La storia...Tra realtà e leggenda Guerra e dopoguerra L'ODIERNO DOMANI Un lungo cammino Facciamo un passo indietro e torniamo ai tempi della fillossera. Come descritto, l’arrivo del famelico insetto portò a una situazione mai vista prima: produttori e vigneron iniziarono a comunicare per fare fronte comune verso il nemico. Abbiamo raccontato come il rapporto tra le due forze non fu facile, culminando con i devastanti moti del 1911. Ma il dado era tratto, un processo era iniziato e la Prima Guerra Mondiale bloccò solo temporaneamente il cammino intrapreso. C’era la legge anti frode del 1905, la prima zonazione del 1908, la proposta di legge del 1913 e, soprattutto, c’erano gli schieramenti oramai definitivi. Da una parte i produttori, che già nel 1882 si erano uniti sotto l’egida del Syndicat du Commerce des Vins de Champagne, divenuto oggi l’Union des Maisons de Champagne. Dall’altra, i vigneron che iniziavano a raggrupparsi in sindacati locali fino a quando, nel 1905, questi sindacati finirono nella Fédération des Syndicats de la Champagne diventata, nel 1919, il Syndicat Général des Vignerons de la Champagne, attivo ai nostri giorni con il 99% dei vigneron. Prima legge Finita la guerra, la legge che doveva essere approvata nell’estate del 1914, vide la luce il 6 maggio 1919. Fu una legge molto importante: per la prima volta, comparve il concetto di “Appellation D’Origine”. Il vino non era più solo una questione di area geografica, ma di clima, terreno e vigneti: sono tutti questi elementi d’ora in poi che dovranno determinare se un vino potrà ambire a un nome e a una sua unicità. In questi anni finì anche l’annosa questione territoriale tra Aube e Marna: prima un tribunale diede ragione ai vignaioli dell’Aube che volevano dichiarare le proprie uve come uve di Champagne, poi la legge del 22 luglio 1927, che regolava le divisioni delle zone vinicole in tutta la Francia e in Champagne, eliminò definitivamente l’odiosa (per i vignaioli dell’Aube ovviamente) “deuxieme zone” ed elencava, uno per uno, i 327 comuni in cui era consentito coltivare uve per produrre Champagne. Da quel momento iniziò a esistere un’area delimitata che, unita alle caratteristiche di suolo, clima e vigneto, stabilì in modo molto preciso la denominazione. Questa legislazione fu quanto mai opportuna, perché in altre zone viticole della Francia, ma anche in Spagna, Germania, Italia, Stati Uniti, molte aziende vinicole si erano organizzate per produrre spumanti e salire sul ricco carrozzone dello Champagne. Ovviamente a nessuno di loro faceva piacere una legge del genere, e furono tirati fuori argomenti tra i più disparati per liberalizzare la denominazione Champagne. Ne parleremo più avanti. Alchimie umane Le leggi furono utili, però non poterono risolvere quello che è sempre stato il punto più delicato degli equilibri champenois: il rapporto tra vignaioli e produttori. Era un problema che andava risolto dall’interno e se la Prima Guerra Mondiale aveva insegnato che bisogna restare uniti, ora bisognava rimanere uniti anche in tempo favorevole. Lo Champagne, per combattere contro un mondo commerciale che cercava di usurparne il trono, aveva bisogno proprio di questo: essere un fronte comune senza debolezze interne. I due sindacati erano il primo passo, ma ora dovevano lavorare vicini per evitare di farsi la guerra e mantenere i propri privilegi. Così nel 1935 fu istituita, per decreto legge, la Commission de Chalôns, formata da rappresentanti di entrambi gli schieramenti sindacali, più alcuni rappresentanti delle varie istituzioni implicate, con il compito di far rispettare regole e tradizioni di produzione ma anche fissare i prezzi minimi delle uve e il relativo grado zuccherino. Inoltre aveva la responsabilità di proporre modifiche e innovazioni al ministero dell’agricoltura. La commissione contava 39 membri, che non sono proprio pochi ma, rispetto alla giungla precedente di competenze, fu un notevole passo avanti. Tra i componenti della prima ora troviamo due personaggi che avranno un ruolo fondamentale per il futuro: Marcel Doyard, vigneron di Vertus, e Robert-Jean de Vogüe, all’epoca direttore generale di Möet et Chandon. L’inizio prometteva bene. Finalmente tutti gli attori avevano voce in capitolo e, nonostante quegli anni fossero molto difficili commercialmente, un nuovo entusiasmo serpeggiava nel mondo dello Champagne. I vigneron avevano delle certezze sui prezzi, le Maison non potevano più fare il bello e il cattivo tempo ma, per contro, non rischiavano contrasti con i contadini e avevano maggiori garanzie di qualità dai medesimi, adesso molto più motivati. I tasselli erano tutti al loro posto, l’avvenire si annunciava positivo, ma non era ancora finita, dopo tutto siamo in Champagne! Invasione… ancora? La Germania non aveva preso bene la sconfitta della Grande Guerra e la successiva umiliazione patita con il trattato di Versailles, in cui venne riconosciuta unica colpevole del conflitto, smembrata nel territorio e condannata a un risarcimento gigantesco che la portò alla bancarotta. Fu così che nel 1933 prese il potere un tipo dai bizzarri baffi, dotato d’innegabile carisma e d’idee tra le peggiori mai partorite da essere umano. Cavalcando l’orgoglio ferito del popolo tedesco, con un cocktail di nazionalismo, anticomunismo e antisemitismo, instaurò una dittatura, riorganizzò l’esercito e partì alla conquista dell’Europa. Dopo l’annessione dell’Austria e l’invasione della Polonia (per tacer del resto), toccò al nemico storico: così, per la terza volta in 70 anni, Francia e Germania si ritrovarono in guerra. Il 10 maggio 1940 iniziò l’invasione e, manco a dirlo, le truppe tedesche sfondarono le linee di difesa francesi passando proprio da Reims ed Épernay, tappa obbligata sulla strada per la capitale. L’invasione fu veloce, culminata con un armistizio, perché in fondo ai tedeschi, faceva comodo che la Francia continuasse a funzionare e soprattutto non volevano perdere il suo grande impero coloniale. Il risultato finale fu un paese diviso in due: a sud un regime collaborazionista che tradotto significa “cari francesi, potete fare quello che vi pare, basta che siamo d’accordo noi”, guidato dal generale Petain, chiamato “Governo di Vichy”; a nord si trovava invece la zona di occupazione tedesca che, va da sé, comprendeva in pieno la zona dello Champagne. Chiamatemi Otto Oramai abbiamo capito che ai tedeschi lo Champagne piaceva assai e, nei primi giorni di occupazione, le cantine vennero sistematicamente saccheggiate. Lo Champagne però non era più solo il vino-simbolo dell’odiato nemico francese, ma era diventato un potentissimo status symbol universalmente riconosciuto. E al feldmaresciallo Göring, numero due del reich, venne la pensata di razziare in modo organizzato i migliori vini francesi con particolare riguardo per lo Champagne. La bollicina doveva essere spedita ovunque ci fossero reparti dell’esercito, per sollazzare il morale degli ufficiali. Comparve quindi sulla scena un nuovo personaggio che si chiamava Otto Klaebisch, un ufficiale dell’esercito tedesco, nato in Francia, a Cognac, grande esperto di vini francesi nonché importatore di Champagne e direttore generale di una grossa azienda produttrice di spumante tedesco. Otto arrivò in Champagne nell’estate del 1940 e mise subito in chiaro le condizioni: “vogliamo 2 milioni di bottiglie al mese, con etichetta speciale, da spedire ai vari reparti della Wehrmacht. Non gratis, vi paghiamo, ma in marchi, quando vogliamo noi e soprattutto al prezzo che vogliamo noi”. Non buttava bene. Anche se gli stock in giacenza erano elevati, nel 1940, causa guerra, si raccolse solo il 10% dell’uva e, vista la scarsità di manodopera e la difficoltà nel reperire attrezzature e prodotti, anche le vendemmie successive non si preannunciavano particolarmente ricche. Fatti due conti, la richiesta tedesca valeva circa 2/3 della produzione totale. Il rischio era di un’implosione commerciale, in cui le Maison si sarebbero consumate per soddisfare il fabbisogno tedesco con il rischio di non risollevarsi più. All’inizio la situazione fu critica: i produttori cercavano di difendersi rifilando a Klaebisch prodotti di bassa qualità, con bottiglie difettate e tappi fallati. Inoltre tutti si adoperarono per nascondere le bottiglie in angoli reconditi delle cantine, addirittura murando gli accessi. Ma Otto non era un fesso, riconosceva le frodi e aveva il naso di un cane da tartufo per scovare le bottiglie occultate. Con il risultato che i produttori fedifraghi venivano puniti “alla tedesca”, inutile spiegare cosa significasse. Con simili premesse si rischiava lo scontro aperto e una razzia indiscriminata, perché Klaebisch aveva gioco facile nel tartassare le Maison una per una, approfittando della propria posizione di forza; e fu in questo momento che il lavoro fatto in passato per tessere relazioni tra contadini e produttori, volto a creare una sorta di fronte comune, divenne molto utile. CIVC Ricordate la Commission de Chalôns? Ebbene, già nel 1939 ci fu una proposta di legge per dare più poteri alla commissione e trasformarla in un ufficio interprofessionale delegato a tutto il controllo sullo Champagne, ma la guerra interruppe l’intero processo. Adesso lo stato delle cose richiedeva azioni concrete per arginare il weinführer e così, nel settembre 1940, fu istituito un Bureau de contact, formato da rappresentanti di alcune Maison e presieduto da Robert-Jean de Vogüe. Lo avevamo menzionato prima, parlando della Commision de Chalôns. Nato nel 1896 da una delle più antiche famiglie dell’aristocrazia francese, peraltro molto attiva nel mondo del vino, uomo d’azione, decorato nella Prima Guerra, andò a dirigere la Maison Moët nel 1930 e, nel 1936, creerà la cuvée Dom Pérignon il cui successo dura immutato ancora oggi. Visto il curriculum è il personaggio ideale per trattare con Klaebisch. Ma servono ancora più poteri per difendere gli interessi dello Champagne. Così, dopo la creazione di un Bureau de Repartition, la legge del 12 aprile 1941 (tenete a mente questa data) istituisce il CIVC, il Comité Interprofessionnel du Vin de Champagne. Questo organismo ha come compito statutario di rappresentare tutti, ma proprio tutti, gli interessi champenois. E ha finalmente i poteri che gli servono per farlo con successo. Pochi ma buoni Degna di nota è anche la struttura; avevamo lasciato la Commission de Chalôns con i suoi 39 membri, adesso ritroviamo il CIVC che ha una formula completamente diversa: al vertice si trova un commissario del governo scelto dal ministero dell’agricoltura, il quale assiste a tutte le riunioni e ha la facoltà di approvare le decisioni oppure di rimetterle al giudizio del ministero. Ma il bello viene quando scopriamo chi discute. Non fatevi venire in mente rumorose assemblee dove tutti hanno da dire la loro e la decisione, quando ci si arriva, è un’accozzaglia di compromessi per non scontentare nessuno e mantenere tutti gli equilibri politici. Qui la discussione si fa in due: un rappresentante del “Negoce”, cioè di coloro che comperano uve, quindi i produttori e un rappresentante del “Vignoble”, il vigneto, quindi coloro che coltivano e vendono uve. Il primo è, ovviamente, Robert-Jean de Vogüe, il secondo è il presidente del Syndicat General des Vignerons: Marcel Doyard. Poi ci c’è un ufficio esecutivo, composto da sei rappresentanti del negoce e sei del vignoble più le varie commissioni che devono vigliare sui differenti aspetti del mondo Champagne. Questa struttura piramidale, rimasta sostanzialmente immutata fino ad oggi, raccoglie informazioni dalla base della piramide, per decidere, in modo vincolante per tutti, solo al vertice. Grazie al CIVC, il popolo champenois ha finalmente un interlocutore forte da contrapporre a Klaebisch. Lui e De Vogüe si rispettano e riconoscono le rispettive capacità. Le spedizioni procedono senza causare troppi danni, riuscendo sempre a trovare una soluzione, per esempio quando mancano bottiglie o prodotti per il vigneto, causa restrizioni della guerra. Lo stesso De Vogüe, dopo la guerra, deponendo al processo contro Otto Klaebisch, ebbe a dichiarare che il suo comportamento, nonostante le comprensibili divergenze di opinione, poteva definirsi corretto. Inoltre le spedizioni di champagne furono un ottimo sistema per prevedere i movimenti delle truppe tedesche, infatti, quando si preparava una grossa spedizione in paesi fino ad allora non serviti, c’era da sospettare un dislocamento di truppe o un possibile attacco della Wehrmacht. Le forze alleate furono quindi tenute informate, seppur di nascosto e con notevole rischio, dei vari movimenti di bottiglie per poter preparare le adeguate contromisure. Fine degli equilibri Tutto procedette abbastanza bene fino a quando, il 24 novembre 1943 De Vogüe fu accusato di far parte della Resistenza francese (ed era vero), e conseguentemente arrestato dalla Gestapo proprio mentre si trova nell’ufficio di Klaebisch; poi le microspie messe nella sua cella lo incastrarono definitivamente. Fu processato pubblicamente e condannato a morte. Visto lo spessore del personaggio, da più parti si levò un coro di proteste: l’ambasciatore di Svezia, il prefetto e altri personaggi, ma soprattutto avvenne qualcosa di inaudito: il sindacato dei cantinieri proclamò, per il 29 novembre, uno sciopero, evento mai successo nella storia secolare dello Champagne e questo la dice lunga sulla considerazione che riscuoteva De Vogüe. Per Klaebisch fu un grosso problema, perché lo Champagne doveva affluire copioso ai reparti dell’esercito, tanto più che, in un momento critico della guerra, non sarebbe stato proprio il caso di andare a raccontare a Hitler, notoriamente permaloso, di uno sciopero in una zona occupata. Così, per evitare guai peggiori, egli si adoperò affinché la condanna venisse sospesa a tempo indeterminato e commutata nella deportazione in campo di prigionia. De Vogüe riuscirà a tornare in patria dopo la liberazione da parte delle truppe britanniche e continuare il suo lavoro presso Möet e al servizio dello Champagne sino alla sua morte, avvenuta nel 1976. Dal 1943 la situazione andò a peggiorare in modo deciso, Klaebisch diventò sempre più pressante e intransigente, non c’era più spazio per le concessioni e le punizioni per chi trasgrediva diventarono, se vogliamo, ancora peggiori. Dall’inizio del 1944 la guerra per i tedeschi non andava più tanto bene: i russi avanzavano ad est, l’Italia era persa, gli alleati stavano preparando un’azione massiccia verso la Francia e le possibilità di vittoria si erano allontanate di molto, per cui qualcuno ha voluto vedere in questo accanimento la volontà di distruggere l’industria dello Champagne in modo da favorire il commercio dei frizzantini germanici in un ipotetico dopoguerra. Ipotesi avvalorata dal fatto che buona parte delle cantine di Épernay era stata minata dai tedeschi in vista di una possibile ritirata e solo l’arrivo inaspettato delle truppe del generale Patton, cogliendoli di sorpresa, aveva scongiurato la catastrofe. Rober t Jean de Vogue tornato dalla prigionia. Voci fuori dal coro Il botto non avvenne ma, fatti i conti, i tedeschi si erano bevuti circa 100 milioni di bottiglie, pagate praticamente sottocosto. Eppure le cantine, grazie al lavoro del CIVC non si erano svuotate troppo, esistevano ancora molte bottiglie da vendere e vedeva la luce una nuova Europa che aspettava di gustarle durante un periodo di pace meno effimero che in passato. Però non ci furono solo festeggiamenti. Il neonato CIVC non andava proprio simpatico a tutti. Per capirne il motivo basta pensare che fu istituito da un governo collaborazionista di ideologia fascista, cosa che, in linea di principio, potrebbe piacere poco alle sinistre. Inoltre è un’entità alle cui regole tutti devono sottostare, non c’è spazio per le autonomie. Tutto questo, per alcuni, renderebbe il CIVC una sorta di corporazione che limita in modo antidemocratico la libertà dei singoli. Ma il concetto base è che il bene comune, in Champagne, resta sempre al di sopra delle velleità individuali. Per supportare la validità del progetto basta notare che i 17 milioni di bottiglie vendute del 1945 sono diventati, nel 2016, 306 milioni, che lo Champagne è un brand forte come pochi e tutelato quasi ovunque nel mondo. Che un territorio soggetto regolarmente a carestie e povertà diffusa fino al dopoguerra è oggi, nonostante la crisi, sufficientemente ricco e tutelato. In più l’area dello Champagne è protetta come patrimonio mondiale dall’UNESCO.