certe annate, rischierebbe di dare un risultato monocorde. Quindi, per compensare i suoi punti di debolezza andiamo a cercare un altro Chardonnay, questa volta più a sud, nella Côte de Sézanne, per completare con la sua matura carnosità l’essenzialità di Avize. Ci servirà anche il frutto, e lo troveremo dentro a un Meunier di Courmas, sorridente e sensuale; rifinirà il quadro un Pinot Noir di Riceys, leggero e un po’ esotico, raccolto nell’estremo sud della Champagne. Ora è indispensabile dare più struttura, cosa che faremo con Pinot Noir cercandolo ad Ambonnay, dove lo troveremo intenso e monumentale, da usare però in modica quantità. Visto che manca ancora un po’ di precisione e di rigore, torneremo ad Avize, per usare la nostra preziosa riserva di Chardonnay 2008. Finiremo con le note eleganti, profonde e intense regalate da dosi omeopatiche del Pinot Nero di Ay del 2002. Questo, per sommi capi il processo, anche se nella realtà si utilizzano molti più vini, che potrebbero portare all’elaborazione del Brut sans année per una grande Maison o una grossa cooperativa; le due entità, detto per inciso, messe assieme, rappresentano il 75% della produzione totale di Champagne. Un capitolo a parte lo meritano i recoltant, cioè i contadini che, potendo vinificare solo uve di proprietà, hanno possibilità ridotte di assemblaggio, visto che solitamente attingono grappoli da un territorio limitato. Per loro, più che la creazione di un proprio stile, il lavoro di assemblaggio, seppur irrinunciabile, sarà votato a cercare un’interpretazione del territorio dal quale provengono le uve. Questo breve discorso non vuole esaurire tutta la discussione sull’assemblaggio ma serve a far capire quali e quanti siano gli elementi che determinano il gusto dello Champagne. Quando lo beviamo ci approcciamo sempre a un prodotto di grande complessità, molto stratificato, che può essere apprezzato a più livelli, ma la cui chiave di lettura non può essere la stessa di altri vini, vediamo il perché. Lo Champagne è il simbolo della diversità, attraverso l’assemblaggio se ne possano creare di innumerevoli, tant’è che ne esistono in commercio circa 10 mila, ognuno di loro realizzato con uno stile, un gusto e un pubblico specifico. Che senso avrebbe confrontare prodotti così differenti? Con altri vini è molto più semplice, in fondo le grandi denominazioni sono legate a un territorio piuttosto ristretto, un vitigno e un metodo di vinificazione semplice. Ne risultano vini dove le diversità sono nei particolari e sovente vengono fatte dalla singola parcella di terreno o da accorgimenti in vinificazione. Il confronto ci sta: il vino “A” contiene note più speziate e il tipico aroma di rosa canina della sottozona “X”; nel vino “B” si sente l’uso del tonneau mentre lascia perplessi l’assenza di malolattica e così via… Prodotti con caratteristiche abbastanza simili che tendono a un ideale abbastanza definito. In Champagne scordatevi tutto questo, per il semplice fatto che non può esistere un ideale comune. Anche se dovessimo mettere a confronto due Brut s.a. di due grandi Maison, con le stesse percentuali di uve, troveremmo differenze notevoli, poiché ognuna di loro insegue un ideale di gusto e di stile diverso. In mezzo a questo ragionamento si sarà capito che, non amando il confronto, rimango ancor più refrattario a dare voti agli Champagne. Se provate a sfogliare le varie guide e articoli sull’argomento, vi accorgerete che i voti vanno mediamente da 85/100 a 95/100, con qualche outsider sia in alto che in basso, con il 90 che fa quasi sempre da spartiacque fra i top e gli altri. Dopo tanti anni ancora non riesco a spiegarmi il senso del voto, dov’è quel centesimo che ti fa andare da 95 a 96 e finire nell’Olimpo degli immortali? Perché devo considerare uno Champagne valutato 85 come inferiore a uno da 89? Se io creo uno stile è ovvio che mi rivolgo a persone che amano quello stile e non a tutti. Se produco 10 milioni di bottiglie, cercherò uno stile più comprensibile, fossero invece 10 mila potrò anche cercare qualcosa di molto sofisticato. Ma per quali motivi dovrei dare 86 al mio Champagne “popolare” frutto di un lavoro impegnativo, investimenti e scelte spesso coraggiose e 96 alla Cuvée Prestige, top di gamma della grande Maison, prodotta in poche bottiglie e venduta a un prezzo elevato? Lo Champagne è come un profumo o un vestito, deve avere uno stile, un taglio adatto a noi, alla nostra personalità e al nostro modo di sentire: siamo e saremo sempre noi gli unici giudici. Da questa affermazione Serve quindi costruire una sensibilità per poter capire non solo se uno Champagne ci piace, ma anche perché ci piace. Il primo passo per creare una sensibilità è scegliere una scala di valori e abbiamo visto che la complessità dello Champagne consiglia di evitare un approccio analitico, come lo snocciolare cinquanta aromi diversi (le accademie li chiamano “descrittori”) possibilmente dai nomi inconsueti, come anche fare la caccia al tesoro cercando di indovinare i vitigni, il dosaggio e addirittura i cru. 1 1 Il Brut sans année, abbreviato in s.a., essendo prodotto con vini di diverse annate non può avere l’annata in etichetta. Di solito quando si dice solo “Brut” è sottinteso il fatto che sia s.a. Abbiamo detto che stappando non si beve solo lo Champagne ma si vive un istante speciale… e allora descriviamo l’istante! Starà a noi trovare quali emozioni ci richiama quello Champagne in quel momento: Non importa quello che troviamo noi nello Champagne ma cosa trova esso dentro di noi Questo è il punto chiave, dove può cambiare la nostra percezione, perché la valutazione oggettiva scompare e la descrizione serve solo a dare una forma alle emozioni. Potremo finalmente apprezzare lo stile e la personalità che il produttore gli ha voluto dare e giudicare secondo i nostri parametri. E, cosa importante, potremo anche non apprezzare, nel senso che lo stile di quello Champagne non ci farà provare nulla di interessante, ma sarà unicamente una nostra percezione. L’idea di partenza, solo leggermente rielaborato, è uscita alla fine degli anni ’80 del secolo scorso, dalla mente di due tra i più grandi Chef de Cave: il compianto Daniel Thibaut e Thierry Gasco, che hanno sviluppato il diagramma illustrato nelle pagine successive. Questo schema, senza la pretesa di incarnare alcuna “Verità Assoluta”, potrà rivelarsi utilissimo a tutti per raccontare e capire lo Champagne e sarà compagno da qui alla fine del libro per giocare anche con la cucina. È semplice: ci sono quattro parametri base e la combinazione di questi parametri ci aiuta a capire la personalità dello Champagne. : è la parte concreta, il peso, l’intensità, è quello che sentite fisicamente, legato alla presenza e all’immediatezza. Corpo : è il dinamismo, la capacità di uno Champagne di muoversi, di cambiare passo e rilanciare con gli aromi, è la freschezza e la pulizia. Spirito : sentimento, capacità di evocare, di avvolgere, di coccolare. Cuore : è la profondità, la ricchezza di percezioni che non riesci a descrivere, la sensazione che ti rimane dopo aver bevuto. Anima Ora, conosciute le basi, basta metterle in pratica e, per farlo al meglio, è indispensabile avvicinarci al bicchiere per provare a “sentire”. Allora chiudiamo gli occhi e lasciamo che i profumi ci raccontino qualcosa, cerchiamo di capire se sono intensi, avvolgenti, diretti, delicati, profondi e, mi raccomando, non soffermiamoci troppo ad annusare, ricordiamoci che lo Champagne viene fatto per essere bevuto. Sempre a occhi chiusi, beviamo e sintonizziamoci sulla percezione tattile, amplificata dall’effervescenza. Sentiamo come si comporta, se entra in modo ampio e orizzontale, oppure attraversa il palato in modo lineare, se in bocca si muove oppure è indolente. E poi gustiamo, guardando dove l’insieme della sensazioni ci porta. Un grande vino è in grado di far viaggiare, di portare, anche solo per un momento, in un luogo del mondo o della tua vita, non lo fanno solo le madeleine di Proust… Magari traghetterà nella sensazione di un mezzogiorno estivo, dove tutto emana calore ed energia, oppure nel crepuscolo autunnale in campagna, con l’aria umida e con un sentore affumicato dato dal fuoco del camino. Sono solo esempi, ma ognuno potrà vagare in base al suo vissuto e al suo animo. Adesso possiamo aprire gli occhi e dialogare con chi ci sta vicino: lo Champagne non è, in linea di massima, vino da bersi in solitudine. Ci mostra in parti uguali carnalità e dinamismo? Sarà uno Champagne di charme. È vivo, energico ma morbido e avvolgente? E se volessimo spingerci oltre pensiamo a come potrebbe essere lo Champagne immaginariamente creato all’inizio del capitolo: la base era Avize, teso, intenso, sapido, tutto dalla parte dello spirito, riequilibrato però dal frutto del Meunier e dalla carnosità Chardonnay. In aggiunta le vecchie annate di vini di riserva, un Avize 2008 che vira verso l’anima, mentre l’Ay del 2002 è puro cuore. Abbiamo creato uno Champagne passionale, vivo e intenso ma con la compostezza che viene con la maturità. Il gioco è divertente, per nulla complicato e può aiutarci a migliorare le nostre percezioni. Ma non finisce qui, nel prossimo capitolo esamineremo nel dettaglio queste sensazioni e vedremo come siano perfettamente applicabili alla cucina. Dopo tutto questo bere, qualcosa sotto i denti si dovrà pur mettere… ma senza spezzare l’incantesimo!