Tiriamo le somme: esiste o non esiste?

Abbiamo fatto un breve viaggio dentro la leggenda, la nostra strada si è tenuta lontana dall’accademia, ma abbiamo cercato di camminare vicino alle persone, per capire dalle loro parole, ma anche dalle frasi non dette, quelle rimaste tra le righe.
In fondo fare lo Champagne non è così difficile: il metodo non ha segreti, è stato codificato nel corso di secoli e non è stato modificato granché dalla tecnologia. Abbiamo visto come molte mani abbiano scritto la storia, ma solo un modo di pensare ne abbia decretato il successo universale. Abbiamo capito sin da subito che lo Champagne non esiste, ma esistono ‘gli’ Champagne, con le loro fascinose e sorprendenti diversità e, per cominciare, siamo andati a trovare un vigneron estremo, sia per collocazione geografica che per filosofia di produzione.
Alla tenuta di Francoise Bedel, Vincent Desabeau, tra un sobbalzo e l’altro della sua Peugeot d’antan, ci ha raccontato la multiforme personalità del Pinot Meunier e dei suoi sforzi per diventare sempre più amico dei suoi vigneti e far parlare l’uva.
Dal pragmatismo dei vigneron alla nobiltà di Bollinger che, giustamente, propone il suo stile: vinoso, profondo, scandito dalle sfumature del Pinot Noir; uno stile che si raggiunge non trascurando un solo dettaglio, conservando i vini di riserva in magnum e arrivando a fabbricarsi le botti in proprio. Lo Chardonnay e gli altri vitigni meno diffusi ce li ha raccontati Aurelien Laherte, profeta della bevibilità e della freschezza, amante della diversità e con ambiziosi ed originali traguardi.
Abbiamo capito che migliore o peggiore, più buono o meno buono, non sono parole da usarsi in queste lande, perché sono prive di senso. Dobbiamo capire, descrivere e scegliere ciò che ci soddisfa, nulla più.