S.P.Q.R. (Sono Pazzi Questi Romani)
A questo punto entra in gioco l’onnipresente Impero Romano e, anche qui, gli storici concordano sul fatto che, quando arrivò Giulio Cesare, intorno al
57 a.C., con il suo progettino di ampliamento dell’Impero, non trovò vigneti (che ci crediate o no, nemmeno Asterix e Obelix). I romani, che in fatto di
vino la sapevano lunga, perlomeno iniziarono a piantare qualche vigneto, attività non facile visto che, una volta trovato il posto adatto bisognava
abbattere la foresta che abitualmente si trovava in loco, per poi dissodare il terreno, azzeccare il vitigno che avrebbe potuto resistere al clima del
nord e trovare il sistema di coltivarlo correttamente.
D’altronde bere vino era un passatempo assai piacevole, valida alternativa a sidro e cervogia1 e, con pazienza e dedizione, si iniziò a
lavorare la vigna, producendo “vinelli primitivi” della cui piacevolezza però non ci sono giunte descrizioni.
Inoltre dobbiamo ascrivere ai romani un’altra opera meritoria. Accortisi infatti che il sottosuolo della collina in parte a Reims era di puro gesso,
pensarono bene di utilizzarlo come materiale da costruzione, perché facile da tagliare e ottimo anche come isolante. La mano d’opera a buon prezzo
(schiavi) non mancava, così s’iniziò a cavare gesso scavando pozzi profondi anche 30 metri. Per evitare crolli, le imboccature erano molto strette e il
pozzo si ingrandiva gradualmente verso il basso, in modo da avere una sezione a forma quasi di bottiglia.
Questi pozzi, detti “crayeres” da “craie”, che significa gesso in francese, sono rimasti fino ai giorni nostri, diventando monumentali
cantine di affinamento per l’amato Champagne.
Quando sembrava che andasse tutto bene ecco che, nel 92 d.C. arrivò un editto dell’imperatore Domiziano che imponeva lo sradicamento di tutti i vigneti
per piantare campi di grano, cereale di cui Roma aveva grande bisogno. Alcuni storici avanzano l’idea che l’eruzione del Vesuvio di pochi anni prima
avesse distrutto i migliori vigneti a cui attingeva Roma, costringendo a piantare nuove vigne dove c’erano campi di cereali; a quel punto il grano
andava rimediato da un’altra parte e cosa c’era di meglio dei vasti ed ubertosi campi della Champagne?
Vesuvio o no, la storia appena cominciata del vino in Champagne sembrava già finita e questo sarà il leit-motiv dei successivi 1850 anni, considerando
soprattutto la “collezione” di calamità che si abbatté sul territorio sotto forma di guerre, invasioni e pestilenze.