La storia...Tra realtà e leggenda Prima e dopo la Rivoluzione LO CHAMPAGNE IN UN MONDO CHE CAMBIA Basta ch’el büscia 1 Siamo solo agli inizi… e il tempo di Filippo d’Orleans durò solo otto anni, visto che subentrò Luigi XV ancora tredicenne ma legalmente pronto per regnare. Oramai la bevanda effervescente aveva raggiunto una grande popolarità a corte, i erano tenuti regolarmente nelle stanze di Versailles, e lo Champagne era riuscito a farsi conoscere anche fuori da questi discutibili eventi mondani. Nel 1728 il Re emanò una legge fondamentale per il futuro dello Champagne. Fino a quell’anno il trasporto dei vini poteva avvenire esclusivamente in barili per motivi di controllo fiscale, visto che le tasse sul vino erano molto alte e avevano un ruolo importante sul bilancio dello stato; si può ben capire, però, che un vino spumante, trasportato in botti, non avrebbe mai potuto avere un gran successo commerciale. Viaggiare per un centinaio di km da Reims a Parigi su un carro trainato da cavalli avrebbe fatto perdere effervescenza e appeal anche al più esuberante degli Champagne. La nuova legge invece permetteva il trasporto in bottiglie, dando finalmente la possibilità di consumo anche a chi non gravitava negli ambienti di corte, dove le bottiglie arrivavano senza problemi, in barba alle leggi. Sulla Marna si cominciò a fiutare aria di business: quel vino problematico, frizzantino e capriccioso, che per tanti anni aveva dato grattacapi poteva diventare una risorsa. L’ostacolo grosso a uno sviluppo redditizio della nuova bevanda era proprio la sua imprevedibilità! Pasteur scoprì che la fermentazione era controllata da alcuni tipi di batteri solo nel 1850, ma, fino a quella data, si brancolava nel buio. Si sapeva solo che raccogliendo l’uva abbastanza acerba e imbottigliando al cessare della prima fermentazione, c’erano buone possibilità di ottenere l’effervescenza. Ma il clima da quelle parti era sempre capriccioso, come peraltro lo è anche oggi. Così le annate variavano moltissimo, determinando inesorabilmente la quantità di bollicine. In alcuni anni si producevano vini appena frizzanti, mentre in altri la fermentazione diventava quasi esplosiva. Quando accadeva, “i botti” non erano da intendersi in modo tanto figurato, tenendo conto che dal 20 al 50% delle bottiglie esplodevano prima di arrivare in tavola con anni in cui si arrivava anche all’80% di perdite. Visto il rischio era normale lavorare in cantina bardati come guerrieri medievali, sempre dotati di una maschera di ferro d’ordinanza. Produrre Champagne è sempre stato un mestiere decisamente usurante... Non mancavano nemmeno gli sperimentatori che ritenevano di avere trovato modi infallibili per ottenere vini spumanti. E così via all’aggiunta di allume, rabarbaro, alcool, decotti di vario tipo, fino agli escrementi di piccione. E qui meglio fermarsi. Come avrete notato, la parola qualità non è ancora comparsa in questa trattazione; infatti non era richiesta, bastava che la spuma fosse abbondante e lo Champagne era pronto. Alcune note di degustazione dell’epoca, quando nelle valutazioni si andava al sodo, sono assai eloquenti. Per esempio, Malavois de la Ganne, nel 1740, scrive: “ ”; mentre l’Abbé Bignon lo definisce: “ ”. Insomma, vino forse per edonisti ma non intenditori. petit soupers Il vino è di un’acidità che non si può descrivere Aceto spumante 1 Basta che sia frizzante, in vernacolo milanese. Inizia il business Il mercato comunque esisteva e, nel 1729, appena la legge consentì il commercio delle bottiglie, nacque la prima Maison di Champagne. E fu Nicolas Ruinart, ricco commerciante tessile, nipote di Dom Thierry Ruinart (monaco benedettino grande amico indovinate di chi?), a dare il via al business. Un inizio comunque soft, tant’è che nei primi dieci anni di attività, nel suo libro giornale, furono registrate più vendite di tessuti che di Champagne. Non furono in molti a seguirlo nell’avventura imprenditoriale, perché l’attività richiedeva notevoli investimenti senza garantire successo! Lo Champagne rimaneva un vino ancora per pochi, vuoi per le peculiari qualità organolettiche (le bollicine non erano ancora apprezzate universalmente e il gusto spesso lasciava a desiderare), vuoi perché costava davvero uno sproposito: alcuni documenti dicono che per una bottiglia, nemmeno di quelle più rinomate, occorresse l’equivalente di quattro giorni di uno stipendio medio. È curioso constatare che erano in commercio diverse tipologie di champagne ma nessuna d’esse aveva in etichetta la dicitura “Champagne” Anzi, non c’era nemmeno l’etichetta. D’altronde non esistevano ancora le enoteche, le vendite erano sempre dirette, dal produttore al consumatore e non c’era rischio di sbagliarsi. L’unica possibilità di riconoscimento era legata al tappo, sempre marchiato con nome o simbolo del produttore. Quello che contava era il cru. Tra i più gettonati Sillery, Hautvillers, Ay, Bouzy e soprattutto il nome del produttore che era sempre il nome di una famiglia: più alto era il lignaggio della famiglia maggiore era la qualità percepita (e il prezzo). Comunque si cominciò… piccole produzioni ma apprezzate da una clientela costante, per di più anche il successore di Luigi XV che, manco a dirlo, si chiamava Luigi XVI, continuò a bere bolle! Presto però si trovò ad affrontare problemi molto seri: nel 1789 scoppiò la Rivoluzione Francese. Abbiamo visto come la nascita dello Champagne sia stata frutto di una serie di circostanze particolari: la preferenza di Luigi XIV per i vini della zona, l’inventiva di Dom Pérignon per migliorare i medesimi, l’avvento di Filippo d’Orleans alla reggenza che sdogana lo Champagne a corte, leggi meno restrittive e spirito imprenditoriale di alcune famiglie. Il tutto bruscamente interrotto dalla Rivoluzione Francese. Nonostante tutto continuiamo a essere solo all’inizio. Rivoluzione, che altro? La Rivoluzione Francese cambiò tutto, non solo il governo ma anche i rapporti tra le forze in gioco. Apparentemente si profilava vita dura pure per lo Champagne visto che, i maggiori consumatori, gli aristocratici, non erano ben visti dai rivoluzionari. Ma anche loro, alla fine, gradirono la nuova bevanda, in qualche modo strappata dalle grinfie dei nobili. Un menù datato 17 ottobre 1793 del tribunale rivoluzionario recita: “Ali di pollo in besciamella e foie gras, pollastro arrosto, 12 allodole per persona e Champagne a volontà”. Vista la leggerezza del pranzo, lo Champagne appare come un peccato veniale. Questione di soldi Una volta trovati gli equilibri tra le varie classi sociali, il consumo continuò regolarmente, anche se con tutta la sua forza livellatrice alla ricerca dell’ , la Rivoluzione non riuscì a eliminare le differenze sociali e lo Champagne continuò a rimanere roba da ricchi. Cambiò però la tipologia del ricco e, questo fatto, avrà un ruolo nel successivo sviluppo commerciale. egalité Dalla Rivoluzione in poi si fa iniziare il cosiddetto “secolo borghese” che, senza addentrarci in discorsi complicati di scienze sociali, è il momento in cui cambiò radicalmente il modo di fare soldi. Le classi nobili dovettero sviluppare un minimo di spirito commerciale e lavorare (anche se poco) per mantenere i propri averi, tendenzialmente terrieri e immobiliari; in parallelo nasceva una nuova classe di imprenditori che, grazie alla rivoluzione industriale, iniziava a guadagnare tanti soldi, accumulare capitale e, soprattutto, far sposare i propri figli con i figli dei nobili, mescolando palanche e quarti di nobiltà. Nacque così la borghesia… e non c’era borghese che non avesse in mano il suo flûte di Champagne ogniqualvolta ce ne fosse l’occasione. Avvenne anche un fatto curioso: produttori di Champagne e clienti erano quasi sempre appartenenti alla stessa classe sociale, buona borghesia con qualche titolo nobiliare acquisito. Stessi valori, stesse speranze, stessa passione per le bolle. Non era quindi difficile muovere il volano delle vendite tra questo genere di persone. Erano tempi in cui non esisteva ancora la figura del venditore ma, i proprietari, proprio per i motivi esposti sopra, andavano in prima persona a concludere gli affari. E ne avevano ben donde, visto che raramente si parlava di piccole vendite (e piccole cifre). Un’amicizia fondamentale Proprio in uno di questi casi, tra verità e leggenda, si narra che Jean-Rémy Moët, figlio del fondatore della Maison che oggi porta il suo nome e personaggio chiave dello Champagne, nel 1784 andò in visita al collegio militare di Brienne-le-Château per rifornire di vino spumeggiante il senato accademico e, durante la sua permanenza, conobbe un giovane e promettente studente con il quale rimase amico tutta la vita. Quello studente, che non aveva origini francesi e veniva preso in giro dai compagni di corso per lo strano accento, aveva ottime doti di comando, tanto che, nel maggio del 1804, dopo una rapida carriera, fu incoronato Imperatore dei francesi con il nome di Napoleone I. Con un simile ambasciatore e con una borghesia più dinamica e ricettiva, lo Champagne iniziò a conoscere gli ambienti patinati di tutta Europa. L’importante è che se ne parli Non solo le vittorie dell’Imperatore, ma pure le sconfitte aiuteranno lo Champagne a farsi pubblicità. Infatti, dopo la sfortunata campagna di Russia, gli eserciti alleati decisero di invadere la Francia per rovesciare Napoleone. Bisogna sapere che se si vuole andare dal nord Europa verso Parigi, soprattutto in “compagnia” di un numeroso esercito e malsane idee di invasione, bisogna passare per forza dalle parti di Épernay… circostanza assai significativa per buona parte della storia futura dello Champagne. L’esercito composto da russi, prussiani e austriaci, per un totale di oltre 200.000 uomini, arrivò il 7 febbraio 1814 a Épernay. Il 17 marzo Napoleone, sconfitto, tornerà a Parigi per abdicare e i conquistatori iniziarono a requisire senza pietà. Si calcola che al solo Moët furono prelevate circa 600.000 bottiglie. Ma non tutto il male viene per nuocere: come riporta Forbes, a chi si preoccupava per il saccheggio, Jean-Rémy Moët rispose: “ ”. Per alcuni, quelle parole furono pronunciate invece dalla altrettanto famosa Vedova Clicquot… ma è il concetto che conta. Questa riflessione, del resto, non faceva una piega! Lo Champagne era capace di andare al di là di guerre, rivoluzioni e conflitti; anche se prodotto dal “nemico francese”, era apprezzato da tutti, perché oramai non era solo diventato un piacevolissimo vino, ma aveva anche una storia, un significato sociale e berlo dava tutto un altro gusto. Quei soldati che oggi mi stanno rovinando, domani faranno la mia fortuna. Lascio che bevano tutto quello che vogliono. Rimarranno legati per la vita e diventeranno i miei migliori venditori quando torneranno al loro paese Veuve Clicquot LO CHAMPAGNE DIVENTA BORGHESE Figli della Rivoluzione Barbe Ponsardin, undicenne figlia di una ricca e influente famiglia di mercanti di tessuti, nel 1789, allo scoppio della Rivoluzione Francese, studiava nel collegio reale di Saint-Pierre-les-Dames e sicuramente non poteva trovarsi in posto peggiore, vista la passione dei rivoluzionari nel devastare tutto ciò che aveva connotati reali o aristocratici. Grazie a un escamotage, con l’aiuto della sarta di famiglia, riuscì a filarsela prima che la Rivoluzione andasse a bussare alla porta del collegio. Iniziò così, tra rischi e avventure, la vita della donna più influente nella storia dello Champagne. Faceva parte della generazione che avrebbe visto cambiare il mondo di allora. Dopo un migliaio d’anni in cui la Francia era solidamente imprigionata in un’inestricabile rete fatta di classi e relazioni sociali, in cui nulla e nessuno poteva cambiare di posto, iniziò l’epoca dei commerci e della libertà di arricchirsi per chiunque. La Rivoluzione insegnò che la rete non era poi così ingarbugliata e tutto poteva cambiare. Nicole imparò molto bene la lezione. Trasformismo Il padre, Nicolas, furbamente riuscì a salvare e incrementare il patrimonio diventando repubblicano, nascondendo la sua precedente simpatia per la monarchia e recitando, con tutta la famiglia, la parte di fervente sostenitore della causa rivoluzionaria. Bisognava fare di più e una delle azioni necessarie per conservare le ricchezze era, da sempre, formare alleanze con altre famiglie per mezzo di matrimoni diciamo… oculati. Così, nel 1798 Barbe sposò, con segretissima cerimonia religiosa, François, rampollo della famiglia Clicquot, anch’essi importanti mercanti tessili, nonché banchieri, in più con la passione per lo Champagne: possedevano infatti una Maison e 4 ettari di vigneti. Tutto normale, Barbe avrebbe dovuto solo fare la madre di famiglia, visto che le regole della società, del business e il codice napoleonico lasciavano alle donne ben poco spazio. Ma il brillante François, che si era messo in testa di sviluppare l’attività vinicola della famiglia, fondata nel 1772, abbondava di entusiasmo. Il suo business, infatti, non decollava nonostante l’impegno nel girare l’Europa in lungo e in largo per sviluppare l’export. Nel 1805 François morì improvvisamente e la vedova Clicquot, a soli 27 anni, rilevò l’attività del marito, nonostante il suocero - che aveva capito la stoffa della ragazza - le avesse affiancato, per ben quattro anni un partner, Alexandre Fourneaux, anche lui fondatore della sua piccola Maison nel 1734 . 1 1 La famiglia Fourneaux, dopo la parentesi a casa Clicquot, proseguì con l’attività, che venne rilevata nel 1931 da Taittinger, dando così continuità alla terza più antica Maison di Champagne. Per la cronaca la seconda fu Chanoine nel 1730. E la prima? Vedi: Prima e dopo la Rivoluzione. Sola in un mondo ostile Non erano anni facili, le guerre napoleoniche bloccavano i commerci a causa dei dazi e delle gabelle che l’Imperatore dispensava a piene mani. Tutto sommato, gli affari non andavano poi tanto male, soprattutto in Russia. Peccato che con l’inizio delle ostilità, nel 1810, il business si bloccò quasi del tutto. Contemporaneamente finì la collaborazione di Fourneaux che, vista la mala parata non rinnovò l’accordo, lasciando la vedova in una posizione piuttosto complicata. Questa non si perse d’animo e, complice la grande annata del 1811, continuò a tenere in piedi l’azienda di famiglia iniziando anche la strada dell’innovazione, attraverso lo sviluppo del processo di remuage : un passaggio fondamentale che consentirà di industrializzare la produzione dello Champagne alzando moltissimo il livello standard di qualità. Nel 1814 uscì il primo Champagne Clicquot con l’etichetta, evento rivoluzionario negli anni in cui le Maison famose, con un certo snobismo, ancora ritenevano di non aver bisogno di etichetta per farsi riconoscere e ricordare, convinte che bastasse la reputazione della famiglia. L’etichetta Clicquot permise di costruire un brand, un marchio forte ma non legato esclusivamente al cognome di famiglia. Inoltre, tessendo una rete di relazioni internazionali, rese l’export non qualcosa di episodico ma un settore che tutte le Maison, dopo di lei, avrebbero dovuto sviluppare come entità a sé. Grazie a tutto ciò riuscì far arrivare lo Champagne alla corte di San Pietroburgo, proprio dove tutti gli altri avevano fallito. 2 La sua abilità si palesò anche quando Napoleone sconfitto, nel 1814, inseguito dall’esercito russo, entrò a Reims. Il fratello di Madame Clicquot diede ospitalità all’Imperatore per ben tre giorni presso la magione di famiglia, l’Hotel Ponsardin: inutile dire che Madame Clicquot ne ricavò una notevole pubblicità per il marchio. Peraltro l’esercito russo, braccando Napoleone banchettò allegramente anche nelle cantine Clicquot, portandosi a casa il ricordo di quello Champagne denso e dolce che tanto sollazzava i loro palati, disposti poi a pagarlo profumatamente una volta tornati a casa pur di berlo. 2 Vedi: Gli anni d’oro. Dalla bancarotta al successo Nel 1815 una donna che guida una Maison di valore internazionale era una rarità, tanto più quando lo sviluppo vertiginoso del business ne mise in luce le brillanti capacità. Barbe seppe anche scegliere i suoi collaboratori, a cominciare dal mitico venditore Louis Bohne (scelto in realtà da François Clicquot nel 1802), per arrivare a un ragazzo che nel 1822 si presentò da lei, un tale Edouard Werlé, immigrato tedesco, che cambierà poi il proprio nome in Werlé. In un solo anno, da operaio divenne direttore della cantina e, grazie a un matrimonio con una ricca ereditiera, peraltro imparentata con la famiglia Roederer, riuscì anche a farsi un’invidiabile posizione sociale ed economica. Tutto questo tornerà utile, perché anche la vedova Clicquot si buttò, a un certo punto, in un affare sballato, aprendo una banca con George von Kessler. Fare i banchieri era una buona idea ma George un pessimo partner poiché, investendo in affari sbagliati, rischiò di portare la banca sull’orlo del fallimento. Il salvataggio arriverò in extremis grazie a Edouard Werlé che, versando 2 milioni di Franchi sull’unghia (in pratica tutto il suo patrimonio) scongiurò la vendita della Maison Clicquot per far fronte ai debiti, dando così il via a un periodo florido che culminerà, nel 1831, con il suo ingresso al 50% nella proprietà. Da quel momento ci fu la maison Clicquot-Werlé. Grazie anche a queste attività Edouard diventò sindaco di Reims, uomo influente e di grande potere per molti anni. Lo stile non s’inventa Nel 1877 l’etichetta gialla sancirà il successo planetario della Maison e darà un gran daffare al loro ufficio legale per contrastare tutti i tentativi di copia che, allora come oggi, furono scoperti e sanzionati in ogni parte del mondo. Una storia così pesante non poté non riflettersi nello stile degli Champagne. La ricerca della qualità e di un gusto riconoscibile è un must. Negli anni del boom internazionale, tra il 1815 e il 1870, lo Champagne prodotto dalla Maison Clicquot e poi Clicquot-Werlé, si distingueva per la sua forza e vinosità, il colore era volutamente intenso, quasi occhio di pernice, e il carico di zuccheri a livelli iperglicemici: per sapere quanto dolci, basterà leggere la sezione . L’evoluzione del gusto Oggi il loro Brut Yellow Label, sta ben lontano da questi estremi, essendo dosato a 10 grammi/litro di zucchero. Ma possiede una fantastica tessitura cremosa e una complessità che, nonostante i numeri di produzione, oltre 10 milioni di bottiglie all’anno, lo rendono tutt’altro che di massa, rispondente a un gusto internazionale e ben riconoscibile, proprio come lo immaginava, 200 anni fa, Barbe Ponsardin, vedova Clicquot. Registri delle vendite di Veuve Clicquot.